mercoledì 24 febbraio 2021

Anno

 È passato un anno e non ho scritto quasi nulla sul Coronavirus (come lo chiamavamo prevalentemente durante la prima ondata) e sul Covid_19 (come invece è diventato di uso comune dall'estate in poi). 

E anche adesso, onestamente, non so perché mi sia venuto da riaprire il form di Blogger e, forse, nemmeno arriverò alla fine del post. Lo salverò in bozza e lo lascerò lì, come decine di altri in questi anni e lo riaprirò in un giorno di malinconia come quando ti metti a guardare le vecchie foto e trovi quella dove hai la faccia da pirla o quella in cui ti aveva tagliato i capelli tua nonna e avevi la frangia a scalette. E di alcune dici: beh, però a distanza di tempo fa simpatia, aspetta che la tengo fuori, e altre dici, vabbè, ma se non serve a niente la butto. Con i post è più quest'ultima. Per cui veramente zero rimpianti. 

Coronavirus, si diceva; sono stato anche io negazionista. All'inizio mi pareva un allarme immotivato. Ricordavo l'altra sera con l'amico Marco che il sabato prima che partisse la chiusura delle scuola eravamo a casa sua. Ancora si poteva, mannaggia. E già la chiusura da mercoledì a venerdì ci destabilizzava. 

Ero arrivato a dire che avrei votato Zaia alle prossime elezioni se fosse riuscito a riaprire le scuole. Non c'è riuscito e non l'ho votato. Ah, dite che non è stata colpa sua? Beh, ma per farmi votare Lega uno un po' di miracoli di deve mettere in conto, mica mi vendo per poco, io. 

Vabbè, lasciamo stare, era per dire lo stato confusionale. 

E poi ricordo davvero poco. C'era questa bolla anestetizzata in cui riuscivo a lavorare (per fortuna) un po' in presenza e un po' troppo a distanza (sia come tempo che come distanza), riuscivo a correre in un campo che è di mio suocero ed è appena fuori casa 450 metri girando di qua e 450 metri girando di là, solo per non fare le curve sempre dalla stessa parte. E poi le partite a baseball sul prato e le videochiamate con i parenti e gli amici e niente più "cosa facciamo stasera" e si, un po' mi ci ero abituato. 

Poi l'acqua gelata della ripartenza, i figli che a scuola ci ritornano ma non tutti senza scossoni e la pigna in culo della paura della seconda e della terza ondata e delle varianti. 

E il vaccino, che fortunatamente è arrivato e adesso quando al lavoro i ragazzi, bontà loro, mi sputano addosso, fa perfino meno schifo. 

Ogni tanto penso a noi, tra tanti anni, e ai miei figli, se riusciranno (se lo vorranno) ad essere nonni, a raccontare ai nipoti che loro ci sono passati, nella grande pandemia di Covid. Chissà se la ricorderanno e non ne parleranno mai, come mio nonno per la Prima Guerra o se non ricorderanno quasi nulla, come gli zii per la Seconda. 

"Te che sei psicologo, influirà tutto questo sulla loro crescita", mi chiede qualcuno? 

Beh, spero di si, se non influisse avrebbero problemi ben più gravi. 

Andrà tutto bene? No, lo abbiamo capito. Ciò non significa che debba andare necessariamente tutto male. 

Ne usciremo migliori? Forse! Forse non tutti, forse non in tutto. 

Però ne usciremo di sicuro, come da una galleria: non riporta al punto di partenza ma dall'altra parte la luce c'è sempre.