Puntuale come la dentona con la falce, in tempi di vacanze, arrivano le ormai immancabili querelle sui social legate a compiti si, compiti no.
Inizialmente la questione è nata, mi pare, con un padre che ha scritto alle maestre un pippone sul fatto che il figlio non aveva fatto i compiti perché occupato a vivere.
Che poi, lo avesse scritto alle maestre, ancora ancora. Lo ha pure postato su facebook e allora via con i pro e i contro, i fake, le emulazioni, ecc.
Poi hanno risposto le maestre con i compiti creativi: leggette un fumetto, guardate un film di Myiazaki, abbracciate gli alberi.
Adesso il filone è un po' in crisi e non ci sono particolari novità.
Il punto è che nessuno centra i veri problemi che, secondo me, sono due:
1. Compiti tradizionali o new age che siano, serve qualcuno che possa star dietro a ste creature.
2. Compiti tradizionali o new age che siano, se i figli non lo vogliono fare, sarà difficile farglielo fare, ammesso che troviamo qualcuno che li segua.
Capiamoci, io sono abbastanza tradizionalista, credo che i compiti di per sé vadano assegnati e vadano anche svolti. Intanto perché non è che uno che ha corso una maratona ieri possa correrla tra un anno senza in mezzo andare mai ad allenarsi, ok? La panza cresce, i muscoli si infiappano. Lo stesso vale per le cose che apprendiamo. Io ad esempio non ricordo più gli integrali e le derivate. E, ad essere sincero, ho qualche difficoltà a ricordare anche Euclide.
Poi sarebbe anche bello non esagerare: una settimana passata in vacanza da qualche parte magari la si augura a tutti, gli facciamo fare i compiti?
In ogni caso i primi giorni di vacanza che si fa? Li si passa sui libri?
Insomma, sarebbe bello che ci fosse un equilibrio.
Comunque, non vorrei perdere l'occasione di s-gureggiare anche le mie proposte per i compiti alternativi.
Naturalmente avendo cura che i bimbi facciano veramente quello che si sentono di fare, vivendo appieno la loro fanciullezza:
1. Giocate all'aria aperta. Da quando vi va a quando non vi va più. Rientrate in casa solo se volete guardare la tv.
2. Se non vi va di giocare all'aria aperta però guardate la tv. Ormai fanno talmente tanti programmi stupidi anche d'inverno che non possiamo più dire che la tv d'estate fa cagare. La tv si può guardare dal mattino prima di colazione fino alla sera. Tanto poi, se vi capiterà di avere un contratto a tempo pieno non avrete il tempo di guardarla comunque, non è una questione di educazione. Se invece non avrete un contratto sarete depressi ed è noto che chi è depresso guarda la tv. Vi voglio skilled.
3. Non ascoltate i genitori. Anzi, per meglio dire: non sentiteli nemmeno. Spesso quando voi siete in vacanza loro lavorano per cui non noteranno la differenza dal resto dell'anno. Tendenzialmente, lo dico anche come autocritica, siamo noiosi, ripetitivi e un po' frustrati, a volte non vale davvero la pena stare a sentirci. L'esercizio avanzato consiste nel ignorare i vostri vecchi anche in caso di cena pronta, ora di lavarsi, dai che bisogna andare dai nonni.
4. Litigate. Occhio però che non è che basti litigare così. Bisogna litigare per le cazzate. Esprimete la vostra aggressività per le quisquilie più insignificanti: mio fratello mi ha guardato, mi dice che sono brutta, ha mangiato l'ultimo biscotto e cose così. Se non avete fratelli provate con il vicino, è un po' più difficile, ma non impossibile.
5. Imparate nuove e creative parolacce. Se state qualche settimana dai nonni con i cugini adolescenti siete facilitati, sennò c'è sempre l'amichetto con i genitori senza troppi filtri. Fate buon uso delle opportunità che la vita vi dona.
Non vi garantisco che imparino chissà che. Però almeno sarete sicuri che li faranno
Buone vacanze Pasquali a tutti
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giovedì 13 aprile 2017
lunedì 21 dicembre 2015
Star Wars - Il Risveglio della Forza
Silver ed io cantiamo in un coro. Di solito siamo piuttosto ligi al dovere e non manchiamo mai, a parte non ci siano impegni davvero improcrastinabili. Tipo che non sia il primo week end dove proiettano il nuovo capitolo di Star Wars.
Vi tranquillizzo, non ci sono spoiler sul film, niente di niente. Nulla che non si sappia già, almeno.
Certo, potrete dirmi, come fai a sapere quello che si sa già? Facile: basta riportare pari pari quello che diceva a voce alta il bimbo seduto dietro di me durante la proiezione: tutti i nomi dei personaggi, la classificazione delle astronavi e tutti gli abinamenti personaggio-astronave. Quando ha iniziato a stare zitto ho capito che non c'era più nulla di acquisibile on-line, e bisognava solo guardare il film.
Film che è bellissimo, io ve lo dico. A caldo mi è venuto addirittura da scriverlo su Facebook: è il migliore di tutti, il più bello dei 7.
E no, non sono di quelli che lo dice ogni volta.
Alla fine di "La minaccia fantasma" ho detto come tutti "è una cagata pazzesca".
Sono rimasto perplesso dopo "La guerra dei cloni" pur riconoscendo che erano stati fatti molti passi avanti.
E sono stato molto sorpreso da "La vendetta dei Sith", il migliore di questa finora ultima trilogia così piena di effetti speciali e colori ultravivaci. Che però, per quanti tu ce ne metta, non ti fregano, non fregano neppure i bambini. La gente vuole le storie.
Chiedetelo ai miei figli che guarderebbero solo "L'impero colpisce ancora".
Ed è questo che fa "Il Risveglio della Forza": ritorna a raccontare una storia.
Basta, non vi racconto più nulla che sennò mi scappa lo spoiler. Leggetevi piuttosto questa bellissima riflessione di Mr.Ford, che lui di film ne capisce e ne sa parlare.
La riflessione mia invece parte dall'unica cosa che mi ha rattristato e che era dalla mia parte dello schermo: c'erano pochissime bambine. Femminucce, insomma.
Donne si, bambine no.
C'erano i quaranta-cinquantenni, innamorati di Luke e Darth Vader (a proposito, cambiava tanto se la produzione teneva i nomi "italiani"?), disposti a dare una seconda chances alla Lucasfilm dopo la mezza delusione degli ultimi tre film.
C'erano i ventenni, che la seconda trilogia l'hanno vista da bambini e si sono innamorati di quella, e la prima era solo una vecchia mitologia sulla mensola dei genitori.
E c'erano i bambini piccoli, quelli che comprano i Lego tematici, gli adesivi dentro ai cereali e a furia di merchandise si sono innamorati di questa bellissima epopea.
Mancavano solo le bambine.
Perché?
"È roba da maschi" mi ha detto una mia amica.
"Uff, ancora con sta storia dei film/libri da maschi e da femmine" ho risposto, facendo la solita figura del pseudo filosofo progressista e snob.
La mia prof di Latino diceva: "non esiste la traduzione letterale o libera: esiste la buona traduzione o quella cattiva". Allo stesso modo direi che non ci sono i film da femmine da maschi, ci sono le belle storie e le storie brutte. Il resto ce lo mettiamo noi.
Però, se come la mia amica avete bisogno di semplificazioni, vi do la mia parola: è un film da femmine: la chiave della storia, la vera protagonista, è una ragazza, Rey: giovane e bella (madò se è bella) coraggiosa e idealista e in gamba molto più di tutti i maschi che incontra. Ma non è il modello di guerriera emancipata, di donna in carriera. Allo stesso modo non aspetta il principe azzurro che tanti danni ha fatto alla mia generazione. È una donna che cerca di superare le sue fragilità, senza rinunciare ai suoi sogni, senza aver paura di voler bene e di lasciarsi amare.
È la figlia che tutti vorremmo avere, è il motivo per cui sono contento di aver convinto Maria a venire con noi e a non cedere al lato oscuro del Gender che impone assurdi canoni sociali.
In più è un film sulla genitorialità su quanto sia difficile essere padri e madri, sulla responsabilità, sulle paure di non essere in grado di farli crescere nel modo migliore, sulla ricerca di nuove occasioni.
E quindi se avete figlie femmine portatele a vedere "Il Risveglio della Forza" che vi piacerà perchè è moderno. Nonostante sia ambientato tanti anni fa, in una galassia lontana lontana...
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dal web |
Vi tranquillizzo, non ci sono spoiler sul film, niente di niente. Nulla che non si sappia già, almeno.
Certo, potrete dirmi, come fai a sapere quello che si sa già? Facile: basta riportare pari pari quello che diceva a voce alta il bimbo seduto dietro di me durante la proiezione: tutti i nomi dei personaggi, la classificazione delle astronavi e tutti gli abinamenti personaggio-astronave. Quando ha iniziato a stare zitto ho capito che non c'era più nulla di acquisibile on-line, e bisognava solo guardare il film.
Film che è bellissimo, io ve lo dico. A caldo mi è venuto addirittura da scriverlo su Facebook: è il migliore di tutti, il più bello dei 7.
E no, non sono di quelli che lo dice ogni volta.
Alla fine di "La minaccia fantasma" ho detto come tutti "è una cagata pazzesca".
Sono rimasto perplesso dopo "La guerra dei cloni" pur riconoscendo che erano stati fatti molti passi avanti.
E sono stato molto sorpreso da "La vendetta dei Sith", il migliore di questa finora ultima trilogia così piena di effetti speciali e colori ultravivaci. Che però, per quanti tu ce ne metta, non ti fregano, non fregano neppure i bambini. La gente vuole le storie.
Chiedetelo ai miei figli che guarderebbero solo "L'impero colpisce ancora".
Ed è questo che fa "Il Risveglio della Forza": ritorna a raccontare una storia.
Basta, non vi racconto più nulla che sennò mi scappa lo spoiler. Leggetevi piuttosto questa bellissima riflessione di Mr.Ford, che lui di film ne capisce e ne sa parlare.
La riflessione mia invece parte dall'unica cosa che mi ha rattristato e che era dalla mia parte dello schermo: c'erano pochissime bambine. Femminucce, insomma.
Donne si, bambine no.
C'erano i quaranta-cinquantenni, innamorati di Luke e Darth Vader (a proposito, cambiava tanto se la produzione teneva i nomi "italiani"?), disposti a dare una seconda chances alla Lucasfilm dopo la mezza delusione degli ultimi tre film.
C'erano i ventenni, che la seconda trilogia l'hanno vista da bambini e si sono innamorati di quella, e la prima era solo una vecchia mitologia sulla mensola dei genitori.
E c'erano i bambini piccoli, quelli che comprano i Lego tematici, gli adesivi dentro ai cereali e a furia di merchandise si sono innamorati di questa bellissima epopea.
Mancavano solo le bambine.
Perché?
"È roba da maschi" mi ha detto una mia amica.
"Uff, ancora con sta storia dei film/libri da maschi e da femmine" ho risposto, facendo la solita figura del pseudo filosofo progressista e snob.
La mia prof di Latino diceva: "non esiste la traduzione letterale o libera: esiste la buona traduzione o quella cattiva". Allo stesso modo direi che non ci sono i film da femmine da maschi, ci sono le belle storie e le storie brutte. Il resto ce lo mettiamo noi.
Però, se come la mia amica avete bisogno di semplificazioni, vi do la mia parola: è un film da femmine: la chiave della storia, la vera protagonista, è una ragazza, Rey: giovane e bella (madò se è bella) coraggiosa e idealista e in gamba molto più di tutti i maschi che incontra. Ma non è il modello di guerriera emancipata, di donna in carriera. Allo stesso modo non aspetta il principe azzurro che tanti danni ha fatto alla mia generazione. È una donna che cerca di superare le sue fragilità, senza rinunciare ai suoi sogni, senza aver paura di voler bene e di lasciarsi amare.
È la figlia che tutti vorremmo avere, è il motivo per cui sono contento di aver convinto Maria a venire con noi e a non cedere al lato oscuro del Gender che impone assurdi canoni sociali.
In più è un film sulla genitorialità su quanto sia difficile essere padri e madri, sulla responsabilità, sulle paure di non essere in grado di farli crescere nel modo migliore, sulla ricerca di nuove occasioni.
E quindi se avete figlie femmine portatele a vedere "Il Risveglio della Forza" che vi piacerà perchè è moderno. Nonostante sia ambientato tanti anni fa, in una galassia lontana lontana...
giovedì 3 dicembre 2015
l'America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata
Ieri sera la messa a letto, momento che come fatica che ricorda quello che precede l'alba, più buio e più freddo della notte stessa, è stata più dura del solito.
Chissà perché la Triplice Alleanza ha deciso di entrare in crisi in simultanea, fatto piuttosto raro, anche se con cause svariate: Maria aveva perso tre partite a carte di fila nonostante la proposta di cambiare gioco ogni volta (Uno, Vecia e cava camisa). Segnata nell'animo dal destino cinico e baro (ma decisamente sul pezzo, trattandosi di gioco a carte) la pulzella si è disperata in singhiozzi e urla che manco col morto in casa.
Nei file delle cose da fare ricordarsi di segnare strategie per insegnare a reggere la frustrazione.
Jack invece non aveva ancora elaborato il lutto per la mancata partecipazione al canto della stella con l'Asilo. Rintravamo tardi dal lavoro, la mamma ha un impegno dopo cena e comunque anche sticazzi.
Pee, a quel punto, per nn sentirsi escluso, piangeva per solidarietà, dicendo che il suo cane di peluche aveva paura del buio e che comunque al canto della stella, la settimana prossima, ci dobbiamo portare pure lui. Il cane, logicamente.
Tant'è. Un'oretta a far girare Pachelbel nella tomba a causa della mia ormai cronica imperizia sulle sei corde e accendo la tv: TG - edizione straordinaria.
Oddiosanto! E mo' cos'è successo.
Ammetto con un bel po' di vergogna che quando ho capito che si trattava di uno dei "soliti" fatti tipicamente americani e non di terrorismo ho tirato un sospiro di sollievo.
Si, alla faccia di tutta la mia sciallaggine delle settimane scorse rispetto a non voler sottostare al terrore.
Attacco ad un centro riabilitativo per disabili.
Lì per lì ho cercato conforto nel cinismo: "Cazzo, fosse stata l'ISIS almeno oggi mi avrebbero proibito di andare a lavorare: luogo ad alto rischio".
Ma non volevo parlare di Pachelbel, del pianto dei miei figli e neppure della follia in America. A conti fatti forse era meglio se stavo zitto.
A conti fatti, visto che ogni giorni si potrebbe morire per un motivo qualsiasi, tanto vale non sprecar parole e vivere.
Chissà perché la Triplice Alleanza ha deciso di entrare in crisi in simultanea, fatto piuttosto raro, anche se con cause svariate: Maria aveva perso tre partite a carte di fila nonostante la proposta di cambiare gioco ogni volta (Uno, Vecia e cava camisa). Segnata nell'animo dal destino cinico e baro (ma decisamente sul pezzo, trattandosi di gioco a carte) la pulzella si è disperata in singhiozzi e urla che manco col morto in casa.
Nei file delle cose da fare ricordarsi di segnare strategie per insegnare a reggere la frustrazione.
Jack invece non aveva ancora elaborato il lutto per la mancata partecipazione al canto della stella con l'Asilo. Rintravamo tardi dal lavoro, la mamma ha un impegno dopo cena e comunque anche sticazzi.
Pee, a quel punto, per nn sentirsi escluso, piangeva per solidarietà, dicendo che il suo cane di peluche aveva paura del buio e che comunque al canto della stella, la settimana prossima, ci dobbiamo portare pure lui. Il cane, logicamente.
Tant'è. Un'oretta a far girare Pachelbel nella tomba a causa della mia ormai cronica imperizia sulle sei corde e accendo la tv: TG - edizione straordinaria.
Oddiosanto! E mo' cos'è successo.
Ammetto con un bel po' di vergogna che quando ho capito che si trattava di uno dei "soliti" fatti tipicamente americani e non di terrorismo ho tirato un sospiro di sollievo.
Si, alla faccia di tutta la mia sciallaggine delle settimane scorse rispetto a non voler sottostare al terrore.
Attacco ad un centro riabilitativo per disabili.
Lì per lì ho cercato conforto nel cinismo: "Cazzo, fosse stata l'ISIS almeno oggi mi avrebbero proibito di andare a lavorare: luogo ad alto rischio".
Ma non volevo parlare di Pachelbel, del pianto dei miei figli e neppure della follia in America. A conti fatti forse era meglio se stavo zitto.
A conti fatti, visto che ogni giorni si potrebbe morire per un motivo qualsiasi, tanto vale non sprecar parole e vivere.
giovedì 1 ottobre 2015
Jack si alza presto
Jack si alza presto la mattina.
Di solito sto facendo il caffè e dò le spalle alle scale. Ma è impossibile non sentirlo arrivare, con il suo passo per nulla agile.
Non dice neppure ciao, si avvicina al tavolino dove di certo ha lasciato qualche gioco la sera prima e noi proprio non ci siamo arrivati a metterlo via.
Se mi volto piano lo guardo senza farmi vedere ed è bellissimo, con quegli occhi color miele e i capelli biondi tagliati cortisimi e l'aria ancora assonnata.
Alza lo sguardo e finalmente mi vede, ancora nemmeno un ciao.
"Batman di che colore aveva la cintura nel film dove è con Robin?"
Si gode la figliunicità di questa prima mezz'ora della giornata, Jack. Lui che è così tranquillo, che non riesce ad avere le pretese d'attenzione lunatiche della sorella maggiore e neppure la (talvolta) molesta fisicità del fratello gemello, passa quasi inosservato. Non è particolarmente coccolone, come si potrebbe pensare dalla morbidezza dei suoi lineamenti.
Ma potrebbe tenerti ore a ragionare su un film Marvel.
Una vera passione quella di Jack per i supereroi e per i fantasy in genere. Raccontandogli storie di supereroi gli ho fatto fare 17 km e 1000 metri di dislivello in un giorno solo. È stato più difficile gestire sua madre.
È un bimbo Jack, un bambino di cinque anni: non problematico, per fortuna, non più maturo del necessario, non particolarmente geniale. É un bimbo che ti potresti dimenticare, talvolta, da quanto è capace di mettersi un mantello ed una maschera e uscire a giocare, anche da solo, immaginandosi sul suo cavallo ad andare incontro al tramonto.
Oppure alla sera, quando si mette sotto le coperte e si addormenta, senza mai chiamarti, senza mai una storia più del necessario, solo abbracciato al suo Pluto logoro e arrivato chissà da dove.
Così è prezioso questo suo alzarsi presto, questo raccontarci i film. Un po' ricorda una scena già vista: una madre che raccontava i film al figlio che si alzava prima.
Se se ne ricordasse, da grande, come me lo ricordo io, potrei già dirmi contento.
Di solito sto facendo il caffè e dò le spalle alle scale. Ma è impossibile non sentirlo arrivare, con il suo passo per nulla agile.
Non dice neppure ciao, si avvicina al tavolino dove di certo ha lasciato qualche gioco la sera prima e noi proprio non ci siamo arrivati a metterlo via.
Se mi volto piano lo guardo senza farmi vedere ed è bellissimo, con quegli occhi color miele e i capelli biondi tagliati cortisimi e l'aria ancora assonnata.
Alza lo sguardo e finalmente mi vede, ancora nemmeno un ciao.
"Batman di che colore aveva la cintura nel film dove è con Robin?"
Si gode la figliunicità di questa prima mezz'ora della giornata, Jack. Lui che è così tranquillo, che non riesce ad avere le pretese d'attenzione lunatiche della sorella maggiore e neppure la (talvolta) molesta fisicità del fratello gemello, passa quasi inosservato. Non è particolarmente coccolone, come si potrebbe pensare dalla morbidezza dei suoi lineamenti.
Ma potrebbe tenerti ore a ragionare su un film Marvel.
Una vera passione quella di Jack per i supereroi e per i fantasy in genere. Raccontandogli storie di supereroi gli ho fatto fare 17 km e 1000 metri di dislivello in un giorno solo. È stato più difficile gestire sua madre.
È un bimbo Jack, un bambino di cinque anni: non problematico, per fortuna, non più maturo del necessario, non particolarmente geniale. É un bimbo che ti potresti dimenticare, talvolta, da quanto è capace di mettersi un mantello ed una maschera e uscire a giocare, anche da solo, immaginandosi sul suo cavallo ad andare incontro al tramonto.
Oppure alla sera, quando si mette sotto le coperte e si addormenta, senza mai chiamarti, senza mai una storia più del necessario, solo abbracciato al suo Pluto logoro e arrivato chissà da dove.
Così è prezioso questo suo alzarsi presto, questo raccontarci i film. Un po' ricorda una scena già vista: una madre che raccontava i film al figlio che si alzava prima.
Se se ne ricordasse, da grande, come me lo ricordo io, potrei già dirmi contento.
venerdì 21 agosto 2015
Osteria numero 1
Premessa: sono in una fase brutalmente snob. Il post potrebbe risultare antipatico. O anche no. Dipende se andate spesso in osteria.
I quarant'anni mi hanno portato questa vena salutista (assolutamente riparatoria) per cui la macchina la prendo il meno possibile. Stessa cosa cerco di inculcare nei figli: a piedi o in bici si gira meglio, non c'è da trovare parcheggio, ci si allena di più e si fanno muscoli come i supereroi (Captain America ha girato un sacco in bici, prima di quell'iniezione che lo ha gonfiato come un canotto), si prende aria buona e si inquina meno.
I miei figli, siccome li considero ne più ne meno che normali (e per fortuna, aggiungerei), in preadolescenza rifiuteranno questa e tutte le altre cose che gli diciamo: mangeranno merda, useranno il motorino anche per andare in bagno e godranno del loro fisico che si ricopre di strati adiposi.
Ma fino ad allora si gira a piedi o in bici. Punto!
Certo, tutto parrebbe da sogno. Fino al bar.
Al bar c'è sempre una macchina parcheggiata sul marciapiedi e non ci si passa né in bici né a piedi. Salvo scendere in strada e farsi stirare i pantaloni dal tir che passa immancabilmente proprio in quel momento lì.
Strana gente quella del bar.
Per primo ci vanno tutti i giorni, immancabile. Il momento cloux è quello prima di cena, l'ora dell'aperitivo. Anche se in molti non disdegnano neppure il dopo (e di solito ritornano).
Da questo punto di vista il bar è aggregazione e devo dire che un pelino li invidio perché sono ancora di quelli che cercano di vivere il paese nel senso più stretto del termine (avrà senso quast'ultima frase? Mah!?)
Il bello è che si trovano tutti e stanno là a parlare e bestemmiare fino ad ora di cena anche se apparentemente non hanno nulla in comune.
C'è il vecchietto ciompo: senza una gamba ed un occhio che gira con la motoretta elettrica. Una volta correvo e l'ho incrociato tutto riverso sul marciapiedi che cercava di raccogliere una bottiglietta. Sembrava abbastanza in difficoltà così mi sono fermato e l'ho raccolta io.
"Che casso ghin fasso?" mi ha chiesto quando gliel'ho porta.
"Pensavo la ghe servisse"
"No!" con aria seccata facendo spallucce.
Toh! Ad essere pure gentili.
Poi al bar c'è il tipo del quad. Il Quad secondo me è una delle cose più tamarre che ci sono in circolazione ma noto, ahimè, che è piuttosto diffuso.
Lo sport preferito pare essere quello di vestirsi da competizione internazionale di motocross, farsi mezz'ora sugli argini in cerca delle pozzanghere, imbarcare più fango possibile e poi fermarsi al bar a fare la coda da pavone con l'esercente russa.
Poi c'è il "campione" quello che sa tutto. Di solito è da solo e se ne sta in disparte su di un tavolino con un bicchiere di bianco bevuto a metà e un collanone d'oro su maglia nera attillata. Ha un udito finemente selettivo ed estremamente esercitato a captare qualsiasi conversazione nella quale, trovando lo spazio vuoto tra due interlocutori che manco Pelè tra Burgnich e Facchetti, si inserisce esordendo con l'immancabile: "Te spiego mi"
Le vittime preferite sono le signore che si fanno l'aperitivo ma anche i ragazzini che si bevono il cochino di ritorno dalla partita al parchetto.
Va da sé che lui sa tutto, dal cambio del pannolino alla campagna acquisti del Milan.
Poi c'è la donna tatuata. Non è che l'essere tatuata di per sé la connoti in qualche modo, e neppure che tutte le donne tatuate vadano sempre al bar, solo che quella del bar è sempre tatuata in modo abbastanza vistoso con motivi di dubbio gusto (tribali enormi, ritratti di capi indiani, scene di caccia che manco le grotte paleozoiche). La donna tatuata di solito la voce rauca dal fumo, bestemmia come un uomo ma la si distingue da lui perché fa molte più allusioni sessuali e perché, nonostante tutto, ha un modo molto femminile di tenere bicchiere e sigaretta con la punta delle dita.
Poi c'è il telonato-furgonato (o caravan). È il professionista che si ferma per l'ultima ciacola prima di rincasare dopo aver lavorato tutto il giorno.
Il telonato furgonato parcheggia in strada, bloccando parte della carreggiata e spesso mette le quattro frecce anche se sta dentro al bar tre quarti d'ora.
Ma secondo me non è scemo: il furgone ha immancabilmente scritto nome, cognome e attività svolta. Punta tutto sulla pubblicità, anche se un aggeggio che ti blocca la strada secondo me non è tutta sta pubblicità positiva.
Si evince, in ogni caso, che il professionista astemio non lavora un cazzo.
L'ultimo avventore tipo è il Suvvista.
Il Suvvista ha il SUV. Enorme!
Freud scriverebbe libri sulla necessità di comprarsi macchine così grandi, ma per sua fortuna (di Freud) è morto prima della moda dei SUV.
Il Suvvista non si ferma al bar al ritorno dal lavoro come il telonato-furgonato (o caravan). Lui va a casa, si lava e si tira di fino e prende il SUV appena lavato (come facciano i SUV ad essere sempre puliti rimane un mistero) e va al bar. Prende il SUV anche se abita dall'altra parte della strada. Siccome il posti in strada li ha occupati il telonato-furgonato (che lo batte sul tempo perché non va a casa a cambiarsi) lui parcheggia sul marciapiedi, sui gradini del bar o, al limite, dietro al bancone.
Perché il Suvvista aborra l'attività fisica, foss'anche di pochi passi.
Chissà se anche lui ha avuto un padre che gli rompeva le balle perché andasse in giro in bici o a piedi?
hai visto mai che vi rimane voglia di leggere, l'altro giorno stavo da genitoricrescono con tema Expo
Poi c'è sempre la possibilità di fare un giretto dalle parti di Occhio al Nikio a sostenere questi 10 folli che si vogliono correre la Venice Marathon
I quarant'anni mi hanno portato questa vena salutista (assolutamente riparatoria) per cui la macchina la prendo il meno possibile. Stessa cosa cerco di inculcare nei figli: a piedi o in bici si gira meglio, non c'è da trovare parcheggio, ci si allena di più e si fanno muscoli come i supereroi (Captain America ha girato un sacco in bici, prima di quell'iniezione che lo ha gonfiato come un canotto), si prende aria buona e si inquina meno.
I miei figli, siccome li considero ne più ne meno che normali (e per fortuna, aggiungerei), in preadolescenza rifiuteranno questa e tutte le altre cose che gli diciamo: mangeranno merda, useranno il motorino anche per andare in bagno e godranno del loro fisico che si ricopre di strati adiposi.
Ma fino ad allora si gira a piedi o in bici. Punto!
Certo, tutto parrebbe da sogno. Fino al bar.
Al bar c'è sempre una macchina parcheggiata sul marciapiedi e non ci si passa né in bici né a piedi. Salvo scendere in strada e farsi stirare i pantaloni dal tir che passa immancabilmente proprio in quel momento lì.
Strana gente quella del bar.
Per primo ci vanno tutti i giorni, immancabile. Il momento cloux è quello prima di cena, l'ora dell'aperitivo. Anche se in molti non disdegnano neppure il dopo (e di solito ritornano).
Da questo punto di vista il bar è aggregazione e devo dire che un pelino li invidio perché sono ancora di quelli che cercano di vivere il paese nel senso più stretto del termine (avrà senso quast'ultima frase? Mah!?)
Il bello è che si trovano tutti e stanno là a parlare e bestemmiare fino ad ora di cena anche se apparentemente non hanno nulla in comune.
C'è il vecchietto ciompo: senza una gamba ed un occhio che gira con la motoretta elettrica. Una volta correvo e l'ho incrociato tutto riverso sul marciapiedi che cercava di raccogliere una bottiglietta. Sembrava abbastanza in difficoltà così mi sono fermato e l'ho raccolta io.
"Che casso ghin fasso?" mi ha chiesto quando gliel'ho porta.
"Pensavo la ghe servisse"
"No!" con aria seccata facendo spallucce.
Toh! Ad essere pure gentili.
Poi al bar c'è il tipo del quad. Il Quad secondo me è una delle cose più tamarre che ci sono in circolazione ma noto, ahimè, che è piuttosto diffuso.
Lo sport preferito pare essere quello di vestirsi da competizione internazionale di motocross, farsi mezz'ora sugli argini in cerca delle pozzanghere, imbarcare più fango possibile e poi fermarsi al bar a fare la coda da pavone con l'esercente russa.
Poi c'è il "campione" quello che sa tutto. Di solito è da solo e se ne sta in disparte su di un tavolino con un bicchiere di bianco bevuto a metà e un collanone d'oro su maglia nera attillata. Ha un udito finemente selettivo ed estremamente esercitato a captare qualsiasi conversazione nella quale, trovando lo spazio vuoto tra due interlocutori che manco Pelè tra Burgnich e Facchetti, si inserisce esordendo con l'immancabile: "Te spiego mi"
Le vittime preferite sono le signore che si fanno l'aperitivo ma anche i ragazzini che si bevono il cochino di ritorno dalla partita al parchetto.
Va da sé che lui sa tutto, dal cambio del pannolino alla campagna acquisti del Milan.
Poi c'è la donna tatuata. Non è che l'essere tatuata di per sé la connoti in qualche modo, e neppure che tutte le donne tatuate vadano sempre al bar, solo che quella del bar è sempre tatuata in modo abbastanza vistoso con motivi di dubbio gusto (tribali enormi, ritratti di capi indiani, scene di caccia che manco le grotte paleozoiche). La donna tatuata di solito la voce rauca dal fumo, bestemmia come un uomo ma la si distingue da lui perché fa molte più allusioni sessuali e perché, nonostante tutto, ha un modo molto femminile di tenere bicchiere e sigaretta con la punta delle dita.
Poi c'è il telonato-furgonato (o caravan). È il professionista che si ferma per l'ultima ciacola prima di rincasare dopo aver lavorato tutto il giorno.
Il telonato furgonato parcheggia in strada, bloccando parte della carreggiata e spesso mette le quattro frecce anche se sta dentro al bar tre quarti d'ora.
Ma secondo me non è scemo: il furgone ha immancabilmente scritto nome, cognome e attività svolta. Punta tutto sulla pubblicità, anche se un aggeggio che ti blocca la strada secondo me non è tutta sta pubblicità positiva.
Si evince, in ogni caso, che il professionista astemio non lavora un cazzo.
L'ultimo avventore tipo è il Suvvista.
Il Suvvista ha il SUV. Enorme!
Freud scriverebbe libri sulla necessità di comprarsi macchine così grandi, ma per sua fortuna (di Freud) è morto prima della moda dei SUV.
Il Suvvista non si ferma al bar al ritorno dal lavoro come il telonato-furgonato (o caravan). Lui va a casa, si lava e si tira di fino e prende il SUV appena lavato (come facciano i SUV ad essere sempre puliti rimane un mistero) e va al bar. Prende il SUV anche se abita dall'altra parte della strada. Siccome il posti in strada li ha occupati il telonato-furgonato (che lo batte sul tempo perché non va a casa a cambiarsi) lui parcheggia sul marciapiedi, sui gradini del bar o, al limite, dietro al bancone.
Perché il Suvvista aborra l'attività fisica, foss'anche di pochi passi.
Chissà se anche lui ha avuto un padre che gli rompeva le balle perché andasse in giro in bici o a piedi?
hai visto mai che vi rimane voglia di leggere, l'altro giorno stavo da genitoricrescono con tema Expo
Poi c'è sempre la possibilità di fare un giretto dalle parti di Occhio al Nikio a sostenere questi 10 folli che si vogliono correre la Venice Marathon
lunedì 10 agosto 2015
La sconfitta spiegata a mio figlio
Ciao, veh?
Tutto bene? Io si, torno or ora dalle ferie.
Ma non parlo di questo.
Ci eravamo lasciati quindici giorni fa con una gara da affrontare. Magari non ve ne frega un bel niente o magari vi è sfuggito ma avevo raccontato l'esito qui.
Esito infelice, a dire il vero, e che un po' brucia: mi sono ritirato dopo poco più della metà del percorso. Un piccolo infortunio al piede.
Ci pensavo, in questi quindici giorni, molto.
Non che una gara rappresenti chissà che cosa, nella mia vita, che da fare ce n'è lo stesso, e parecchio, anche!
Ma sarebbe mentire dire che non mi è importato.
Prima cosa ho ricominciato a mangiare. Mi sono detto: sono in ferie e va in malora anche la dieta. Ma le ferie sono un pretesto, solo che in un anno di dieta io non ho trovato ancora un modo più efficace per sfogare la frustrazione.
O meglio: ci sarebbe la corsa, ma se poi mi ritiro diventa frustrante pure quella, mentre una tavoletta di cioccolato ed un pezzo di parmigiano, vuoi mettere?
Non ti deludono mai.
No, nulla di devastante, ma credo che un paio di chili siano tornati a salutarmi per le vacanze. Quindi l'obiettivo del rientro è ricacciarli da dove son venuti.
Ma neppure questo è il vero scotto.
La cosa più dura è dire a casa che ti sei ritirato.
Silver, che per mesi mi ha dato del pazzo per il solo fatto di essermi iscritto, era più demoralizzata di me; che se la chiamavo prima di fare l'insano gesto, avrebbe saputo darmi qualche dritta per risolvere il problema.
Vabbè, pazienza, la prossima volta terrò presente che un medico in casa può essere utile anche nei trail.
Poi i figli, in particolare Jack che è tutto sua madre e non digerisce bene le sconfitte.
"Io non volevo che ti ritiravi" (non pretendo i congiuntivi da un bimbo di neppure 5 anni).
"Mi faceva molto male un piede e continuare significava magari non riuscire a camminare bene durante le vacanze e non fare cose belle insieme"
"Ma uffa, io non volevo che tu ti ritiravi"
"Nemmeno io mi volevo ritirare, ma in tanti si sono ritirati e anche io"
"Ma i tuoi amici si sono ritirati?"
"No, i miei amici sono riusciti ad arrivare"
"Ma allora perché tu no?"
"Perché io avevo male, appunto"
"..."
Lì per lì mi sembra convinto e non se ne parla più.
Ripenso ad un vecchio post, sull'eredità ingombrante che potremmo lasciare ai figli e mi dico che, almeno dal punto di vista sportivo, non avrò questo problema.
Poi un giorno andiamo a camminare in montagna, facciamo addirittura un pezzetto della gara, al contrario.
Ad ogni passo l'ammirazione di mia moglie pare aumentare: "Ma come avete fatto a fare questo in discesa sotto il dio di acqua che c'era quella notte?"
I ragazzi invece sono più per l'interesse balistico e si esaltano: "Tu qui riuscivi a correre?" "Qui correvi o camminavi?" "Superavi o ti superavano?"
Il tutto per dimostrarmi che hanno una gran bella gambetta; Maria ci stacca, fiera di aver capito come funziona la tracciatura dei sentieri e corricchia addirittura in salita. Pee sale come un gatto sulle creste di roccia, assicurandosi che la madre tenga il passo.
Jack invece tiene duro: come il padre non ha il fisico da scalatore ma un grande entusiasmo e fantastica di gare future fatte assieme, partendo di notte con la pila in testa e poi la mamma che ci aspetta tutti all'arrivo (con Pietro, che lui dice che di notte dorme e col cavolo che viene a correre in montagna).
Poi, dopo un paio d'ore di fatica, le gambe iniziano a cedere, è il momento di insegnare cosa significa tenere duro.
"Papi, io faccio come te: mi ritiro!"
Passatemi il parmigiano, va.
(non vi state dimenticando di fare un giretto di tanto in tanto sul nostro bel progettino Occhio al Nikio, vero?)
Tutto bene? Io si, torno or ora dalle ferie.
Ma non parlo di questo.
Ci eravamo lasciati quindici giorni fa con una gara da affrontare. Magari non ve ne frega un bel niente o magari vi è sfuggito ma avevo raccontato l'esito qui.
Esito infelice, a dire il vero, e che un po' brucia: mi sono ritirato dopo poco più della metà del percorso. Un piccolo infortunio al piede.
Ci pensavo, in questi quindici giorni, molto.
Non che una gara rappresenti chissà che cosa, nella mia vita, che da fare ce n'è lo stesso, e parecchio, anche!
Ma sarebbe mentire dire che non mi è importato.
Prima cosa ho ricominciato a mangiare. Mi sono detto: sono in ferie e va in malora anche la dieta. Ma le ferie sono un pretesto, solo che in un anno di dieta io non ho trovato ancora un modo più efficace per sfogare la frustrazione.
O meglio: ci sarebbe la corsa, ma se poi mi ritiro diventa frustrante pure quella, mentre una tavoletta di cioccolato ed un pezzo di parmigiano, vuoi mettere?
Non ti deludono mai.
No, nulla di devastante, ma credo che un paio di chili siano tornati a salutarmi per le vacanze. Quindi l'obiettivo del rientro è ricacciarli da dove son venuti.
Ma neppure questo è il vero scotto.
La cosa più dura è dire a casa che ti sei ritirato.
Silver, che per mesi mi ha dato del pazzo per il solo fatto di essermi iscritto, era più demoralizzata di me; che se la chiamavo prima di fare l'insano gesto, avrebbe saputo darmi qualche dritta per risolvere il problema.
Vabbè, pazienza, la prossima volta terrò presente che un medico in casa può essere utile anche nei trail.
Poi i figli, in particolare Jack che è tutto sua madre e non digerisce bene le sconfitte.
"Io non volevo che ti ritiravi" (non pretendo i congiuntivi da un bimbo di neppure 5 anni).
"Mi faceva molto male un piede e continuare significava magari non riuscire a camminare bene durante le vacanze e non fare cose belle insieme"
"Ma uffa, io non volevo che tu ti ritiravi"
"Nemmeno io mi volevo ritirare, ma in tanti si sono ritirati e anche io"
"Ma i tuoi amici si sono ritirati?"
"No, i miei amici sono riusciti ad arrivare"
"Ma allora perché tu no?"
"Perché io avevo male, appunto"
"..."
Lì per lì mi sembra convinto e non se ne parla più.
Ripenso ad un vecchio post, sull'eredità ingombrante che potremmo lasciare ai figli e mi dico che, almeno dal punto di vista sportivo, non avrò questo problema.
Poi un giorno andiamo a camminare in montagna, facciamo addirittura un pezzetto della gara, al contrario.
Ad ogni passo l'ammirazione di mia moglie pare aumentare: "Ma come avete fatto a fare questo in discesa sotto il dio di acqua che c'era quella notte?"
I ragazzi invece sono più per l'interesse balistico e si esaltano: "Tu qui riuscivi a correre?" "Qui correvi o camminavi?" "Superavi o ti superavano?"
Il tutto per dimostrarmi che hanno una gran bella gambetta; Maria ci stacca, fiera di aver capito come funziona la tracciatura dei sentieri e corricchia addirittura in salita. Pee sale come un gatto sulle creste di roccia, assicurandosi che la madre tenga il passo.
Jack invece tiene duro: come il padre non ha il fisico da scalatore ma un grande entusiasmo e fantastica di gare future fatte assieme, partendo di notte con la pila in testa e poi la mamma che ci aspetta tutti all'arrivo (con Pietro, che lui dice che di notte dorme e col cavolo che viene a correre in montagna).
Poi, dopo un paio d'ore di fatica, le gambe iniziano a cedere, è il momento di insegnare cosa significa tenere duro.
"Papi, io faccio come te: mi ritiro!"
Passatemi il parmigiano, va.
(non vi state dimenticando di fare un giretto di tanto in tanto sul nostro bel progettino Occhio al Nikio, vero?)
mercoledì 3 giugno 2015
Esperto petrolium
I miei figli sono dei geni, che ve lo dico a fare. E inizio a dubitare che sia perché assomigliano al papà (che sono io, vi venisse mai la voglia di fare battute strane).
La settimana scorsa, o quella prima (diomio quanto poco scrivo!), vi raccontavo del nuovissimo trip per Harry Potter.
Bene, sta durando ancora. D'altro canto come potrebbe essere diversamente? Se pensiamo che la visione di un film singolo, come The Avengers o Frozen, potrebbe durare con esclusiva quasi assoluta per un mese buono, con una serie di otto film ci siamo garantiti la programmazione fino alla fine del 2020.
È pazzesco quanto siano condizionati da quello che vedono, comunque: i mantelli da supereroi sono diventati delle divise da Quiddich (perdono errore di scrittura, devo ancora leggere i libri), hanno tirato fuori dal garage del nonno tre vecchissime scope di vimini e le frecce di Occhio di Falco sono diventate le bacchette di sambuto.
Forti.
Ed è tutto un "Esperto Petrolio", "Stupeficium (con sputazzo incorporato)", "Alaomora", "Espeliamus" e così via.
Pietro ha addirittura inventato il suo personalissimo incantesimo, da geniaccio qual'è (d'altra parte si è autonominato Hatty Potter, visto che Jack ha i capelli biondo rossiccie e lui invece c'ha pure gli occhi azzurri).
Era davanti alla zuppa di verdura, bollente e, bacchetta in mano (era un pennarello della Carioca), ha esclamato: "Fredo Patocum"
Se non siete veneti probabilmente ignorate il significato della parola patoco. Che non è neppure facile da spiegare: può voler dire marcio, ma anche fungere da semplice rafforzativo. In questo caso Fredo patoco significa "Tanto freddo, freddo fastidioso".
Ma al di là del dialetto veneto, mi dicevo che potrebbero esserci parecchi incantesimi che potremmo usare, ad esserne davvero capaci, proprio come il misterioso Principe Mezzosangue, che aveva scritto i suoi personalissimi incantesimi ai margini del libro di pozioni.
- Il "Subitinbagnum" per le sere in cui proprio non ne vogliono sapere di andare a lavarsi e andare a letto
- Il "Laborallevia" per quelle giornate che proprio non viene mai sera.
- L' "infrigum latticinum" per quelle volte che proprio ti dimentichi di andare a fare la spesa.
E chissà quanti altri.
E visto che si parlava di mezzo sangue, mi piacerebbe lanciare il più potente incantesimo il "NegRomBiancum livella", perché i bimbi continuino a giocare con Aminata, all'asilo, e perché le ruspe siano un giochetto da muoverci la sabbia tutti assieme, dove il rischio più grande per tutti, è trovarci al massimo qualche merda di cane.
Due noticine a margine: Riparte Occhio al Nikio, cliccate e capite di che si tratta, e se avete la manina calda sulla carta di credito, saprete di averli spesi per una buona causa.
Uno dei blog che leggo sempre con gran gusto, nonostante il poco tempo, è quello di Cannibal Kid. Lui ha tutta una serie di candidature per i MIB, tra cui ha messo anche me. Finché non ci internano entrambi, io posso solo ringraziarlo virtualmente. Poi, se vi va di votare, seguite i suoi consigli.
La settimana scorsa, o quella prima (diomio quanto poco scrivo!), vi raccontavo del nuovissimo trip per Harry Potter.
Bene, sta durando ancora. D'altro canto come potrebbe essere diversamente? Se pensiamo che la visione di un film singolo, come The Avengers o Frozen, potrebbe durare con esclusiva quasi assoluta per un mese buono, con una serie di otto film ci siamo garantiti la programmazione fino alla fine del 2020.
È pazzesco quanto siano condizionati da quello che vedono, comunque: i mantelli da supereroi sono diventati delle divise da Quiddich (perdono errore di scrittura, devo ancora leggere i libri), hanno tirato fuori dal garage del nonno tre vecchissime scope di vimini e le frecce di Occhio di Falco sono diventate le bacchette di sambuto.
Forti.
Ed è tutto un "Esperto Petrolio", "Stupeficium (con sputazzo incorporato)", "Alaomora", "Espeliamus" e così via.
Pietro ha addirittura inventato il suo personalissimo incantesimo, da geniaccio qual'è (d'altra parte si è autonominato Hatty Potter, visto che Jack ha i capelli biondo rossiccie e lui invece c'ha pure gli occhi azzurri).
Era davanti alla zuppa di verdura, bollente e, bacchetta in mano (era un pennarello della Carioca), ha esclamato: "Fredo Patocum"
Se non siete veneti probabilmente ignorate il significato della parola patoco. Che non è neppure facile da spiegare: può voler dire marcio, ma anche fungere da semplice rafforzativo. In questo caso Fredo patoco significa "Tanto freddo, freddo fastidioso".
Ma al di là del dialetto veneto, mi dicevo che potrebbero esserci parecchi incantesimi che potremmo usare, ad esserne davvero capaci, proprio come il misterioso Principe Mezzosangue, che aveva scritto i suoi personalissimi incantesimi ai margini del libro di pozioni.
- Il "Subitinbagnum" per le sere in cui proprio non ne vogliono sapere di andare a lavarsi e andare a letto
- Il "Laborallevia" per quelle giornate che proprio non viene mai sera.
- L' "infrigum latticinum" per quelle volte che proprio ti dimentichi di andare a fare la spesa.
E chissà quanti altri.
E visto che si parlava di mezzo sangue, mi piacerebbe lanciare il più potente incantesimo il "NegRomBiancum livella", perché i bimbi continuino a giocare con Aminata, all'asilo, e perché le ruspe siano un giochetto da muoverci la sabbia tutti assieme, dove il rischio più grande per tutti, è trovarci al massimo qualche merda di cane.
Due noticine a margine: Riparte Occhio al Nikio, cliccate e capite di che si tratta, e se avete la manina calda sulla carta di credito, saprete di averli spesi per una buona causa.
Uno dei blog che leggo sempre con gran gusto, nonostante il poco tempo, è quello di Cannibal Kid. Lui ha tutta una serie di candidature per i MIB, tra cui ha messo anche me. Finché non ci internano entrambi, io posso solo ringraziarlo virtualmente. Poi, se vi va di votare, seguite i suoi consigli.
mercoledì 20 maggio 2015
Expelliarmus
Si, la nuova fissa in casa è Harry Potter.
Capirai, direte, ormai è vecchio.
Vabbè, che vi devo dire, questo passa il convento.
Di fatto succedono delle cose: la prima è che c'era da passare un sabato a casa e, visto che poi ci siamo visti con le cugine grandi, loro hanno portato il cofanetto di Harry Potter. "Tanto La pietra filosofale la possono guardare anche i bambini".
Eccerto!
Il punto è che i bimbi non sono mica scemi, vedono che il cofanetto è grande così e che dentro di DVD ce ne sono 8.
Per cui, giurando con il nostro sangue di genitori babbani (ma ben attenti a non macchiare la copertina) che il suddetto cofanetto non sarebbe stato sgualcito, la cuginona adolescente ha acconsentito a lasciarcelo per qualche settimana, giusto il tempo di vederceli tutti.
La seconda cosa che succede è che c'era bisogno di staccare un po' dai supereroi. Non perché siano nocivi, ma perché, dicono le maestre, i maschietti in genere avrebbero la tendenza a menarsi all'asilo impersonando i supereroi. La cosa bella è che questo lo dice la maestra di Maria, non quella di Giacomo e Pietro, ma pure a casa i giochi sono piuttosto fisici e i nervi stavano saltando (i nostri, per inciso).
Ergo basta supereroi e porte aperte a maghetti e streghette che, pur essendo alquanto dark, soprattutto nella seconda metà degli episodi, non concedono molto allo scontro fisico.
Fino a qui tutto bene.
O meglio: non che si capisca un granché, visto che ogni singola battuta è sottolineata da un "Ma chi è (inserire nome)?" o da un "Ma perché (Nome) ha detto/fatto?" oppure da un classico "Dov'è andato, ma dopo torna?"
Non essendo io ferrato sull'argomento, mi tocca ripassare e guardarmelo nottetempo, almeno per tener dietro alla trama. Che oltretutto ero sicurissimo di aver visto "Il calice di fuoco" al cinema del quale però mi sono reso conto di non ricordare quasi nulla, e di non aver mai approcciato in vita mia "L'ordine della fenice" che invece ricordavo tutto. Mah!?
Sarà stato un incantesimo.
Su Silver non posso contare più di tanto: tempo dieci minuti e cade nell' Oblivion e si addormenta, salvo poi domandarsi in continuazione come sia possibile che Ermione preferisca quel torsolo buono a nulla di Ron mentre Harry perda la testa per quella gatta morta di Jean (che in effetti come storia d'amore, almeno nei film, non è che sia tutta sta passione).
Stavo perfino pensando di leggermi i libri, per approfondire.
Mi piacerebbe trovarci una bacchetta magica, anche da pochi soldi, con qualche formuletta magica per risolvere alcune spinose situazioni. In latino ero una chiavica, ma se ben motivato, secondo me...
Capirai, direte, ormai è vecchio.
Vabbè, che vi devo dire, questo passa il convento.
Di fatto succedono delle cose: la prima è che c'era da passare un sabato a casa e, visto che poi ci siamo visti con le cugine grandi, loro hanno portato il cofanetto di Harry Potter. "Tanto La pietra filosofale la possono guardare anche i bambini".
Eccerto!
Il punto è che i bimbi non sono mica scemi, vedono che il cofanetto è grande così e che dentro di DVD ce ne sono 8.
Per cui, giurando con il nostro sangue di genitori babbani (ma ben attenti a non macchiare la copertina) che il suddetto cofanetto non sarebbe stato sgualcito, la cuginona adolescente ha acconsentito a lasciarcelo per qualche settimana, giusto il tempo di vederceli tutti.
La seconda cosa che succede è che c'era bisogno di staccare un po' dai supereroi. Non perché siano nocivi, ma perché, dicono le maestre, i maschietti in genere avrebbero la tendenza a menarsi all'asilo impersonando i supereroi. La cosa bella è che questo lo dice la maestra di Maria, non quella di Giacomo e Pietro, ma pure a casa i giochi sono piuttosto fisici e i nervi stavano saltando (i nostri, per inciso).
Ergo basta supereroi e porte aperte a maghetti e streghette che, pur essendo alquanto dark, soprattutto nella seconda metà degli episodi, non concedono molto allo scontro fisico.
Fino a qui tutto bene.
O meglio: non che si capisca un granché, visto che ogni singola battuta è sottolineata da un "Ma chi è (inserire nome)?" o da un "Ma perché (Nome) ha detto/fatto?" oppure da un classico "Dov'è andato, ma dopo torna?"
Non essendo io ferrato sull'argomento, mi tocca ripassare e guardarmelo nottetempo, almeno per tener dietro alla trama. Che oltretutto ero sicurissimo di aver visto "Il calice di fuoco" al cinema del quale però mi sono reso conto di non ricordare quasi nulla, e di non aver mai approcciato in vita mia "L'ordine della fenice" che invece ricordavo tutto. Mah!?
Sarà stato un incantesimo.
Su Silver non posso contare più di tanto: tempo dieci minuti e cade nell' Oblivion e si addormenta, salvo poi domandarsi in continuazione come sia possibile che Ermione preferisca quel torsolo buono a nulla di Ron mentre Harry perda la testa per quella gatta morta di Jean (che in effetti come storia d'amore, almeno nei film, non è che sia tutta sta passione).
Stavo perfino pensando di leggermi i libri, per approfondire.
Mi piacerebbe trovarci una bacchetta magica, anche da pochi soldi, con qualche formuletta magica per risolvere alcune spinose situazioni. In latino ero una chiavica, ma se ben motivato, secondo me...
lunedì 30 marzo 2015
La Notte al Museo
Penso che i figli spesso sono un bel alibi.
Per me, almeno. Io sono pigro e sedentario e non mi muoverei mai di casa. Salvo qualche scatto di orgoglio, anche tardivo, non avrei difficoltà ad immaginarmi come gli umani del film Wall-E: grassi ed inoperosi ed iperfacilitati dalla tecnologia.
Chiaro che l'arrivo di tre figli ti metta nella condizione di non muoverti, almeno per un po' di tempo. Solo che poi ti abitui e l'abitudine è sempre un pericolo.
Così ti trovi a passare le domeniche a casa, senza nemmeno il conforto di 90° minuto, che il calcio ormai lo seguo pochissimo e i bimbi non lo vogliono guardare perché parlano troppo. E, tra parentesi, se quando ero piccolo i programmi sportivi fossero stati i talk show di ora, probabilmente non li avrei mai mai guardati neppure io.
Silver che stira, io che cucino e i bimbi che si annoiano o litigano. E fu sera e fu mattina.
Ma per fotuna si lavora e il lavoro ti consente dei diversivi. Nel senso che talvolta chiede di lavorare anche il sabato e la domenica.
Cheppalle, potreste dire.
Infatti lo diciamo.
Però poi ci viene un'idea, facciamo come le arti marziali giapponesi che prendono la forza dall'attaco dell'avversario e la tramutano in un contrattacco efficace: perché non andiamo tutti al lavoro con mamma? Lei entra, fa quello che deve fare e poi ce la andiamo a riprendere e mangiamo qualche cosa in giro. Nel frattempo ci facciamo un giretto da qualche parte, un parco giochi, un chennesò.
"Uffa, voglio stare con i nonni!"
"Ma come con i nonni? Per una volta che proponiamo qualche cosa di diverso?"
"Io non vengo"
"Io voglio andare dai cugini"
Vabbè, l'adolescenza ribelle è alle porte, lo abbiamo capito. E non hanno ancora sei anni.
Comunque alla fine abbiamo visto i castelli di Giulietta e Romeo a Montecchio Maggiore. La storia l'ho molto asciugata e per una mezz'ora ho parlato di Giulietta davanti al castello di Romeo ma i ragazzetti paiono essersi goduti il tutto.
"Papà, corriamo giù per il sentiero"
(Grande Jack, questo è il figlio che voglio, cuore de papà)
"Ehm, siamo vestiti bene, facciamo che ci torniamo vestiti da corsa e ci infanghiamo come si deve".
Poi pomeriggio con il colpo di matto: andiamo a vedere la mostra di Van Gogh in Basilica Palladiana.
"Ma qui è dove si corre la Ultrabericus"
Ecco, forse è proprio il caso di portarli a vedere la mostra, così si fanno una cultura anche al di fuori delle ossessioni di loro padre.
Uno dice: portate tre bimbi in età prescolare in un museo? Siete matti.
Invece sono stati bravissimi. E, hanno detto i nostri amici: "Si abituano a frequentare anche dei luoghi culturali fin da piccoli".
Io manco ci avevo pensato. Credevo di introdurli come un corpo estraneo e dover addomesticarli a caramelle (di cui ero fornitissimo) fino all'uscita.
Invece li vedevo girare con queste cuffiette ed il ricevitore in mano, ad ascoltare la storia di Van Gogh (che di VG ce c'erano due, per inciso) e Caravaggio e vederli affascinati dalla Venezia di Monet (a Venezia c'è la maratona, arridaje) e dalla New York di Hopper (a New York ci sono gli Avengers).
Chissà cosa avranno capito, visto che alcune cose ho fatto fatica a comprenderle io.
E d'improvviso li ho visti grandi, in un museo qualsiasi, assorti nei loro pensieri di ragazzi, o di giovani, a cercare il loro senso delle cose o semplicemente a sperare un bacio in una gita scolastica. E mi sono preso un momento per esserne fiero, così, a credito, che poi nella vita non si sa mai.
Per me, almeno. Io sono pigro e sedentario e non mi muoverei mai di casa. Salvo qualche scatto di orgoglio, anche tardivo, non avrei difficoltà ad immaginarmi come gli umani del film Wall-E: grassi ed inoperosi ed iperfacilitati dalla tecnologia.
Chiaro che l'arrivo di tre figli ti metta nella condizione di non muoverti, almeno per un po' di tempo. Solo che poi ti abitui e l'abitudine è sempre un pericolo.
Così ti trovi a passare le domeniche a casa, senza nemmeno il conforto di 90° minuto, che il calcio ormai lo seguo pochissimo e i bimbi non lo vogliono guardare perché parlano troppo. E, tra parentesi, se quando ero piccolo i programmi sportivi fossero stati i talk show di ora, probabilmente non li avrei mai mai guardati neppure io.
Silver che stira, io che cucino e i bimbi che si annoiano o litigano. E fu sera e fu mattina.
Ma per fotuna si lavora e il lavoro ti consente dei diversivi. Nel senso che talvolta chiede di lavorare anche il sabato e la domenica.
Cheppalle, potreste dire.
Infatti lo diciamo.
Però poi ci viene un'idea, facciamo come le arti marziali giapponesi che prendono la forza dall'attaco dell'avversario e la tramutano in un contrattacco efficace: perché non andiamo tutti al lavoro con mamma? Lei entra, fa quello che deve fare e poi ce la andiamo a riprendere e mangiamo qualche cosa in giro. Nel frattempo ci facciamo un giretto da qualche parte, un parco giochi, un chennesò.
"Uffa, voglio stare con i nonni!"
"Ma come con i nonni? Per una volta che proponiamo qualche cosa di diverso?"
"Io non vengo"
"Io voglio andare dai cugini"
Vabbè, l'adolescenza ribelle è alle porte, lo abbiamo capito. E non hanno ancora sei anni.
Comunque alla fine abbiamo visto i castelli di Giulietta e Romeo a Montecchio Maggiore. La storia l'ho molto asciugata e per una mezz'ora ho parlato di Giulietta davanti al castello di Romeo ma i ragazzetti paiono essersi goduti il tutto.
"Papà, corriamo giù per il sentiero"
(Grande Jack, questo è il figlio che voglio, cuore de papà)
"Ehm, siamo vestiti bene, facciamo che ci torniamo vestiti da corsa e ci infanghiamo come si deve".
Poi pomeriggio con il colpo di matto: andiamo a vedere la mostra di Van Gogh in Basilica Palladiana.
"Ma qui è dove si corre la Ultrabericus"
Ecco, forse è proprio il caso di portarli a vedere la mostra, così si fanno una cultura anche al di fuori delle ossessioni di loro padre.
Uno dice: portate tre bimbi in età prescolare in un museo? Siete matti.
Invece sono stati bravissimi. E, hanno detto i nostri amici: "Si abituano a frequentare anche dei luoghi culturali fin da piccoli".
Io manco ci avevo pensato. Credevo di introdurli come un corpo estraneo e dover addomesticarli a caramelle (di cui ero fornitissimo) fino all'uscita.
Invece li vedevo girare con queste cuffiette ed il ricevitore in mano, ad ascoltare la storia di Van Gogh (che di VG ce c'erano due, per inciso) e Caravaggio e vederli affascinati dalla Venezia di Monet (a Venezia c'è la maratona, arridaje) e dalla New York di Hopper (a New York ci sono gli Avengers).
Chissà cosa avranno capito, visto che alcune cose ho fatto fatica a comprenderle io.
E d'improvviso li ho visti grandi, in un museo qualsiasi, assorti nei loro pensieri di ragazzi, o di giovani, a cercare il loro senso delle cose o semplicemente a sperare un bacio in una gita scolastica. E mi sono preso un momento per esserne fiero, così, a credito, che poi nella vita non si sa mai.
venerdì 27 marzo 2015
Dovunque vada (con i figli in macchina)
Maybe
I'm bound to wander
“Ma
la mamma è già arrivata a casa?”
From one place to
the next
“Si,
penso di si, quando arriviamo vediamo”
Heaven knows why
Heaven knows why
“Arriva
sempre tardi”
But in the wild blue yonder
But in the wild blue yonder
“Non
è vero che arriva sempre tardi. E comunque la settimana scorsa siamo
arrivati presto e vi siete lamentati perché volevate giocare ancora
con i cuginetti”
Your star is fixed in my sky
Your star is fixed in my sky
“Ho
visto un trattore Fendt” “Io
no, papi, torna indietro”
Just another bar at a crossroads
Just another bar at a crossroads
“Non esiste, dai che dobbiamo tornare a casa”
So far from home
So far from home
“Uffa, non è giusto! I trattori sono sempre dalla parte di
Pietro”
But that's alright
But that's alright
“Ma non è vero!”
Whenever I'm going down a dark road
Whenever I'm going down a dark road
“Uffa, ma quando diventa verde 'sto semaforo?”
I don't feel alone in the night
I don't feel alone in the night
“Che bella questa chitarra! Sei tu che suoni papà?”
There's a place in my heart
“Uh! No,
tesoro, questo è Mark Knopfler. È il mio chitarrista preferito,
bravo vero?”
Though we're far apart
Though we're far apart
“È bellissima”
May you always know
May you always know
“Hai ottimi
gusti, Mary”
No matter how long since I saw you
No matter how long since I saw you
“E la ragazza
ha una voce bellissima”
I'll keep a flame there for you
I'll keep a flame there for you
“Bellissima, si”
Wherever I go
“Guarda! C'è un
signore con l'aspirapolvere in quella casa”
martedì 10 marzo 2015
Tormento
"A fine marzo cambiano l'orario".
C'è una ragazza, qui dove lavoro, che non ripete altro dal primo giorno del mese. La stessa cosa succede ad ottobre, ovviamente.
Lo fa svariate volte al giorno, al punto che qualcuno ha proposto una raccolta firme per spostare il solstizio e l'equinozio (se non si può almeno il passaggio dell'ora) ai primi di marzo.
Ma non è di questo che volevo parlare.
Mi scappava di parlare dei tormentoni.
Negli ultimi giorni mi metto a ridere da solo quando penso a mio figlio Jack che dice: «Stasera mangiamo Cose buOOONEE».
Fa una faccia lunga, enfatica, e fa davvero sganasciare.
Così continuiamo a farglielo ripetere. E ride lui e ridiamo noi. Cercando di non trasformarlo in una scimmia ammaestrata (che per quello di solito ci sono zii e nonni).
Pensate che le mie nipoti, la più grande delle quali è in età da moroso già da un po', chiama ancora Iaia mia moglie. Perché ad un certo punto ha pure imparato a dirlo il nome della zia, ma tutti a dirle: «Ma non la chiami più Iaia, che era tanto bello?»
Poi uno dice che Zelig fa successo; te credo, che ungiamo tormentoni fin dalla più tenera età.
Poi a volte arrivano al limite dell'ossessivo compulsivo: «Hai già chiuso tutte le porte? Dopo mi vieni ancora a salutare, prima di andare a letto?»
Però si addormentano subito, da soli, alle 20,45.
Voi lo cambiate un rito così? Voglio dire, senza che ve lo dica uno psichiatra?
Perché, a pensarci, è quello che facciamo noi: controlliamo le porte prima di andare a letto, e passiamo a salutarli, ad assicurarci che respirino.
Lo sappiamo che respirano, non è che siamo in ansia. Ma ci fa dormire meglio passare ad accarezzare i loro capelli, a sistemare le coperte, a togliergli quel pulcioso cane di peluche sintetico che li fa sudare peggio che per la maratona.
E loro non possono fare lo stesso rito nostro, per cui chiedono a noi di farlo per loro.
E, so di averlo già detto, a me questa atmosfera piace un sacco: c'è silenzio, la luce soffusa. Controllo porte e finestre e ascolto il loro respiro. Soprattutto quando devo lavorare alla sera e torno che sono già a letto. Faccio il giro e sto bene: è il mio rito prima di dormire, la lucina che illumina la mia notte.
"A fine marzo cambiano l'orario".
C'è una ragazza, qui dove lavoro, che non ripete altro dal primo giorno del mese. La stessa cosa succede ad ottobre, ovviamente.
Lo fa svariate volte al giorno, al punto che qualcuno ha proposto una raccolta firme per spostare il solstizio e l'equinozio (se non si può almeno il passaggio dell'ora) ai primi di marzo.
Ma non è di questo che volevo parlare.
Mi scappava di parlare dei tormentoni.
Negli ultimi giorni mi metto a ridere da solo quando penso a mio figlio Jack che dice: «Stasera mangiamo Cose buOOONEE».
Fa una faccia lunga, enfatica, e fa davvero sganasciare.
Così continuiamo a farglielo ripetere. E ride lui e ridiamo noi. Cercando di non trasformarlo in una scimmia ammaestrata (che per quello di solito ci sono zii e nonni).
Pensate che le mie nipoti, la più grande delle quali è in età da moroso già da un po', chiama ancora Iaia mia moglie. Perché ad un certo punto ha pure imparato a dirlo il nome della zia, ma tutti a dirle: «Ma non la chiami più Iaia, che era tanto bello?»
Poi uno dice che Zelig fa successo; te credo, che ungiamo tormentoni fin dalla più tenera età.
Poi a volte arrivano al limite dell'ossessivo compulsivo: «Hai già chiuso tutte le porte? Dopo mi vieni ancora a salutare, prima di andare a letto?»
Però si addormentano subito, da soli, alle 20,45.
Voi lo cambiate un rito così? Voglio dire, senza che ve lo dica uno psichiatra?
Perché, a pensarci, è quello che facciamo noi: controlliamo le porte prima di andare a letto, e passiamo a salutarli, ad assicurarci che respirino.
Lo sappiamo che respirano, non è che siamo in ansia. Ma ci fa dormire meglio passare ad accarezzare i loro capelli, a sistemare le coperte, a togliergli quel pulcioso cane di peluche sintetico che li fa sudare peggio che per la maratona.
E loro non possono fare lo stesso rito nostro, per cui chiedono a noi di farlo per loro.
E, so di averlo già detto, a me questa atmosfera piace un sacco: c'è silenzio, la luce soffusa. Controllo porte e finestre e ascolto il loro respiro. Soprattutto quando devo lavorare alla sera e torno che sono già a letto. Faccio il giro e sto bene: è il mio rito prima di dormire, la lucina che illumina la mia notte.
giovedì 5 febbraio 2015
Massa grassa
Se io fossi una donna il titolo sarebbe un bellissimo gioco di parole in veneto.
"Massa" significa "troppo".
A parte che un po' donna lo sono, ho scoperto.
Una collega mi disse tanto tempo fa che ho una sensibilità quasi femminile (come se ci fossero dei parametri a definirla) e che mi mancava solo l'utero per essere una vera donna con le palle.
A me il complimento aveva fatto piacere, anche perché, vi assicuro, a vedermi tutto posso sembrare fuorché una donna.
Ma si vede che il mio fisico ci teneva a non contraddire questa collega esperta, al quale tra l'altro sono molto affezionato, e se n'è uscito con una specie di mastite. I sintomi erano quelli, almeno.
Ginecomastia, la chiamano. Praticamente è del tessuto mammario nei maschi che, se si infiamma a causa di sudore, o piccole lesioni, dà i sintomi della mastite.
Che chiulo, veh?
Va ben, niente di grave. Silver diceva che potevamo fare un trapianto tra me e lei, anche se ormai non ho tutte ste gran tette.
Eh si perché il dimagrimento continua, lento ma inesorabile. 80 Kg sulla bilancia del dottore, che rispetto alla mia è abbondante ma, chiaramente, ha torto marcio, nel ostinarsi a segnarmi un chilo in più rispetto a casa.
Mi viene da sorridere se penso a questo post di un paio di anni fa, quando si vedeva la terza cifra fare capolino sul display.
Oramai anche il dietologo belloccio e tenebroso si scompone: mi concede delle noccioline al pomeriggio, in attesa della cena e mi da del tu. Mi dice anche che il BMI non è un valore indicativo... ma come, se sono qui che ho già messo in fresca il vino per quando andrò sotto ai fatidici 25 punti (perché ci andrò sotto a quei maledetti 25 punti)
Ahi ahi... se perdiamo la giusta distanza poi io non mi sento più in soggezione e rischio di non essere più tanto ligio.
D'altro canto il mio fascino è ormai irresistibile, come dargli torto.
Poi ha iniziato a correre anche lui e non so perché c'è sta solidarietà tra runners anche se io sono una mezzasega.
Va ben, forse perché incombe questa cosa della Ultrabericus e per un corridore medio pare irraggiungbile. Poi però leggi in giro per cercare consigli e tanti non parlano di km ma di ore sulle gambe.
Diobon! Ore sulle gambe!
Ma allora qualsiasi genitore può andare a farsi un ultra-trail già domenica prossima.
Prendete Silver e me in una domenica tipo: sveglia alle 5 e mezza, corsetta, doccia, colazione al volo, cambia i bimbi, gioco all'aperto (es: insegna ai gemelli ad andare senza ruotine in bicicletta), pranzo, passeggiata se c'è il sole, visita a salutare i nonni, rientro, merenda, seda la rissa fra i figli che non si accodano per il dvd, stira o cucina, lava e cambia i pargoli, cena, ultimo sforzo per portare tutti a letto. Alle 21 stramazzi sul divano e non rimani sveglio nemmeno se danno un film che monta assieme le scene thriller de "Il Silenzio degli innocenti" e quelle di sesso di "Basic Instinct". Al netto di qualche pausa seduto fanno almeno 12-13 ore in piedi. Ben più di quanto spero di metterci a completare la UB.
Genitori di tutto il mondo! Iscrivetevi ad un ultratrail!
Facciamogli vedere noi!
"Massa" significa "troppo".
A parte che un po' donna lo sono, ho scoperto.
Una collega mi disse tanto tempo fa che ho una sensibilità quasi femminile (come se ci fossero dei parametri a definirla) e che mi mancava solo l'utero per essere una vera donna con le palle.
A me il complimento aveva fatto piacere, anche perché, vi assicuro, a vedermi tutto posso sembrare fuorché una donna.
Ma si vede che il mio fisico ci teneva a non contraddire questa collega esperta, al quale tra l'altro sono molto affezionato, e se n'è uscito con una specie di mastite. I sintomi erano quelli, almeno.
Ginecomastia, la chiamano. Praticamente è del tessuto mammario nei maschi che, se si infiamma a causa di sudore, o piccole lesioni, dà i sintomi della mastite.
Che chiulo, veh?
Va ben, niente di grave. Silver diceva che potevamo fare un trapianto tra me e lei, anche se ormai non ho tutte ste gran tette.
Eh si perché il dimagrimento continua, lento ma inesorabile. 80 Kg sulla bilancia del dottore, che rispetto alla mia è abbondante ma, chiaramente, ha torto marcio, nel ostinarsi a segnarmi un chilo in più rispetto a casa.
Mi viene da sorridere se penso a questo post di un paio di anni fa, quando si vedeva la terza cifra fare capolino sul display.
Oramai anche il dietologo belloccio e tenebroso si scompone: mi concede delle noccioline al pomeriggio, in attesa della cena e mi da del tu. Mi dice anche che il BMI non è un valore indicativo... ma come, se sono qui che ho già messo in fresca il vino per quando andrò sotto ai fatidici 25 punti (perché ci andrò sotto a quei maledetti 25 punti)
Ahi ahi... se perdiamo la giusta distanza poi io non mi sento più in soggezione e rischio di non essere più tanto ligio.
D'altro canto il mio fascino è ormai irresistibile, come dargli torto.
Poi ha iniziato a correre anche lui e non so perché c'è sta solidarietà tra runners anche se io sono una mezzasega.
Va ben, forse perché incombe questa cosa della Ultrabericus e per un corridore medio pare irraggiungbile. Poi però leggi in giro per cercare consigli e tanti non parlano di km ma di ore sulle gambe.
Diobon! Ore sulle gambe!
Ma allora qualsiasi genitore può andare a farsi un ultra-trail già domenica prossima.
Prendete Silver e me in una domenica tipo: sveglia alle 5 e mezza, corsetta, doccia, colazione al volo, cambia i bimbi, gioco all'aperto (es: insegna ai gemelli ad andare senza ruotine in bicicletta), pranzo, passeggiata se c'è il sole, visita a salutare i nonni, rientro, merenda, seda la rissa fra i figli che non si accodano per il dvd, stira o cucina, lava e cambia i pargoli, cena, ultimo sforzo per portare tutti a letto. Alle 21 stramazzi sul divano e non rimani sveglio nemmeno se danno un film che monta assieme le scene thriller de "Il Silenzio degli innocenti" e quelle di sesso di "Basic Instinct". Al netto di qualche pausa seduto fanno almeno 12-13 ore in piedi. Ben più di quanto spero di metterci a completare la UB.
Genitori di tutto il mondo! Iscrivetevi ad un ultratrail!
Facciamogli vedere noi!
martedì 27 gennaio 2015
Eppure deve esserci un modo
Eppure
deve esserci un modo...
Si,
mi sto ancora arrovellando sulla questione della settimana scorsa.
No, non la spalla, che va un po' meglio, grazie a tutti quelli che
hanno manifestato solidarietà, ma la mia voglia di raccontare ai
ragazzi qualche cosa sulla giornata della memoria.
Ho
provato qualche “abbocco”, buttando lì una frase a cena tipo:
“domani è la Giornata della Memoria, certo che è pazzesco quello
che hanno fatto i nazisti nei lager”. Niente continuano a
giochicchiare con il piatto e la minestra.
Eppure
se dici a mezza voce “Certo che la taldeitali è proprio una
grandissima zoccola” immediatamente Marichan parte con “Chi?
Mamma chi? Papà chi? Di chi parlate?”
“Ma
niente, Maria, di una compagna di scuola della nonna che abita
lontano”
Eppure
deve esserci un modo...
Tempo
fa non riuscivo a spiegarmi perché non ci fosse un'inica giornata
della memoria, per le vittime di tutte le dittature e lo incorniciavo
nella solita difficoltà ad elevare lo sguardo al di sopra della
classica divisione “di destra” e “di sinistra” .
Ma
sbagliavo, al netto della politicizzazione che c'è indubbiamente
stata, forse di giorni della memoria ne servirebbero ben di più e
dovrebbero essere così tanti da non riuscire più a distingure la
destra dalla sinistra, proprio come le dittature che, alla fine,
finiscono per assomigliarsi anche se sono partiti da assunti
completamente differenti.
Eppure
deve esserci un modo...
Da
quanto tempo sento parlare della Shoah? Quando ero piccolo
sicuramente non se ne parlava. Credo che non sia mai capitato alle
elementari (poi il ricordo è molto sfumato, se vogliamo lasciare il
beneficio del dubbio). So per certo che per la gita di terza media a
Vienna (ho fatto le scuole in centro, c'erano li ricchi) si era
ipotizzato un passaggio a Mauthausen ma poi non ci si è andati.
C'era la canzone di Guccini, si, che si capiva quasi solo dal titolo,
se nessuno te la spiegava.
E
basta, non ho memoria di giorni della memoria. Quindi, mi dico, se
anche non comincio subito, ora che hanno cinque anni, non può
succedere nulla di male.
Eppure
deve esserci un modo...
Se
nonostante tutto, nonostante siano anni che si vedono film e
documentari, si leggono storie, ancora ci lascia di sale, conoscere
quello che è stato, quello che ancora è in molte parti del mondo e
a volte ho l'impressione che preferiamo pensare all'orrore passato
per non dover affrontare quello presente ma comunque non ci lascia
indifferenti, mai.
Eppure
deve esserci un modo...
Per
quei bimbi là, che sono passati per quei campi ed hanno vissuto la
morte. Saranno riusciti quelle mamme e quei papà a spiegare ai loro
figli tutto quell'atrocità?
Io
non ne sarei capace, sono sincero. Perfino ora, con il culo al caldo,
non riesco a trovare le parole.
venerdì 23 gennaio 2015
Il Monco
Scusami Stratobabbo, che ti trascuro un po'.
Mi auguro tu non me ne voglia, nemmeno per i pensieri più cattivi, che ad un certo punto ho pensato perfino di chiuderti.
No, non di sostituirti, come qualche web-amica ha fatto, proprio chiudere baracca e burattini.
Poi ho pensato che ci conosciamo da quasi quattro anni e qualche settimana di silenzio non poteva essere tutto questo dramma.
Il punto è che scrivo solo se ne ho voglia e, nel caso, se capita di avere tempo. Due condizioni che non sempre capitano in contemporanea.
In più non sto tanto bene, sai?
Ho una spalla che fa malissimo, e da un po' sto facendo delle terapie che portano via un po' di tempo e, per il momento, fanno ancora più male.
Ho un braccio quasi immobilizzato. Mi sembra di essere "Il monco", il personaggio di Sergio Leone interpretato da Clint Eastwood in "Per qualche dollaro in più". La barba c'è, l'iride chiara pure, le rughette attorno agli occhi anche. Come magrezza ci stiamo lavorando.
Manca la pistola da estrarre, unico movimento che il solitario cowboy riusciva a fare con il braccio destro.
Caspita, nemmeno quella soddisfazione.
Meglio: di notte dormo pochissimo per il male, così al mattino non mi alzo per correre e tutto l'insieme mi fa girare i coglioni a pala eolica; meglio non avere una pistola a portata di mano quando lo statod'animo è così.
La cosa peggiore è che è un male da vecchio. Periartrite, pare. E Maria l'abbiamo iscritta alla prima elementare, il tempo passa. Non mi manca quand'era piccola e cicciottella ma mi fa effetto pensare che quei momenti sono passati. Semplicemente passati. Mi consola pensarli vissuti.
L'altra sera ha voluto sapere la storia delle Torri Gemelle e dell'11 settembre.
Tra qualche giorno è il Giorno della Memoria; ho pensato che qualcosa, in qualche modo, mi piacerebbe riuscire a raccontarle.
Ti lascio, Stratobabbo, vado a pensare a come fare. Se funziona, torno a raccontartelo.
Mi auguro tu non me ne voglia, nemmeno per i pensieri più cattivi, che ad un certo punto ho pensato perfino di chiuderti.
No, non di sostituirti, come qualche web-amica ha fatto, proprio chiudere baracca e burattini.
Poi ho pensato che ci conosciamo da quasi quattro anni e qualche settimana di silenzio non poteva essere tutto questo dramma.
Il punto è che scrivo solo se ne ho voglia e, nel caso, se capita di avere tempo. Due condizioni che non sempre capitano in contemporanea.
In più non sto tanto bene, sai?
Ho una spalla che fa malissimo, e da un po' sto facendo delle terapie che portano via un po' di tempo e, per il momento, fanno ancora più male.
Ho un braccio quasi immobilizzato. Mi sembra di essere "Il monco", il personaggio di Sergio Leone interpretato da Clint Eastwood in "Per qualche dollaro in più". La barba c'è, l'iride chiara pure, le rughette attorno agli occhi anche. Come magrezza ci stiamo lavorando.
Manca la pistola da estrarre, unico movimento che il solitario cowboy riusciva a fare con il braccio destro.
Caspita, nemmeno quella soddisfazione.
Meglio: di notte dormo pochissimo per il male, così al mattino non mi alzo per correre e tutto l'insieme mi fa girare i coglioni a pala eolica; meglio non avere una pistola a portata di mano quando lo statod'animo è così.
La cosa peggiore è che è un male da vecchio. Periartrite, pare. E Maria l'abbiamo iscritta alla prima elementare, il tempo passa. Non mi manca quand'era piccola e cicciottella ma mi fa effetto pensare che quei momenti sono passati. Semplicemente passati. Mi consola pensarli vissuti.
L'altra sera ha voluto sapere la storia delle Torri Gemelle e dell'11 settembre.
Tra qualche giorno è il Giorno della Memoria; ho pensato che qualcosa, in qualche modo, mi piacerebbe riuscire a raccontarle.
Ti lascio, Stratobabbo, vado a pensare a come fare. Se funziona, torno a raccontartelo.
mercoledì 14 gennaio 2015
Curiosity Killed the Cat
Sarà che fa un freddo cane ed i neuroni si rifugiano nelle sicurezze ataviche (chissà se questa frase ha un significato?), sarà che io quando entro in un tunnel non ci esco facilmente ma, dopo aver difeso la pigrizia come un valore, questa settimana elogio la curiosità.
Chi di voi considera la curiosità una virtù?
Io!
Anche se in effetti un sacco di persone la usano in modo improprio.
Mi ricordo l'anziana zitella che portava la spazzatura al cassonetto ogni volta che nel quartiere c'era un movimento inconsueto. Che so? Una macchina diversa parcheggiata in strada davanti alla casa della bella della contrada poteva essere di un potenziale pretendente, un rumore di piatti poteva essere un litigio tra i coniugi del quarto piano e così via.
Credo che le vecchie zitelle impiccione abbiano contribuito sensibilmente al consolidamento della raccolta differenziata: più sacchetti, più giri, più informazioni.
La razza rischia l'estinzione ora che da noi c'è il porta a porta.
Stessa accezione negativa per l'ansia da controllo che porta a controllare i cellulari. Non sputo sentenze perché i miei figli non hanno il cellulare, dio sa se sarò un padre che legge di nascosto i loro sms (scoprirò gran poco se non mi rassegno al fatto che gli sms stanno scomparendo).
Peggio ancora se lo si fa con quello della moglie. Posto che io sono della teoria che è meglio rimanere nell'ignoranza o, se proprio hai dubbio, di chiarirlo in altro modo.
Ma, detto questo, mi stupisce il contrario. La poca curiosità positiva.
Cos'é?
È tipo il colesterolo buono: quella capacità di farsi domande, di cogliere i particolari e chiedersi da dove sono nati.
Siamo anestetizzati da un sacco di stimoli e perdiamo la curiosità.
Se metto un cartello sulla porta non lo legge nessuno.
Non funziona neppure più l'espediente che usò un vecchio compagno di università per ritrovare il suo libro smarrito: "Sesso gratis" scritto in grande e sotto "scusate ho perso il libro, sapete dov'è?"
Oppure leggiamo per strada "non pagare le tasse" su una decina di cartelli e mai che ti venga in mente di andare a leggere a cosa si riferisca.
Così domenica abbiamo fatto un giro, io ed un amico, seguendo delle freccette rosse che vediamo da anni e mai una volta che abbiamo pensato che potessero avere un senso. 25 km per strade conosciute, ma anche sentieri mai fatti ed ora, finalmente noti.
Il secondo augurio che faccio ai miei figli, quando dovessero vincere la pigrizia, è quello di essere curiosi.
Chi di voi considera la curiosità una virtù?
Io!
Anche se in effetti un sacco di persone la usano in modo improprio.
Mi ricordo l'anziana zitella che portava la spazzatura al cassonetto ogni volta che nel quartiere c'era un movimento inconsueto. Che so? Una macchina diversa parcheggiata in strada davanti alla casa della bella della contrada poteva essere di un potenziale pretendente, un rumore di piatti poteva essere un litigio tra i coniugi del quarto piano e così via.
Credo che le vecchie zitelle impiccione abbiano contribuito sensibilmente al consolidamento della raccolta differenziata: più sacchetti, più giri, più informazioni.
La razza rischia l'estinzione ora che da noi c'è il porta a porta.
Stessa accezione negativa per l'ansia da controllo che porta a controllare i cellulari. Non sputo sentenze perché i miei figli non hanno il cellulare, dio sa se sarò un padre che legge di nascosto i loro sms (scoprirò gran poco se non mi rassegno al fatto che gli sms stanno scomparendo).
Peggio ancora se lo si fa con quello della moglie. Posto che io sono della teoria che è meglio rimanere nell'ignoranza o, se proprio hai dubbio, di chiarirlo in altro modo.
Ma, detto questo, mi stupisce il contrario. La poca curiosità positiva.
Cos'é?
È tipo il colesterolo buono: quella capacità di farsi domande, di cogliere i particolari e chiedersi da dove sono nati.
Siamo anestetizzati da un sacco di stimoli e perdiamo la curiosità.
Se metto un cartello sulla porta non lo legge nessuno.
Non funziona neppure più l'espediente che usò un vecchio compagno di università per ritrovare il suo libro smarrito: "Sesso gratis" scritto in grande e sotto "scusate ho perso il libro, sapete dov'è?"
Oppure leggiamo per strada "non pagare le tasse" su una decina di cartelli e mai che ti venga in mente di andare a leggere a cosa si riferisca.
Così domenica abbiamo fatto un giro, io ed un amico, seguendo delle freccette rosse che vediamo da anni e mai una volta che abbiamo pensato che potessero avere un senso. 25 km per strade conosciute, ma anche sentieri mai fatti ed ora, finalmente noti.
Il secondo augurio che faccio ai miei figli, quando dovessero vincere la pigrizia, è quello di essere curiosi.
venerdì 9 gennaio 2015
Pigro, come un gatto e di più
"Non è facile rendersi conto che la propria madre è una persona poco intelligente" mi ha detto tanti anni fa il figlio di una signora che sguivo per lavoro.
Si chiama consapevolezza.
Tra tutte le fortune che so di avere avuto nella vita c'è anche questa, sapere che i miei genitori non mi hanno "tradito", nel senso che tali pensavo che fossero e tali si sono sempre rivelati, mostrandomi anche il mondo esattamente per come è o, per lo meno, per come lo vedevano loro, in maniera molto onesta.
Certo, c'era un certo bisogno di apparire e di salvare la faccia quando c'era il confronto con i figli degli amici (nessuno dei quali è stato bocciato a scuola, tanto per dirne una) ma con una sorta di orgoglio filiale ho sempre apprezzato la sofferenza silenziosa di mia madre e di mio padre che non mi hanno mai rinnegato per non essere il figlio che forse si aspettavano (anche come scelte di vita) e che sicuramente aveva disatteso le aspettative degli inizi.
In cuor mio, mi auguro che il tempo abbia dato loro ragione.
Ma se sono quello che sono, dico, non è per merito mio.
Oggi in radio parlavano di occasioni perse e la maggior parte di chi interveniva telefonando, parlava di storie amorose non realizzate.
Cristo santo, ho pensato, potrei chiamare e tenerli al telefono una mezz'ora.
E mi sono ricordato di quella ragazza della quarta G che, di ritorno dalla serata danzante durante la gita scolastica a Siena (avevamo perso l'autobus del rientro) mi aveva tenuto per mano per tutto il tempo. Era buio ed io nemmeno ricordo che faccia avesse. Onestamente forse non mi ha detto neppure il nome. Ma se oggi avesse chiamato dicendo che aveva tenuto per mano un ragazzotto per dieci km e questo pirla nemmeno l'aveva guardata, le avrei dato ragione (sul pirla).
Poi quella volta, sempre in gita scolastica, dove un gruppo di compagni rubò da uno scatolone delle magliette dell'Università di Ferrara. Quando gliele vidi indosso chiesi se ne avevano presa una in più e loro mi dissero, vattela a prendere. Non ci andai. Per paura, credo.
Fatto sta che sono stati beccati un attimo dopo e ricordo con lo stesso disagio di allora, gli occhi del prof di inglese che diceva: "Gaetano, e tu? Sicuro?"
Ed io non avevo rubato niente ma glielo avrei detto che se Andrea ne avesse rubata una in più sarei stato colpevole tanto quanto lui.
Poi a pensarci Andrea ha due lauree e anche gli altri non hanno passato la vita in riformatorio.
Ho saputo anni dopo che i professiori mi hanno sempre considerato colpevole e che nella mia bocciatura di quell'anno c'era anche la frustrazione per non avermi beccato con le mani nel sacco.
Se fosse vero, e le insufficienze che avevo non hanno aiutato, e posto che non ho nessun tipo di rimpianto, ho pagato decisamente più di quella che era la mia colpa. Un po' come se mia moglie mi mollasse perché penso che la sua amica potrei trombarmela.
Però, insomma, sono tutti episodi che in qualche modo hanno determinato il mio futuro (che poi è il presente).
Non ho mai rubato nulla, non mi sono mai fumato una canna, non ho mai tradito mia moglie.
Ma non mi considero virtuoso. Penso di essere pigro, soprattutto. O forse, a voler darsi un tono a tutti i costi, non le ho mai considerate cose importanti al punto di alzarsi dal divano per farle.
Oggi come oggi, l'unico valore che vorrei trasmettere ai miei figli è la pigrizia.
Buon week end a tutti
Si chiama consapevolezza.
Tra tutte le fortune che so di avere avuto nella vita c'è anche questa, sapere che i miei genitori non mi hanno "tradito", nel senso che tali pensavo che fossero e tali si sono sempre rivelati, mostrandomi anche il mondo esattamente per come è o, per lo meno, per come lo vedevano loro, in maniera molto onesta.
Certo, c'era un certo bisogno di apparire e di salvare la faccia quando c'era il confronto con i figli degli amici (nessuno dei quali è stato bocciato a scuola, tanto per dirne una) ma con una sorta di orgoglio filiale ho sempre apprezzato la sofferenza silenziosa di mia madre e di mio padre che non mi hanno mai rinnegato per non essere il figlio che forse si aspettavano (anche come scelte di vita) e che sicuramente aveva disatteso le aspettative degli inizi.
In cuor mio, mi auguro che il tempo abbia dato loro ragione.
Ma se sono quello che sono, dico, non è per merito mio.
Oggi in radio parlavano di occasioni perse e la maggior parte di chi interveniva telefonando, parlava di storie amorose non realizzate.
Cristo santo, ho pensato, potrei chiamare e tenerli al telefono una mezz'ora.
E mi sono ricordato di quella ragazza della quarta G che, di ritorno dalla serata danzante durante la gita scolastica a Siena (avevamo perso l'autobus del rientro) mi aveva tenuto per mano per tutto il tempo. Era buio ed io nemmeno ricordo che faccia avesse. Onestamente forse non mi ha detto neppure il nome. Ma se oggi avesse chiamato dicendo che aveva tenuto per mano un ragazzotto per dieci km e questo pirla nemmeno l'aveva guardata, le avrei dato ragione (sul pirla).
Poi quella volta, sempre in gita scolastica, dove un gruppo di compagni rubò da uno scatolone delle magliette dell'Università di Ferrara. Quando gliele vidi indosso chiesi se ne avevano presa una in più e loro mi dissero, vattela a prendere. Non ci andai. Per paura, credo.
Fatto sta che sono stati beccati un attimo dopo e ricordo con lo stesso disagio di allora, gli occhi del prof di inglese che diceva: "Gaetano, e tu? Sicuro?"
Ed io non avevo rubato niente ma glielo avrei detto che se Andrea ne avesse rubata una in più sarei stato colpevole tanto quanto lui.
Poi a pensarci Andrea ha due lauree e anche gli altri non hanno passato la vita in riformatorio.
Ho saputo anni dopo che i professiori mi hanno sempre considerato colpevole e che nella mia bocciatura di quell'anno c'era anche la frustrazione per non avermi beccato con le mani nel sacco.
Se fosse vero, e le insufficienze che avevo non hanno aiutato, e posto che non ho nessun tipo di rimpianto, ho pagato decisamente più di quella che era la mia colpa. Un po' come se mia moglie mi mollasse perché penso che la sua amica potrei trombarmela.
Però, insomma, sono tutti episodi che in qualche modo hanno determinato il mio futuro (che poi è il presente).
Non ho mai rubato nulla, non mi sono mai fumato una canna, non ho mai tradito mia moglie.
Ma non mi considero virtuoso. Penso di essere pigro, soprattutto. O forse, a voler darsi un tono a tutti i costi, non le ho mai considerate cose importanti al punto di alzarsi dal divano per farle.
Oggi come oggi, l'unico valore che vorrei trasmettere ai miei figli è la pigrizia.
Buon week end a tutti
venerdì 19 dicembre 2014
Abusatissimo!
Non si abusa dei superlativi.
Chiaro? Chiarissimo?
Di bellissimo c'è davvero poco, di questo ne sono convinto. Non dico che non esista, solo che non si può definire tutto bellissimo sennò alla fine si finisce per squalificare ciò che bellissimo lo è per davvero.
Io ad esempio tollero male le recite dell'asilo.
È un problema mio, un irrisolto, forse. Da quella volta, nel 1979, credo, in cui dovetti ballare il tango (dicesi tango) prima con Antonella e poi con mia mamma. Era una recita dell'asilo, anche se non posso giurare che fosse per Natale.
C'era però la maestra Nicoletta che suonava il piano. A me sembrava grande la maestra Nicoletta, ma a distanza di 35 anni è ancora uguale. Probabilmente aveva 15 anni, quando suonava il piano per le suore e per i bimbi, all'asilo.
Ma non parliamo di lei, e neppure della recita.
Parliamo dei superlativi.
Negli ultimi tempi mi è capitato di assistere ad incontri dove tutto andava benissimo, lodi sperticate a tutti, che bellissimi e che bravissimi. A me il dubbio che ci fosse un po' troppa enfasi era anche venuto ma me lo sono tenuto per me. Mi sono detto: "Taci Gae, non fare il solito cinico imbruttito che va a stimolare negli altri pensieri che non hanno fatto".
E tràcchete! Arriva la fregatura.
Con le dovute proporzioni sarà la stessa cosa alla recita dell'Asilo (vedi che c'entrava?). Alla recita dell'asilo i superlativi si sprecano.
È tutto bellissimo. Le maestre sono bravissime, fantastiche. I genitori che danno una mano sono meravigliosi. Il contributo del comune è importantissimo. Il parroco che fa il discorso è apprezzatissimo.
E guardate la scenografia; non è spettacolarissima?
No! Non lo è.
L'acustica fa schifo, i bambini non si sentono, sono spaesati dal casino e dagli spazi troppo grandi, il rumore sugli spalti è insopportabile e c'è decisamente più gente che non gliene frega niente di quanta non sia realmente commossa.
Con questi presupposti "bellissimo" non si può usare. Mi spiace.
I bimbi sono bellissimi. Sono commoventi, ci rendono fieri perché la metà di noi non avrebbe il coraggio di stare da quella parte.
Maria quest'anno farà Maria, nel presepe vivente. È la prima in famiglia, da generazioni, a fare una parte importante alla recita dell'asilo. E pure avrebbe mantenuto il segreto e ci avrebbe fatto una sorpresa. Ha smaronato Pee: "Maria si veste da Madonna".
Che forte la nostra Maria. E non ha un padre sufficientemente bravo neppure a commuoversi e basta, deve stare lì a cercare il pelo nell'uovo della polemica.
Ma è proprio questo che voglio dire: Maria, come gli altri bimbi, è bellissima. Se si usa lo stesso aggettivo per il resto potrei credere che mi figlia è brutta.
La recita non è bellissima, ok? Non lo può essere, non lo deve nemmeno essere. Basta che ci mostri per mezz'ora cosa sanno fare i figli senza di noi. Basterebbe farsene una ragione e saremo tutti contenti.
Chiaro? Chiarissimo?
Di bellissimo c'è davvero poco, di questo ne sono convinto. Non dico che non esista, solo che non si può definire tutto bellissimo sennò alla fine si finisce per squalificare ciò che bellissimo lo è per davvero.
Io ad esempio tollero male le recite dell'asilo.
È un problema mio, un irrisolto, forse. Da quella volta, nel 1979, credo, in cui dovetti ballare il tango (dicesi tango) prima con Antonella e poi con mia mamma. Era una recita dell'asilo, anche se non posso giurare che fosse per Natale.
C'era però la maestra Nicoletta che suonava il piano. A me sembrava grande la maestra Nicoletta, ma a distanza di 35 anni è ancora uguale. Probabilmente aveva 15 anni, quando suonava il piano per le suore e per i bimbi, all'asilo.
Ma non parliamo di lei, e neppure della recita.
Parliamo dei superlativi.
Negli ultimi tempi mi è capitato di assistere ad incontri dove tutto andava benissimo, lodi sperticate a tutti, che bellissimi e che bravissimi. A me il dubbio che ci fosse un po' troppa enfasi era anche venuto ma me lo sono tenuto per me. Mi sono detto: "Taci Gae, non fare il solito cinico imbruttito che va a stimolare negli altri pensieri che non hanno fatto".
E tràcchete! Arriva la fregatura.
Con le dovute proporzioni sarà la stessa cosa alla recita dell'Asilo (vedi che c'entrava?). Alla recita dell'asilo i superlativi si sprecano.
È tutto bellissimo. Le maestre sono bravissime, fantastiche. I genitori che danno una mano sono meravigliosi. Il contributo del comune è importantissimo. Il parroco che fa il discorso è apprezzatissimo.
E guardate la scenografia; non è spettacolarissima?
No! Non lo è.
L'acustica fa schifo, i bambini non si sentono, sono spaesati dal casino e dagli spazi troppo grandi, il rumore sugli spalti è insopportabile e c'è decisamente più gente che non gliene frega niente di quanta non sia realmente commossa.
Con questi presupposti "bellissimo" non si può usare. Mi spiace.
I bimbi sono bellissimi. Sono commoventi, ci rendono fieri perché la metà di noi non avrebbe il coraggio di stare da quella parte.
Maria quest'anno farà Maria, nel presepe vivente. È la prima in famiglia, da generazioni, a fare una parte importante alla recita dell'asilo. E pure avrebbe mantenuto il segreto e ci avrebbe fatto una sorpresa. Ha smaronato Pee: "Maria si veste da Madonna".
Che forte la nostra Maria. E non ha un padre sufficientemente bravo neppure a commuoversi e basta, deve stare lì a cercare il pelo nell'uovo della polemica.
Ma è proprio questo che voglio dire: Maria, come gli altri bimbi, è bellissima. Se si usa lo stesso aggettivo per il resto potrei credere che mi figlia è brutta.
La recita non è bellissima, ok? Non lo può essere, non lo deve nemmeno essere. Basta che ci mostri per mezz'ora cosa sanno fare i figli senza di noi. Basterebbe farsene una ragione e saremo tutti contenti.
venerdì 28 novembre 2014
Paternità for dummies: padri soli con i figli
Affermo
da sempre che il padre che se la tira perché da una mano in caso ha
rotto le balle. No, piano, non sto dicendo che deve smettere di
accudire i figli, lavarli, preparare la cena... sto dicendo che deve
smetterla di tirarsela.
Perché?
Perché non fa null'altro che il suo dovere, con buona pace
dell'indotto dell'osteria che ci perde gran parte degli avventori. Al
limite fate a cambi, mandate una sera si ed una no le mogli a farsi
lo spritz. Se volete renderla ancora più pepata, non stabilite in
anticipo le serate per uomini o per donne. Ma non degeneriamo.
Pare
però che questa mia idea non faccia breccia.
No,
non quella dello spritz a sere alterne.
Quella del padre che se la
tira per niente.
Io
ho i miei problemi già in famiglia, dove non c'è verso che mia
suocera si metta in testa che al sabato sono perfettamente in grado
di arrangiami se Silver non c'è.
“Silver
te li ha lavati?”
“Silver
ti ha preparato qualcosa per pranzo?”
“Silver
ti ha preparato qualcosa per vestirli?”
E
tutto questo mentre ci sono io che sto facendo tutte queste cose.
Capite? È una sorta di rimozione visiva: io vedo ma non voglio
vedere.
Così
ho pensato: "magari sbaglio io? Forse sono io do tutto per scontato".
E
allora diamo alcuni pratici consigli ai padri per sopravvivere a casa
senza moglie e vivere felici.
Volevo
fare un bel elenco ma preferisco sviluppare bene il tema, mettendolo
a puntate (l'ho pensato mentre scrivevo la riga sopra, poi uno dice
che non so pianificare).
Prima
puntata: il babysitting informale.
Cari
padri, dovete pulire casa, cucinare, chattare con l'amante e/o
controllare i risultati del Totip sullo smartphone e i pargoli non si
schiodano dal vostro polpaccio, continuano a frignare e non c'è
verso che vi tempestino di domande sulla vita (tipicamente sulla vita
di Peppa Pig o degli Avengers)?
Prima
baby-sitter: la TV. Si ok, adesso fatemi il predicozzo che la tv li
rende passivi bla bla bla bla.
Mica
la devono guardare tutto il giorno. Un'oretta, il tempo di finire di
trovare il giusto verso del lenzuolo con gli angoli da mettere sul
materasso.
Magari
nascondete la collezione di DVD di Edvige Fenech, che già verso i
tre anni iniziano a capire come far partire un lettore.
Seconda
babysitter: la Vasca da bagno. La riempite bene bene di acqua caldina
(non bollente; se dopo qualche minuto li trovate rossicci meglio che
li tirate fuori o fate correre un po' di acqua fredda. Lessi vengono stopacciosi, ascoltate me che sono comunista.
La
tecnica della vasca da bagno è eccezionale se avete almeno due figli. Se ne avete solo
uno provate ma così ad occhio e croce dovrebbe garantirvi minore
autonomia.
Non
mettete troppa acqua ed abbondate di schiuma. Così sono anche meno a
rischio di annegare.
Logicamente
non dovete proporla se hanno meno di due anni.
Accertatevi
dell'età di vostro figlio. Se nei paraggi non c'è nessuno che può fugari i vostri dubbi, sicuramente
vostra moglie tiene le tessere sanitarie in un cassetto o in una
mensola. Di solito è assieme alle tessere elettorali.
Se
non avete neppure idea di dove siano le tessere elettorali cercate in
casa un cassetto di cui ignoravate l'esistenza. È probabile che
siano lì.
giovedì 20 novembre 2014
Il giro di Do (di stomaco)
Ieri sentivo una gag su un programma radio che parlava del "giro di Do".
Chiunque sappia strimpellare quattro accordi, sicuramente sa cos'è il "giro di Do", semplicemente perché è la prima cosa che ti insegnano quando ti mettono in mano la chitarra.
Almeno una volta era la prima cosa che ti insegnavano.
Il fatto che una quantità smodata dei brani '60, '70 sia costruita sul giro di Do, fa pensare che molti musicisti pop e rock di quegli anni non fosse andata molto oltre le prime lezioni di chitarra. Altro che X-Factor.
Ma non divaghiamo!
La gag radiofonica, per l'appunto, asseriva che il giro di Do sia adattabile ad ogni canzone. Ben di più, rilancio io: è adattabile a qualsiasi situazione della vita.
Infatti, appena arrivato a casa, trovo Silver e Jack in piena crisi gastrica.
Nel week end era toccato a Pee e la settimana prima a Mary.
Proprio un giro, insomma. Il famoso giro di Do di stomaco.
Con i tempi che corrono, stressati al bisogno (in veneto "al bisogno" significa "quanto basta" o anche "tanto") un giorno di malattia non è neppure visto male, dalle nostre parti. Quasi come un giorno di ferie. Tanto che ci si prende proprio ferie, nella maggioranza dei casi, perché l'influenza dura giusto un giorno e mezzo, ma se vai dal medico ti lascia a casa fino a Natale e non è proprio il caso.
A casa nostra ci siamo sempre malati poco, a dire il vero ma vale comunque la pena avere alcuni accorgimenti.
Se avete figli, cercate di ammalarvi quando è passata a loro. La pace della casa, il silenzio che di solito non c'è, è particolarmente apprezzabile.
Silver su questo è un disastro e becca sempre la simultanea con uno o più figli. E non sono mica di quelli sempre a casa con la febbre, eh? Uno o due giorni massimo all'anno.
Forse non dovrei scriverlo che pare che me la voglio chiamare.
Io invece sono un grandissimo paraculo: da quando ho figli mi sono malato due volte, sempre in solitaria.
Un'occasione unica di riassaporare lapizza pasta in bianco sul divano, con dvd impegnato tamarro, in mutande con copertina sulle gambe.
Insomma a finire il giro manco solo io.
A questo punto potrei farmi un week end di merda (di solito a me prende di là) oppure tener duro (è proprio il caso di dirlo) fino a domenica e cedere lunedì, giorno di solito bello pieno, al lavoro.
E allora si che sarebbe un capolavoro, come Stand by me, Il cielo in una stanza e Grazie Roma.
Chiunque sappia strimpellare quattro accordi, sicuramente sa cos'è il "giro di Do", semplicemente perché è la prima cosa che ti insegnano quando ti mettono in mano la chitarra.
Almeno una volta era la prima cosa che ti insegnavano.
Il fatto che una quantità smodata dei brani '60, '70 sia costruita sul giro di Do, fa pensare che molti musicisti pop e rock di quegli anni non fosse andata molto oltre le prime lezioni di chitarra. Altro che X-Factor.
Ma non divaghiamo!
La gag radiofonica, per l'appunto, asseriva che il giro di Do sia adattabile ad ogni canzone. Ben di più, rilancio io: è adattabile a qualsiasi situazione della vita.
Infatti, appena arrivato a casa, trovo Silver e Jack in piena crisi gastrica.
Nel week end era toccato a Pee e la settimana prima a Mary.
Proprio un giro, insomma. Il famoso giro di Do di stomaco.
Con i tempi che corrono, stressati al bisogno (in veneto "al bisogno" significa "quanto basta" o anche "tanto") un giorno di malattia non è neppure visto male, dalle nostre parti. Quasi come un giorno di ferie. Tanto che ci si prende proprio ferie, nella maggioranza dei casi, perché l'influenza dura giusto un giorno e mezzo, ma se vai dal medico ti lascia a casa fino a Natale e non è proprio il caso.
A casa nostra ci siamo sempre malati poco, a dire il vero ma vale comunque la pena avere alcuni accorgimenti.
Se avete figli, cercate di ammalarvi quando è passata a loro. La pace della casa, il silenzio che di solito non c'è, è particolarmente apprezzabile.
Silver su questo è un disastro e becca sempre la simultanea con uno o più figli. E non sono mica di quelli sempre a casa con la febbre, eh? Uno o due giorni massimo all'anno.
Forse non dovrei scriverlo che pare che me la voglio chiamare.
Io invece sono un grandissimo paraculo: da quando ho figli mi sono malato due volte, sempre in solitaria.
Un'occasione unica di riassaporare la
Insomma a finire il giro manco solo io.
A questo punto potrei farmi un week end di merda (di solito a me prende di là) oppure tener duro (è proprio il caso di dirlo) fino a domenica e cedere lunedì, giorno di solito bello pieno, al lavoro.
E allora si che sarebbe un capolavoro, come Stand by me, Il cielo in una stanza e Grazie Roma.
venerdì 17 ottobre 2014
Un padre "Al Limite"
Conoscete David Howell Evans?
Ah no?
Eppure è strano: se capitate in un blog di uno che parla di paternità e musica non potete non conoscere David Howell Evans, musicista e padre.
Vabbè, l'operazione "antipatia e spocchia" la chiudiamo qui.
David Howell Evans altri non è che "The Edge" chitarrista degli U2, gruppo che non ha bisogna di altre presentazioni.
Sto ascoltando l'ultimo lavoro della band irlandese. La messa a disposizione gratuita su iTunes del mese scorso, anche se è stata criticata, io non l'ho boicottata per niente. E sono qui che me la giro a perla in macchina "O-OOOOOH! O! O-OOOOOOOOOH!" che chi mi vede al semaforo distoglie lo sguardo imbarazzato.
Non è che volessi parlare proprio dell'ultimo degli U2, però. Che si ascolta volentieri, in ogni caso.
Mi incuriosiva, come mi ha sempre affascinato, lo stile di The Edge, che apprezzo da quando la mia amica Debora mi ha palgiato fino all'acquisto, verso la fine degli anni 80, di Unforgetable Fire e War. Mi pare di ricordare che le sue motivazioni fossero che con gli U2 si cuccava di sicuro.
Scherzo Deb, in ogni caso non funziona, mi pare che ce ne siamo accorti tutti. Non funziona con me, perlomeno.
Ma torniamo sul "Bordo"; tempo fa lessi da qualche parte che D.H. (si trovano decine di interpretazioni del suo soprannome, ma secondo me è molto più banalmente un'assonanza delle sue iniziali) ha cinque o sei figli.
Non so se sia un buon padre per loro, magari non lo è, ma in questo momento non mi interessa.
Il punto è che bisognerebbe essere padri come The Edge è riuscito a diventare uno dei più famosi chitarristi del mondo: cercando il proprio stile, unico ed inconfondibile. Coerente, anche, nel suo incredibile eccletismo.
Se penso alla fine degli anni 70 dove il mondo musicale si divideva in due: il punk da una parte ed il rock più melodico dall'altra. Questo ragazzo di nemmeno 20 anni ha deciso di non copiare né Mark Knopfler né Mick Jones, e neppure di rifugiarsi in un passato allora recente con i Pink Floyd, i Rolling Stones, i Beatles. L'unica cosa che ha tenuto di tutti questi illustri colleghi è stata la voglia di innovare e di cercare uno stile che fosse una firma, un'impronta digitale.
Di quelle situazioni che succedono solo con i grandi: senti due note e taaac! Questo è The Edge.
Sempre in movimento, però, sempre nuovo eppure coerente con la propria storia.
Ha preso le sue chitarre come fossero dei figli (ha tante chitarre oltre che tanti figli) e le ha fatte crescere assieme a lui: nuovi effetti, corde differenti, prove ed errori, errori e soluzioni.
Esperienza, sempre!
Allo stesso modo bisognerebbe essere padri: senza credere troppo ai metodi trovati in libreria, senza ascoltare troppo ai blogger sgureggioni, senza copiare il vicino di casa esperto di bricolage, non cedendo alle colleghe che ti vedono come un "mammo", ma volendo credere al proprio stile, cercando con costanza le due note che un giorno, in un ipotetico cd di memorie faranno dire ai nostri figli: "'azzarola! Era papà".
"If you go your way and I go mine
Are we so helpless against the tide?" (U2 - Every Breaking Wave)
Ah no?
Eppure è strano: se capitate in un blog di uno che parla di paternità e musica non potete non conoscere David Howell Evans, musicista e padre.
Vabbè, l'operazione "antipatia e spocchia" la chiudiamo qui.
David Howell Evans altri non è che "The Edge" chitarrista degli U2, gruppo che non ha bisogna di altre presentazioni.
Sto ascoltando l'ultimo lavoro della band irlandese. La messa a disposizione gratuita su iTunes del mese scorso, anche se è stata criticata, io non l'ho boicottata per niente. E sono qui che me la giro a perla in macchina "O-OOOOOH! O! O-OOOOOOOOOH!" che chi mi vede al semaforo distoglie lo sguardo imbarazzato.
Non è che volessi parlare proprio dell'ultimo degli U2, però. Che si ascolta volentieri, in ogni caso.
Mi incuriosiva, come mi ha sempre affascinato, lo stile di The Edge, che apprezzo da quando la mia amica Debora mi ha palgiato fino all'acquisto, verso la fine degli anni 80, di Unforgetable Fire e War. Mi pare di ricordare che le sue motivazioni fossero che con gli U2 si cuccava di sicuro.
Scherzo Deb, in ogni caso non funziona, mi pare che ce ne siamo accorti tutti. Non funziona con me, perlomeno.
Ma torniamo sul "Bordo"; tempo fa lessi da qualche parte che D.H. (si trovano decine di interpretazioni del suo soprannome, ma secondo me è molto più banalmente un'assonanza delle sue iniziali) ha cinque o sei figli.
Non so se sia un buon padre per loro, magari non lo è, ma in questo momento non mi interessa.
Il punto è che bisognerebbe essere padri come The Edge è riuscito a diventare uno dei più famosi chitarristi del mondo: cercando il proprio stile, unico ed inconfondibile. Coerente, anche, nel suo incredibile eccletismo.
Se penso alla fine degli anni 70 dove il mondo musicale si divideva in due: il punk da una parte ed il rock più melodico dall'altra. Questo ragazzo di nemmeno 20 anni ha deciso di non copiare né Mark Knopfler né Mick Jones, e neppure di rifugiarsi in un passato allora recente con i Pink Floyd, i Rolling Stones, i Beatles. L'unica cosa che ha tenuto di tutti questi illustri colleghi è stata la voglia di innovare e di cercare uno stile che fosse una firma, un'impronta digitale.
Di quelle situazioni che succedono solo con i grandi: senti due note e taaac! Questo è The Edge.
Sempre in movimento, però, sempre nuovo eppure coerente con la propria storia.
Ha preso le sue chitarre come fossero dei figli (ha tante chitarre oltre che tanti figli) e le ha fatte crescere assieme a lui: nuovi effetti, corde differenti, prove ed errori, errori e soluzioni.
Esperienza, sempre!
Allo stesso modo bisognerebbe essere padri: senza credere troppo ai metodi trovati in libreria, senza ascoltare troppo ai blogger sgureggioni, senza copiare il vicino di casa esperto di bricolage, non cedendo alle colleghe che ti vedono come un "mammo", ma volendo credere al proprio stile, cercando con costanza le due note che un giorno, in un ipotetico cd di memorie faranno dire ai nostri figli: "'azzarola! Era papà".
"If you go your way and I go mine
Are we so helpless against the tide?" (U2 - Every Breaking Wave)
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