Sul serio ho visto Dio.
Siete liberi di non crederci o di darmi del pazzo, ma io l'ho visto.
Eravamo al funerale di una persona giovane, che aveva deciso di lasciarci prima di quello che ci saremmo aspettati e lui è arrivato.
Eravo lì da tanto perché, si sa, quando muore una persona giovane la chiesa si riempie di gente e di retorica, di solito, e la retorica in piedi non la reggo.
C'era il coro che provava canzoni ormai sapute, persone con il fazzoletto in mano e arie meste.
Qualche saluto a mezza mano con gente che non vedevo da tanto tempo e che normalmente avrei abbracciato con calore, per evitare di essere inopportuno.
Dilemmi continui se quella che è entrata ora sia effettivamente anziana da meritare che le ceda il posto o se magari abbia solo uno o due anni in più di me (o magari in meno) e semplicemente sia io a fingere che quei peli bianchi sulla barba siano solo frutto dell'acquisito fascino.
C'è un brusio che gioca a fare il silenzio e una compostezza un po' forzata che si aggiunge al magone effettivo che tutti portano in questo momento pensando a chi è rimasto, soprattutto, ma anche a chi ci ha lasciato.
E in quel momento è entrato Dio.
Poco prima della bara, vestito completamente di giallo fluorescente. In barba al coro che stava provando, lui si è tolto il caschetto da bici ed ha iniziato a salutare tutti, a dare il cinque ai bambini a fare segno con il pollice in alto che tutto andava bene. Si è fatto posto vicino all'altare: non davanti, non sopra, ma di lato, dove c'erano i bambini e quelli che cantavano.
E a tutti faceva strano vedere questo tizio fluorescente che si comportava in modo così poco "consono" alle circostanze.
Chissà cosa avrebbe detto quella signora che pensa che cantare un brano in inglese in Chiesa sia contro le regole del cattolicesimo; o quelle persone che dicono che far festeggiare Halloween ai figli sia permettere loro di fraternizzare con il demonio. Per non parlare di quella catechista, più grave, che accusava un compagno del figlio di bullismo, senza nessuna misericordia legata al fatto che la mamma di quel ragazzino stava morendo in ospedale.
Forse anche loro avrebbero lo avrebbero scambiato come tutti per lo scemo del villaggio. Ed ho trovato significativo che Dio sembrasse fuori posto proprio in Chiesa (maiuscolo, minuscolo, scegliete voi).
Quante occasioni ci capitano per confermarci che in fondo non esiste.
E invece quel giorno l'ho visto ed ho pensato, quel giorno, mentre aspettavo la bara di una persona a cui ho voluto bene, che da Dio mi aspetto proprio questo: che entri, mi guardi in faccia senza remore e con il pollice alto mi dica: "Tranquillo, sono qua io! Va tutto bene!"
venerdì 15 novembre 2019
mercoledì 18 settembre 2019
Tagliati la barba
Tendo a leggere poco i giornali e a non guardare la tv nei weekend. Cioè, non è una scelta, è una contingenza.
Purtroppo non ci riesco.
Ricordo ancora i weekend solitari e spensierati da single prima e da compagno di una lavoratrice a turno poi: uscita in bicicletta, pranzo con esagerazione di piccante (che a Silver non piace molto) e pennica sul divano guardando la tv.
Il massimo era quando c'era la Formula 1. Non ho mai amato troppo l'automobilismo, ma sulle salite in bicicletta, pensare che alle tre del pomeriggio il ronzio dei motori e il tono monocorde di Mario Poltronieri provenienti dalla TV mi avrebbero cullato per due ore buone, mi dava più energie dell'EPO.
Tant'è, non volevo parlare dei miei pomeriggi solitari, quanto del fatto che adesso tra i millemila impegni familiari, la TV se ne resta spenta ed io ho saputo che c'era stato il raduno di Pontida solo al lunedì.
Apri un social a caso (o anche un qualsiasi stato whatsapp di amico non leghista) e trovi un "Siamo tutti Gad Lerner".
Allora cerco un po' e come sempre il mondo si divide in tre: quelli che non ne parlano, quelli che sono assolutamente contro e quelli che sono a favore.
Parliamo dei contro (contro Lerner, nella fatispecie). Postano foto del famoso giornalista nella stessa giornata sull'ormai famoso pratone: si concede a selfie con i giovani leghisti, passeggia sereno tra i militanti di verde vestiti, attendo l'arrivo di Salvini in mezzo ai colleghi, mentre una folla di Alberti da Giussano sventola pacifica alle sue spalle.
E il commento è sempre un sarcarstico: "Guardate com'è stato aggredito Gad Lerner". Eppure c'è un video.
C'è un video su Il Fatto che mostra un manipolo di padani di verde vestiti che insultano pesantemente il giornalista. Poi uno che dà una manata ad una telecamera. Saranno stati in pochi, sarà stato un singolo episodio, ma è un cazzo di video. Non si può negare.
E allora quasi mi verrebbe da rispondere, da replicare. Non per fare polemica ma per spiegare, argomentare, convincere. Bisogna santoddio, che la gente capisca.
Riguardo il video e mi fermo su una frase: "Lerner, tagliati la barba".
E niente, mi passa la voglia di replicare, convincere. Io al tagliati la barba non so cosa rispondere.
Purtroppo non ci riesco.
Ricordo ancora i weekend solitari e spensierati da single prima e da compagno di una lavoratrice a turno poi: uscita in bicicletta, pranzo con esagerazione di piccante (che a Silver non piace molto) e pennica sul divano guardando la tv.
Il massimo era quando c'era la Formula 1. Non ho mai amato troppo l'automobilismo, ma sulle salite in bicicletta, pensare che alle tre del pomeriggio il ronzio dei motori e il tono monocorde di Mario Poltronieri provenienti dalla TV mi avrebbero cullato per due ore buone, mi dava più energie dell'EPO.
Tant'è, non volevo parlare dei miei pomeriggi solitari, quanto del fatto che adesso tra i millemila impegni familiari, la TV se ne resta spenta ed io ho saputo che c'era stato il raduno di Pontida solo al lunedì.
Apri un social a caso (o anche un qualsiasi stato whatsapp di amico non leghista) e trovi un "Siamo tutti Gad Lerner".
Allora cerco un po' e come sempre il mondo si divide in tre: quelli che non ne parlano, quelli che sono assolutamente contro e quelli che sono a favore.
Parliamo dei contro (contro Lerner, nella fatispecie). Postano foto del famoso giornalista nella stessa giornata sull'ormai famoso pratone: si concede a selfie con i giovani leghisti, passeggia sereno tra i militanti di verde vestiti, attendo l'arrivo di Salvini in mezzo ai colleghi, mentre una folla di Alberti da Giussano sventola pacifica alle sue spalle.
E il commento è sempre un sarcarstico: "Guardate com'è stato aggredito Gad Lerner". Eppure c'è un video.
C'è un video su Il Fatto che mostra un manipolo di padani di verde vestiti che insultano pesantemente il giornalista. Poi uno che dà una manata ad una telecamera. Saranno stati in pochi, sarà stato un singolo episodio, ma è un cazzo di video. Non si può negare.
E allora quasi mi verrebbe da rispondere, da replicare. Non per fare polemica ma per spiegare, argomentare, convincere. Bisogna santoddio, che la gente capisca.
Riguardo il video e mi fermo su una frase: "Lerner, tagliati la barba".
E niente, mi passa la voglia di replicare, convincere. Io al tagliati la barba non so cosa rispondere.
martedì 3 settembre 2019
Ultime notizie dalla famiglia - Nel frattempo ha vinto il calcio
Ci piace a tutti fare gli alternativi, diciamo la verità.
I miei non me lo hanno mai detto ma credo che per loro fosse motivo di vanto poter dire che i figli sapevano nuotare negli anni '70, quando nessuno al paesello sapeva nuotare come si deve.
Per i miei figli è sempre stato diverso, il minimo che ci si possa aspettare dai tre figli di un (ex) istruttore di nuoto è chbbehe sappiano nuotare ed io sono già contento di aver raggiunto il risultato minimo. In realtà ieri ho portato Maria a nuoto e ne ho approfittato per una nuotatina nella corsia di fianco. Inizio a faticare a starle dietro. Tempo un anno e la vedo con il binocolo.
Giacomo e Pietro invece no, non ci vengono più; già lo scorso anno era stata dura. Il tarlo del calcio aveva iniziato a lavorare sodo durante i mondiali. E dire che l'Italia non c'era.
Avevamo comprato un ulteriore anno di nuoto in cambio di un paio di scarpe da calcio che avevamo regalato loro comunque.
Speravo che le gare fossero una valida motivazione, che potessero stimolarli a restare. Ma non ha funzionato e, dico la verità, lo sapevo già da me.
Oltretutto a Pietro, per me, fa pure bene: non è che il nuoto fosse proprio il suo e si trovava sempre costretto ad un confronto impari con il gemello molto più tagliato fisicamente per l'acqua.
Vabbeh, direte, fossero questi i problemi!
Infatti.
È solo un pochino più complesso da gestire: tre figli nello stesso posto alla stessa ora erano una grande comodità.
Adesso toccherà farci aiutare. Siamo orgogliosi, abbiamo tenuto duro il più possibile per tanto tempo, ma adesso non ce la facciamo più.
Poi io devo elaborare il lutto di non avere più questo momento tutto mio con loro. Mi piaceva, dico la verità. Era terrificante, ma mi piaceva.
"A me piace che vieni in piscina solo con me" ha detto ieri Maria. Ecco, forse è arrivata l'età dei momenti dedicati.
Nella brochure non c'era scritto... al URP mi sentiranno.
I miei non me lo hanno mai detto ma credo che per loro fosse motivo di vanto poter dire che i figli sapevano nuotare negli anni '70, quando nessuno al paesello sapeva nuotare come si deve.
Per i miei figli è sempre stato diverso, il minimo che ci si possa aspettare dai tre figli di un (ex) istruttore di nuoto è chbbehe sappiano nuotare ed io sono già contento di aver raggiunto il risultato minimo. In realtà ieri ho portato Maria a nuoto e ne ho approfittato per una nuotatina nella corsia di fianco. Inizio a faticare a starle dietro. Tempo un anno e la vedo con il binocolo.
Giacomo e Pietro invece no, non ci vengono più; già lo scorso anno era stata dura. Il tarlo del calcio aveva iniziato a lavorare sodo durante i mondiali. E dire che l'Italia non c'era.
Avevamo comprato un ulteriore anno di nuoto in cambio di un paio di scarpe da calcio che avevamo regalato loro comunque.
Speravo che le gare fossero una valida motivazione, che potessero stimolarli a restare. Ma non ha funzionato e, dico la verità, lo sapevo già da me.
Oltretutto a Pietro, per me, fa pure bene: non è che il nuoto fosse proprio il suo e si trovava sempre costretto ad un confronto impari con il gemello molto più tagliato fisicamente per l'acqua.
Vabbeh, direte, fossero questi i problemi!
Infatti.
È solo un pochino più complesso da gestire: tre figli nello stesso posto alla stessa ora erano una grande comodità.
Adesso toccherà farci aiutare. Siamo orgogliosi, abbiamo tenuto duro il più possibile per tanto tempo, ma adesso non ce la facciamo più.
Poi io devo elaborare il lutto di non avere più questo momento tutto mio con loro. Mi piaceva, dico la verità. Era terrificante, ma mi piaceva.
"A me piace che vieni in piscina solo con me" ha detto ieri Maria. Ecco, forse è arrivata l'età dei momenti dedicati.
Nella brochure non c'era scritto... al URP mi sentiranno.
giovedì 11 luglio 2019
la famiglia normale
Esterno sera, famiglia a tavola.
Mamma: "Mary, ma a te dispiace se finché sei al camposcuola in montagna, noi con i tuoi fratelli andiamo dalle parti di Bologna che accompagniamo il papà ad una gara e poi ci fermiamo qualche giorno?"
Mary: "Beh, si mi dispiace, non di dovete andare"
Mamma: "A parte che non ti abbiamo chiesto il permesso, ma solo se ti dispiace, perché non di dovremmo andare?"
Mary: "Perché poi voi ve ne andate in giro a sembrare una famiglia normale, con due figli, invece ci sono anche io, solo che non sono lì!"
Pee: "Che bello, io posso fare il secondo genito"
Papà (che poi sarei io): "Come fai ad essere il secondo genito, se siete fratelli gemelli?"
Pee: "Sono uscito qualche secondo dopo"
Jack: "Quindi se fossimo la famiglia Reale, io sarei l'erede al trono?"
Tratto dalla mia autobiografia non autorizzata e mai scritta: "Una famiglia normale"
Mamma: "Mary, ma a te dispiace se finché sei al camposcuola in montagna, noi con i tuoi fratelli andiamo dalle parti di Bologna che accompagniamo il papà ad una gara e poi ci fermiamo qualche giorno?"
Mary: "Beh, si mi dispiace, non di dovete andare"
Mamma: "A parte che non ti abbiamo chiesto il permesso, ma solo se ti dispiace, perché non di dovremmo andare?"
Mary: "Perché poi voi ve ne andate in giro a sembrare una famiglia normale, con due figli, invece ci sono anche io, solo che non sono lì!"
Pee: "Che bello, io posso fare il secondo genito"
Papà (che poi sarei io): "Come fai ad essere il secondo genito, se siete fratelli gemelli?"
Pee: "Sono uscito qualche secondo dopo"
Jack: "Quindi se fossimo la famiglia Reale, io sarei l'erede al trono?"
Tratto dalla mia autobiografia non autorizzata e mai scritta: "Una famiglia normale"
martedì 28 maggio 2019
Il colore della giacca
Alla fine, lo dico con profonda autocritica, non abbiamo capito un cazzo!
Noi che quegli altri chiamano "di sinistra", dico.
La gente ha votato le persone, altro che.
Se avesse votato il simbolo nessun comune del veneto, probabilmente, avrebbe in questo momento sindaco diverso da uno leghista. Invece in paese hanno fatto scelte diverse perché la vicinanza, la fiducia, l'impegno, alle persone viene riconosciuto. Si, anche dai leghisti.
E noi non abbiamo capito un cazzo!
Siamo sempre così pronti a scagliarci contro l'ignoranza e la mancanza di impegno a informarsi e non ci accorgiamo che semplicemente le persone scelgono le persone. Le scelgono perché le convincono.
Il problema è che non riusciamo a farcene una ragione di questa cosa che Salvini possa convincere due persone su tre (anche di più, nelle zone mie).
E noi non ci riusciamo.
Non ci riusciamo perché siamo lontani dalle persone.
Anche quando stiamo in mezzo, siamo lontani.
Mettiamo soggezione, siamo snob.
Pensiamo di sapere come funziona e invece non abbiamo capito un cazzo.
Eppure un altro modo c'è: lo ha dimostrato chi ha saputo mettere insieme, voto su voto, un consenso che si basa su un progetto futuro. Un futuro attento ai temi dell'ecologia, dell'immigrazione, consapevole che le persone ai margini non si possono semplicemente ignorare o espellere; amministratori che hanno saputo trasmettere una visione ai propri cittadini; sindaci che sanno essere competenti senza far temere la propria competenza.
Non ho la pretesa che nessuno legga queste righe, forse serviva più a me per buttare fuori.
Spero più che altro che qualcuno faccia le stesse riflessioni, un po' a tutti i livelli: locale, regionale, nazionale.
Così, magari, la volta che ci dovessimo incontrare, sapremmo almeno di cosa parlare.
Noi che quegli altri chiamano "di sinistra", dico.
La gente ha votato le persone, altro che.
Se avesse votato il simbolo nessun comune del veneto, probabilmente, avrebbe in questo momento sindaco diverso da uno leghista. Invece in paese hanno fatto scelte diverse perché la vicinanza, la fiducia, l'impegno, alle persone viene riconosciuto. Si, anche dai leghisti.
E noi non abbiamo capito un cazzo!
Siamo sempre così pronti a scagliarci contro l'ignoranza e la mancanza di impegno a informarsi e non ci accorgiamo che semplicemente le persone scelgono le persone. Le scelgono perché le convincono.
Il problema è che non riusciamo a farcene una ragione di questa cosa che Salvini possa convincere due persone su tre (anche di più, nelle zone mie).
E noi non ci riusciamo.
Non ci riusciamo perché siamo lontani dalle persone.
Anche quando stiamo in mezzo, siamo lontani.
Mettiamo soggezione, siamo snob.
Pensiamo di sapere come funziona e invece non abbiamo capito un cazzo.
Eppure un altro modo c'è: lo ha dimostrato chi ha saputo mettere insieme, voto su voto, un consenso che si basa su un progetto futuro. Un futuro attento ai temi dell'ecologia, dell'immigrazione, consapevole che le persone ai margini non si possono semplicemente ignorare o espellere; amministratori che hanno saputo trasmettere una visione ai propri cittadini; sindaci che sanno essere competenti senza far temere la propria competenza.
Non ho la pretesa che nessuno legga queste righe, forse serviva più a me per buttare fuori.
Spero più che altro che qualcuno faccia le stesse riflessioni, un po' a tutti i livelli: locale, regionale, nazionale.
Così, magari, la volta che ci dovessimo incontrare, sapremmo almeno di cosa parlare.
martedì 12 marzo 2019
Il Prof di ginnastica
Sono convinto che non valga la pena vivere di rimpianti; la vita è una serie infinita di sliding doors che a volte si chiudono, altre si aprono. Capita che lo facciano in modo definitivo, altre volte si riaprono e richiudono in continuazione.
Ogni tanto, sarà l'età, mi diverto a pensare a "ma se" e tra questi "ma se" quello che mi piace di più è: se avesse seguito il consiglio della psicologa che in terza media ci ha fatto i test attitidinali (erano avanti a scuola mia, alle medie). "Ti piacerebbe fare l'insegnante di educazione fisica?" mi chiese.
"Si, penso di si". Risposi.
La parte di educazione fisica forse era saltata fuori dall'amore per lo sport che non sono mai riuscito ad abbandonare. In terza media, poi, ero alto più o meno come adesso con qualcosa come quindici kg di meno. Il fisico a quell'età conta quasi tutto: ero il più veloce, il più resistente e il più forte fisicamente in quasi tutti gli sport che facevamo (ad onor del vero eravamo due classi sfigatissime e non era così difficile eccellere).
Ripensandoci mi stupisce che la psicologa abbia trovato la predisposizione per l'insegnamento.
Ma non volevo parlare di me e dei miei irrisolti.
O meglio: un paio d'anni dopo avevo già buttato nel cesso i consigli della cara psicologa (so che è morta pochi anni dopo, in fondo ancora giovane, di un tumoraccio dio sa dove) perché, siccome a scuola andavo così così, preferii lasciare calcio e nuoto per essere almeno mediocre in Italiano, Latino e Matematica. Gettai così in modo abbastanza irrimediabile (per lo meno poi non ho mai completamente rimediato) le basi per la mia futura obesità in cambio di un paio di rinvii a settembre.
Al liceo con me c'era Nicola Zanini. La Juve lo prese a 15 anni assieme a Del Piero. Anche lui era bravo a scuola ma ha mollato tutto ed è partito. Nicola non ha avuto la stessa fama, ma ha sempre vissuto di calcio in modo dignitosissimo, facendosi apprezzare ovunque sia andato.
Adesso c'è questo ragazzino al nostro paese che andrà alle nazionali di nuoto. Pare che sia un gran talento e le voci dicono che i suoi sarebbero pronti a trasferirsi in un'altra città per permettergli di coltivare meglio le sue abilità. Pare che sia bravissimo anche a scuola, tra l'altro.
Adesso porto i miei figli a nuoto, fanno allenamenti e garette del settore Propaganda. Io specifico sempre che si tratta della vecchia pre-agonistica, perché Propaganda mi fa tanto ventennio fascista. Comunque loro si divertono tanto a queste gare e sono pure bravini.
Li vedo sognare ad occhi aperti quando mi chiedono di vedere un video su Federica Pellegrini o su Phelps ma non so fino a che punto poi sia giusto assecondarli. Metti che domani salta fuori il ct della nazionale che mi dice: portameli a Roma. Che facciamo? Li portiamo? E se uno si e gli altri no? Avere un fratello che eccelle in che modo può minare gli altri?
Ah, stronzatine, film che mi faccio io, preventivamente quanto inutilmente.
Forse non dovevo mollare lo sport in prima liceo. Mi sarei tolto le mie voglie, mi sarei scontrato con i miei insuccessi e adesso non sarei anche io lì, di nascosto, a guardare i filmati di Phelps sognando di essere io ad arrivare in un tripudio di folla.
Ogni tanto, sarà l'età, mi diverto a pensare a "ma se" e tra questi "ma se" quello che mi piace di più è: se avesse seguito il consiglio della psicologa che in terza media ci ha fatto i test attitidinali (erano avanti a scuola mia, alle medie). "Ti piacerebbe fare l'insegnante di educazione fisica?" mi chiese.
"Si, penso di si". Risposi.
La parte di educazione fisica forse era saltata fuori dall'amore per lo sport che non sono mai riuscito ad abbandonare. In terza media, poi, ero alto più o meno come adesso con qualcosa come quindici kg di meno. Il fisico a quell'età conta quasi tutto: ero il più veloce, il più resistente e il più forte fisicamente in quasi tutti gli sport che facevamo (ad onor del vero eravamo due classi sfigatissime e non era così difficile eccellere).
Ripensandoci mi stupisce che la psicologa abbia trovato la predisposizione per l'insegnamento.
Ma non volevo parlare di me e dei miei irrisolti.
O meglio: un paio d'anni dopo avevo già buttato nel cesso i consigli della cara psicologa (so che è morta pochi anni dopo, in fondo ancora giovane, di un tumoraccio dio sa dove) perché, siccome a scuola andavo così così, preferii lasciare calcio e nuoto per essere almeno mediocre in Italiano, Latino e Matematica. Gettai così in modo abbastanza irrimediabile (per lo meno poi non ho mai completamente rimediato) le basi per la mia futura obesità in cambio di un paio di rinvii a settembre.
Al liceo con me c'era Nicola Zanini. La Juve lo prese a 15 anni assieme a Del Piero. Anche lui era bravo a scuola ma ha mollato tutto ed è partito. Nicola non ha avuto la stessa fama, ma ha sempre vissuto di calcio in modo dignitosissimo, facendosi apprezzare ovunque sia andato.
Adesso c'è questo ragazzino al nostro paese che andrà alle nazionali di nuoto. Pare che sia un gran talento e le voci dicono che i suoi sarebbero pronti a trasferirsi in un'altra città per permettergli di coltivare meglio le sue abilità. Pare che sia bravissimo anche a scuola, tra l'altro.
Adesso porto i miei figli a nuoto, fanno allenamenti e garette del settore Propaganda. Io specifico sempre che si tratta della vecchia pre-agonistica, perché Propaganda mi fa tanto ventennio fascista. Comunque loro si divertono tanto a queste gare e sono pure bravini.
Li vedo sognare ad occhi aperti quando mi chiedono di vedere un video su Federica Pellegrini o su Phelps ma non so fino a che punto poi sia giusto assecondarli. Metti che domani salta fuori il ct della nazionale che mi dice: portameli a Roma. Che facciamo? Li portiamo? E se uno si e gli altri no? Avere un fratello che eccelle in che modo può minare gli altri?
Ah, stronzatine, film che mi faccio io, preventivamente quanto inutilmente.
Forse non dovevo mollare lo sport in prima liceo. Mi sarei tolto le mie voglie, mi sarei scontrato con i miei insuccessi e adesso non sarei anche io lì, di nascosto, a guardare i filmati di Phelps sognando di essere io ad arrivare in un tripudio di folla.
mercoledì 13 febbraio 2019
Moha e la nostra evoluzione contromano
Mohà non c'è più, già da qualche anno.
L'ho scoperto per caso, o meglio, l'ha scoperto Silvia che era in classe mia a liceo: "Non era stato in classe tua Mohà?"
"Si"
"Ho visto la sua lapide di fianco a quella di mio padre".
Porca miseria!
Non è che posso dire che eravamo amici, Mohà ed io. Avevamo condiviso la prima liceo, poi a lui era toccata la sorte che a me sarebbe toccata tre anni dopo: la bocciatura. E tanti saluti.
Quando mi bocciarono io un po' sperai di tornare in classe con lui. Era l'unica persona che conoscevo, un anno indietro. Invece no.
Non l'avevo nemmeno più rivisto finita la scuola e non eravamo nemmeno "amici" su facebook.
Come me amava l'hard rock ma era più coerente di me nel portarlo avanti come stile di vita.
Dopo che Silvia mi ha detto che era morto ho fatto qualche ricerca ed ho scoperto che la vita non era stata generosissima con il povero Mohà ma non è che abbia capito tanto.
A parte che, cosa vuoi capire? Uno che muore a quarant'anni, di per sé, non è che riesci poi a spiegartelo.
Ho scritto alla mamma, che ancora tiene viva la sua pagina facebook.
"Buongiorno signora, sono stato a scuola con suo figlio, volevo solo dirle che mi dispiace tanto".
Mi sono sentito come quando, proprio al Liceo, dovevo chiamare qualche compagno a casa e c'era sempre il disagio di dire chi ero e cosa volevo.
Avrei anche voluto scriverle che mi sarebbe piaciuto essere stato un po' più amico di Mohà e magari avrei potuto essere più vicino, più d'aiuto. Ma poi non gliel'ho scritto perché, alla fine, anche a molte persone a cui invece ero davvero vicino e avrei potuto, non sono comunque riuscito ad essere di alcun aiuto. E così mi sono sentito ancora più merda per averle scritto. Lei mi ha risposto, formale e semplice, come forse si è abituata a fare per domare un po' il dolore.
Non volevo parlare di lui, ma mi torna in mente, ogni tanto, il vecchio Mohà.
Chissà cosa penserebbe di tutti questi "prima noi" che si sentono in giro. Chissà cosa direbbe dei "italianissimo nonostante il nome" attribuiti a chi, come lui, nasceva dall'unione di culture diverse. Chissà se anche a lui, come a me, suonano ancora come "Non proprio italiano vero".
Quando ero ragazzo mi vantavo di avere in classe Mohà. Mi piaceva raccontare agli amici di come parlasse in dialetto veneto come me, di come amasse la mia stessa musica, girasse in motorini scalcagnati e facesse fatica a scuola esattamente come me. Mi sembrava l'inizio del futuro: la società meticcia, culturalmente ricca, come negli USA. Ma forse io l'evoluzione l'ho imboccata contromano.
Adesso gli USA sono passati anche loro ai "Prima noi" dopo aver avuto Barack Hussein Obama. Americanissimo anche lui, nonostante il nome.
L'ho scoperto per caso, o meglio, l'ha scoperto Silvia che era in classe mia a liceo: "Non era stato in classe tua Mohà?"
"Si"
"Ho visto la sua lapide di fianco a quella di mio padre".
Porca miseria!
Non è che posso dire che eravamo amici, Mohà ed io. Avevamo condiviso la prima liceo, poi a lui era toccata la sorte che a me sarebbe toccata tre anni dopo: la bocciatura. E tanti saluti.
Quando mi bocciarono io un po' sperai di tornare in classe con lui. Era l'unica persona che conoscevo, un anno indietro. Invece no.
Non l'avevo nemmeno più rivisto finita la scuola e non eravamo nemmeno "amici" su facebook.
Come me amava l'hard rock ma era più coerente di me nel portarlo avanti come stile di vita.
Dopo che Silvia mi ha detto che era morto ho fatto qualche ricerca ed ho scoperto che la vita non era stata generosissima con il povero Mohà ma non è che abbia capito tanto.
A parte che, cosa vuoi capire? Uno che muore a quarant'anni, di per sé, non è che riesci poi a spiegartelo.
Ho scritto alla mamma, che ancora tiene viva la sua pagina facebook.
"Buongiorno signora, sono stato a scuola con suo figlio, volevo solo dirle che mi dispiace tanto".
Mi sono sentito come quando, proprio al Liceo, dovevo chiamare qualche compagno a casa e c'era sempre il disagio di dire chi ero e cosa volevo.
Avrei anche voluto scriverle che mi sarebbe piaciuto essere stato un po' più amico di Mohà e magari avrei potuto essere più vicino, più d'aiuto. Ma poi non gliel'ho scritto perché, alla fine, anche a molte persone a cui invece ero davvero vicino e avrei potuto, non sono comunque riuscito ad essere di alcun aiuto. E così mi sono sentito ancora più merda per averle scritto. Lei mi ha risposto, formale e semplice, come forse si è abituata a fare per domare un po' il dolore.
Non volevo parlare di lui, ma mi torna in mente, ogni tanto, il vecchio Mohà.
Chissà cosa penserebbe di tutti questi "prima noi" che si sentono in giro. Chissà cosa direbbe dei "italianissimo nonostante il nome" attribuiti a chi, come lui, nasceva dall'unione di culture diverse. Chissà se anche a lui, come a me, suonano ancora come "Non proprio italiano vero".
Quando ero ragazzo mi vantavo di avere in classe Mohà. Mi piaceva raccontare agli amici di come parlasse in dialetto veneto come me, di come amasse la mia stessa musica, girasse in motorini scalcagnati e facesse fatica a scuola esattamente come me. Mi sembrava l'inizio del futuro: la società meticcia, culturalmente ricca, come negli USA. Ma forse io l'evoluzione l'ho imboccata contromano.
Adesso gli USA sono passati anche loro ai "Prima noi" dopo aver avuto Barack Hussein Obama. Americanissimo anche lui, nonostante il nome.
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