Dopo gli excursus nel passato (o sul passato? Mah!) Parliamo di nonni
del presente.
La ciurmaglia è
fortunata da queste parti: come me ha la possibilità di conoscere
tutti e 4 i nonni.
Ancora meglio di me: li ha conosciuti tutti
giovani, se consideriamo che quando io sono nato i nonni paterni
erano già sopra i settanta (e settant'anni nel 1974 era un'età
diversa da oggi) e quelli materni poco ci mancava.
Poi, se vedi le
foto, sembravano ancora più vecchi, mai al passo con i tempi.
Oggi mio padre gira
con l'iPad; sua madre non ha mai imparato ad usare la Telefunken a
colori e, per un certo periodo, la guardava con gli occhiali da sole
perchè, diceva, tutti quei colori nuocevano alla vista.
I nonni sono
presenti, in salute, forti.
Fanno parte dell'ultima generazione che è
riuscita a dare ai figli più di quanto avessero avuto loro. L'ultima
generazione che poteva permettersi un solo stipendio per vivere, per
farsi la casa, per mantenere la macchina.
L'ultima generazione che
gli bastava una macchina.
L'ultima
generazione che si è presa quello che ha voluto, che si è fatta il
culo e, nonostante tutto, si accontentava di poco.
L'ultima
generazione che all'uomo non servivano capacità relazionali, gli
bastava non essere un alcolizzato e lavorare tanto. E la donna a
portare tanta pazienza, mandare giù bocconi amari e “che la
piasa, che la tasa e che la staga casa”
Ricordo i
turbamenti di mia mamma quando, da ragazzo, mi mandava a fare la
spesa, mi metteva a lavare i piatti, a passare lo straccio: “Impara
l'arte, che le sposette moderne non sono più capaci di fare queste
cose”. Credo temesse che, una volta che un'anima pia mia avesse
preso con se, sconfortata dalla mia inettitudine, mi avesse
ricacciato a casa.
Cosa possiamo
raccontare noi a quella generazione?
Noi precari nel
lavoro, nella casa, nelle relazioni. Noi cresciuti nella bambagia di
famiglia che iniziavano a star bene, di scarpe cambiate ogni volta
che serviva e non incerottate o riparate con i chiodi.
Come possiamo
biasimarli, se ancora oggi, a quasi quarant'anni, hanno l'istinto di
proteggerci?
Abbiamo il diritto
di prendercela se non ci lasciano fare le nostre scelte, gestire i
rapporti come crediamo meglio?
Ce la sentiamo di
offenderci se fanno ancora di tutto per renderci la vita meno dura di
quello che è stata la loro?
Possiamo
prendercela con loro se non ci lasciano sbagliare?
La mia risposta è Si.
Dobbiamo.
Dobbiamo fare come
loro: emanciparci.
Anche se loro la
rivoluzione l'hanno fatta a vent'anni e noi a quaranta. E se non siamo
pronti a quaranta la faremo a cinquanta.
Dobbiamo tagliarlo noi quel
cordone ombelicale.
Dobbiamo fargli
capire che non siamo degli sprovveduti, che la vita, in qualche modo,
non ci ha riservato solo piaceri e nonostante tutto ce la possiamo fare.
Passa
inevitabilmente tutto da qui.
Ed il bello è che è quasi
impossibile.
Anche se paghi una
fortuna di nido e babysitter, anche se hai un mutuo che invecchierà
con te, anche se prima di mezzanotte non hai finito di star dietro a
tutto quello che c'è da fare.
Avrai sempre bisogno di loro. Un'ora
al giorno, magari ma bisogno. E loro non lo fanno apposta (almeno
spero) ma su quell'ora investono tutta la loro necessità di essere
adeguati come genitori e come nonni con il rischio di squalificarci
come figli. E via, in una spirale di relazioni potenzialmente
esplosive.
Ecco! Il compito di
non farle esplodere è tutto nostro. È il terreno su cui vinceremo
sempre noi perchè abbiamo le lenti giuste per capire il mondo.
È la nostra prova
di intelligenza.