Chi sarebbe in grado di completare questa frase?
Dai, non fate i timidi, che adesso dire che da giovani si guardavano le vaccate con Lino Banfi ed Alvaro Vitali fa fico. Pellicole softcore, le chiamano adesso.
Io figuratevi che oltre ai genitori del cattolicesimo ortodosso, in casa avevo anche i nonni. Mia nonna ha guardato per mesi la tv a colori con gli occhiali da sole perchè diffidente verso questa nuova forma di tecnologia.
Figuratevi come potevano essere considerate le cassate di Edvige Fenech.
Ma non era di questo che volevo parlare... di cosa volevo parlare?
Ah, Si! Del fatto che da ieri sono papà single.
Silver se ne è partita per Roma per un congresso nazionale ed io sto sperimentando l'esperienza della famiglia monogenitoriale.
Va tutto benissimo, devo dire. Solo una domanda per i genitori single all'ascolto: Ma come cazzo fate?
Davvero, gente, massima stima, sul serio.
Ieri ad un certo punto della cena mi ha preso un piccolo momento di sconforto pensando che avrei dovuto: sprepararecaricarelavastoviglielavaredenticonvincerliasalireascoltarefiabasonora
addormentarliincontemporaneapreparareabitigiornosuccessivopianificarecenalavarmiandare aletto.
Teribbbile!
Invece ho tenuto duro e tutto sommato è andata meglio del previsto.
Ho anche buttato giù l'incipit di un romanzo.
Così, perchè non ero ispirato a continuare col monologo che dovrei fare per mio fratello.
Ah, ma è un gran bel bestseller, sa?
È un giallo-noir, con protagonista un ispettore. Ho anche in mente il seguito... Sto pensando ad un personaggio tipo Montalbano, Pepe Carvalho o Harry Hole.
Successo assicurato.
Anche il monologo è bellino, fino a qui.
Insomma, se supero questa settimana senza moglie avrò davanti una
luminosa carriera di scrittore.
Certo, se qualcosa riuscissi a finirla sarebbe meglio, credo.
Non so. Adesso ci penso.
giovedì 30 maggio 2013
lunedì 27 maggio 2013
MammacheBlog e altre parole che non si ricorda
Una mia amica è andata al MammacheBlog.
È stata entusiasta dell'esperienza al punto che me l'ha raccontata per filo e per segno che quasi mi sembra di esserci andato.
È partita sotto un dio di acqua che a Vicenza Ovest già veniva voglia di girare la macchina e tornare a casa. Le ho fatto notare che in autostrada non è proprio il caso di girare la macchina....
Mi è sembrata molto stupita di questa mia rivelazione, in ogni caso, anche volendo, non sarebbe tornata indietro manco scannata. A Verona Est la attendeva una vera blogstar: Barbara di Mamma Fatta Così, una di quelle mamme con cui ti senti che non è difficile andare d'accordo. I viaggi in macchina sono sempre la parte migliore di ogni vacanza. Nonostante tutto ne sono convinto anche io.
Poi l'arrivo, ancora pioggia...
Si capisce che il target è femmina, mi dice, dal fatto che per leggere chi sei devi fissare le tette alle altre. L'organizzazione consegna un adesivo con il nome da apporre sul bavero. I pochi maschi li vedi girare con il collo che paiono reduci da un colpo di frusta sulla tangenziale.
Pochi i maschi e così così anche.
Ce n'è uno un po' in sovrappeso con la barba ed i capelli poco curati. Gira, un po' a disagio, tra le stanze alla ricerca di qualcuno che se lo fili.
Ad un certo punto una bionda gli rivolge la parola e lui quasi si strozza col panino.
Gli interventi sono stati molto interessanti, mi dice. Soprattuto se hai come obiettivo lavorare con internet.
La mia amica non vuole fare la blogger di professione ma mi ha detto che lì è pieno di mamme che lo vogliono fare.
Ha capito che non basta un tablet di ultima generazione, per fare la blogger di professione. Non basta sapere cos'è un hosting, un page view, un copywriter, un content hunter ed un sacco di altre parole che non ha capito e che nemmeno si ricorda. Serve farsi un po' il culo, quello si. Serve tempo e formazione. Serve aiuto, anche. Non si improvvisa, nemmeno qui.
"L'ispirazione esiste ma deve trovarti al lavoro" ha detto Nestore Novati citando Picasso.
Ed un po' le è dispiaciuto per quelle ragazze, perchè si sa che non tutte ce la faranno, anche se lei glielo augura di cuore.
Ed è tornata contenta di esserci stata ed aver dato un volto a dei nickname.
E ci tornerà anche il prossimo anno, potendo.
Nel frattempo continuerà con la sua attività di Homemade farmer, flower Watergiving, kindergarden lifter, Family lover e altre parole che non si ricorda.
È stata entusiasta dell'esperienza al punto che me l'ha raccontata per filo e per segno che quasi mi sembra di esserci andato.
È partita sotto un dio di acqua che a Vicenza Ovest già veniva voglia di girare la macchina e tornare a casa. Le ho fatto notare che in autostrada non è proprio il caso di girare la macchina....
Mi è sembrata molto stupita di questa mia rivelazione, in ogni caso, anche volendo, non sarebbe tornata indietro manco scannata. A Verona Est la attendeva una vera blogstar: Barbara di Mamma Fatta Così, una di quelle mamme con cui ti senti che non è difficile andare d'accordo. I viaggi in macchina sono sempre la parte migliore di ogni vacanza. Nonostante tutto ne sono convinto anche io.
Poi l'arrivo, ancora pioggia...
Si capisce che il target è femmina, mi dice, dal fatto che per leggere chi sei devi fissare le tette alle altre. L'organizzazione consegna un adesivo con il nome da apporre sul bavero. I pochi maschi li vedi girare con il collo che paiono reduci da un colpo di frusta sulla tangenziale.
Pochi i maschi e così così anche.
Ce n'è uno un po' in sovrappeso con la barba ed i capelli poco curati. Gira, un po' a disagio, tra le stanze alla ricerca di qualcuno che se lo fili.
Ad un certo punto una bionda gli rivolge la parola e lui quasi si strozza col panino.
Gli interventi sono stati molto interessanti, mi dice. Soprattuto se hai come obiettivo lavorare con internet.
La mia amica non vuole fare la blogger di professione ma mi ha detto che lì è pieno di mamme che lo vogliono fare.
Ha capito che non basta un tablet di ultima generazione, per fare la blogger di professione. Non basta sapere cos'è un hosting, un page view, un copywriter, un content hunter ed un sacco di altre parole che non ha capito e che nemmeno si ricorda. Serve farsi un po' il culo, quello si. Serve tempo e formazione. Serve aiuto, anche. Non si improvvisa, nemmeno qui.
"L'ispirazione esiste ma deve trovarti al lavoro" ha detto Nestore Novati citando Picasso.
Ed un po' le è dispiaciuto per quelle ragazze, perchè si sa che non tutte ce la faranno, anche se lei glielo augura di cuore.
Ed è tornata contenta di esserci stata ed aver dato un volto a dei nickname.
E ci tornerà anche il prossimo anno, potendo.
Nel frattempo continuerà con la sua attività di Homemade farmer, flower Watergiving, kindergarden lifter, Family lover e altre parole che non si ricorda.
giovedì 23 maggio 2013
Oh Mamma!
Alla fine ci sono riuscita. Sono riuscita ad organizzarmi in tempo per andare almeno ad una piccola parte dell'iniziativa "Social Family Day" che si terrà domani e dopodomani a Milano.
All'inizio ero intenzionata a partecipare Sabato. Mi ero anche iscritta. Poi le maestre dell'asilo hanno pensato bene di piazzarci sopra la recita di fine anno della scuola e tanti saluti. Che poi non ho capito perchè io debba sorbirmi anche la recita di fine anno... ma ai miei tempi non si faceva solo a Natale? Ma questo non importa.
Poco male, mi sono detta, mi prendo un giorno di ferie e vado il venerdì che ci sono anche dei seminari interessanti. Almeno così sembra, è sempre difficile giudicare un seminario dal titolo. Ma le relatrici dovrebbero essere una garanzia. Poi son tutte mamme, come me.
Senonchè in cooperativa dove lavoro cosa ci inventiamo? Una bella inaugurazione di un nuovo servizio... domani pomeriggio. Così niente, sarò costretta ad un fuggi fuggi subito dopo pranzo.
Avrò almeno la possibilità di dare un volto ed un corpo in 3D ad alcune amiche con cui ci siamo scritte nell'ultimo anno di blogging.
Non sto nella pelle.
Che poi chissà se questo accentaccio veneto che mi ritrovo piacerà o no?
Se riesco stasera vado anche dalla parrucchiera.
È pazzesco quanto noi donne ci teniamo ad essere perfettamente a posto quando ci troviamo tra di noi senza maschi.
Non come gli uomini, che si tirerebbero solo se dovessero trovarsi in un posto pieno difiga signore.
Vi racconterò...
Non sto nella pelle.
All'inizio ero intenzionata a partecipare Sabato. Mi ero anche iscritta. Poi le maestre dell'asilo hanno pensato bene di piazzarci sopra la recita di fine anno della scuola e tanti saluti. Che poi non ho capito perchè io debba sorbirmi anche la recita di fine anno... ma ai miei tempi non si faceva solo a Natale? Ma questo non importa.
Poco male, mi sono detta, mi prendo un giorno di ferie e vado il venerdì che ci sono anche dei seminari interessanti. Almeno così sembra, è sempre difficile giudicare un seminario dal titolo. Ma le relatrici dovrebbero essere una garanzia. Poi son tutte mamme, come me.
Senonchè in cooperativa dove lavoro cosa ci inventiamo? Una bella inaugurazione di un nuovo servizio... domani pomeriggio. Così niente, sarò costretta ad un fuggi fuggi subito dopo pranzo.
Avrò almeno la possibilità di dare un volto ed un corpo in 3D ad alcune amiche con cui ci siamo scritte nell'ultimo anno di blogging.
Non sto nella pelle.
Che poi chissà se questo accentaccio veneto che mi ritrovo piacerà o no?
Se riesco stasera vado anche dalla parrucchiera.
È pazzesco quanto noi donne ci teniamo ad essere perfettamente a posto quando ci troviamo tra di noi senza maschi.
Non come gli uomini, che si tirerebbero solo se dovessero trovarsi in un posto pieno di
Vi racconterò...
Non sto nella pelle.
lunedì 20 maggio 2013
Little Man Tate
Leggevo
qualche tempo fa un bellissimo articolo su GC sulla responsabilità
di educare i bambini con un dono, una dote fuori dal comune.
Ciascuno
di noi, nel momento in cui sa che diventerà genitore si augura il
meglio per i propri figli e per qualche ragione spera sempre che abbiano successo, nel senso che possa facilmente
superare tutti gli ostacoli della vita.
Speranza,
come si sa, assolutamente mal riposta e vana: tutto ciò che spesso
scambiamo per genialità è in realtà frutto di una passione che
porta a, come ben definito da tutti i grandi della pedagogia, farsi
il culo per un obiettivo.
Chiaro,
c'è chi è più portato e chi meno, non c'è dubbio, e a parità di
culo fatto le differenze si notano eccome. GC
Come
padre ho spesso il timore di non riuscire a cogliere i doni dei miei
figli e, di conseguenza, di non facilitare il loro sviluppo. È una
enorme responsabilità, a dire il vero.
Come
fare a scoprire il talento, la vera passione? Metti che tuo figlio
potrebbe essere un super campione di Curling, e tu abiti a Rimini...
Ma
scherzi a parte, anche ammesso che tuo figlio sia il nuovo Mozart e
decidi di accondiscendere e acquistare uno strumento. Un esempio a
caso: la chitarra.
Per
quanto dotato non potrà fare a meno di scoraggiarsi davanti ai primi
barrè, al primo Mi bemolle, al primo ritmo in levare. Quanto
insistere? Fino a dove è giusto essere fermi, facendogli capire
l'iportanza di portare a termine un compito, un impegno. E dove
inizia invece la nostra voglia di rivalsa verso il mondo, il nostro
desiderio di dargli ciò che a noi è mancato?
Ad
esempio Marichan non vuole più andate in piscina. Si divertiva anche
ma poi non ha più voluto saperne. Pazienza, ci siamo detti,
riproveremo il prossimo anno, magari accompagnandola noi (andava con
lo zio o la nonna).
Perchè in fondo si vive anche senza nuotare, anche se fa bene, e comunque si può iniziare anche a quattro anni, invece che a tre. Una collega istruttrice di nuoto, ricordo, era stata una mia corsista a diciotto anni. Ha imparato ed ha bruciato le tappe fino al brevetto di insegnante. Questo è incoraggiante, non trovate? Qualcosa potranno decidere di fare anche dopo che non dipenderanno più da noi.
Perchè in fondo si vive anche senza nuotare, anche se fa bene, e comunque si può iniziare anche a quattro anni, invece che a tre. Una collega istruttrice di nuoto, ricordo, era stata una mia corsista a diciotto anni. Ha imparato ed ha bruciato le tappe fino al brevetto di insegnante. Questo è incoraggiante, non trovate? Qualcosa potranno decidere di fare anche dopo che non dipenderanno più da noi.
Poi
ci sono dei talenti cristallini, quelli che nascono ogni tremila
anni, di quelli che hanno la mano di Dio o del Diavolo del blues
appoggiata sulla spalla e riescono con facilità a fare tutto con
precisione, con abilità innata.
È
impossibile non accorgersene, rimane l'ansia di non soffocare tanta
ricchezza.
Guardate
questo video di Jack, non trovate che sia di una bravura
sconcertante?
giovedì 16 maggio 2013
Le mie Colonie (cap 2)
Mi
stupisco sempre di quanto poco siano tenuti in considerazione
l'olfatto ed il gusto... Come sensi, dico. Eppure, molto più della
vista e dell'udito riescono a lavorare a contatto con l'anima, a
risvegliarla, nei ricordi più lontani.
C'è
l'odore di spazzatura che marcisce al sole, ad esempio, che io
associo positivamente ad una vacanza al mare di tantissimi anni fa,
la prima volta che ho visto un cassonetto. O quella particolare essenza
di muffa, che c'era solo nella stanza dove nonna lavorava le verdure
appena raccolte. O la carta ingiallita, che fa tornare in mente quella
baracca che c'era in fondo all'orto, con quel vecchio armadio pieno
zeppo di gialli mondadori. O il fieno di quando si aiutava lo zio nei
campi e una volta mi sono anche incrinato la costola che quasi, ora,
a sentirne l'odore, avverto una fitta al fianco.
Così
mi capita con il dentifricio dei bambini. Quello caramelloso,
dolciastro... impossibile, adesso, da grande. Eppure, se lavando i
denti ai bambini me ne scappa sulla mano e mi lecco le dita, è come
se entrassi nella macchina del tempo.
C'era
questo tubetto blu e nero con disegnato Paperino.
Eravamo
in colonia in montagna.
È
incredibile quante cose possano cambiare da una esperienza terribile
come quella del mare mettendoci solamente di mezzo un anno, un paio
di centinaia di chilometri di latitudine e qualche metro slm.
Pensare
che i presupposti erano gli stessi: famiglia impossibilitata a
muoversi.
Ma
le madri (la mia e la gemella zia), rose dai sensi di colpa per la
dorotea prigionia dell'anno precedente, il secondo anno l'hanno
pensata meglio: motagna. E non solo i due primogeniti: anche i
secondi, all'insegna del mal comune mezzo gaudio, che eventualmente
si facessero compagnia fra di loro. Il mio fratellino, oltretutto,
all'epoca soprannominato “Ba'otea” (lett. Palletta, per via delle
guanciotte alla Arnold), era clamorosamente fuori età, frequentando
ancora l'asilo. Non so come, le gemelle terribili siano riuscite a
corrompere il povero Don Luciano: ruspio e dolce, come solo gli
uomini di montagna sanno essere, responsabile del campo.
Però
è andato tutto bene. Benissimo anzi.
Come
per il mare, più che di veri ricordi, si tratta di flash, di
suggestioni. Ricordo il sorriso dagli occhi verdi della nostra
animatrice, ricordo la sfida con la CIF, la colonia rivale, colpevole
solamente di essere dirimpettaia, la scarpinata al Cimone, sui luoghi
della Grande Guerra. Ricordo il bambino che ci intratteneva a cena
soffiandosi il naso con le fette di prosciutto per poi mangiarle a
mo' di involtino. Ricordo Erwin, mi pare si chiamasse così, unico
superstite dell'esperienza dell'anno prima, un ragazzino biondissimo,
forse albino, che stava sempre da solo e una volta si è anche perso.
Ricordo che non ho mai dovuto seguire mio fratello che tanto lo
avevano addottato tutti, così estroverso com'era. Ricordo il falò
di fine campo: “È l'ora dell'addio, fratelli, è l'ora di partir”,
la prima volta in vita mia che ho dovuto nascondere le lacrime.
“Arrivederci,
allor, fratelli. Arrivederci si”
martedì 14 maggio 2013
Sono rimasto a piedi
“Ma
sei matto?”
“Ma
per terra c'è di tutto, siringhe, pisciate di cane, preservativi
usati...”
“Ma
non ti fa male?”
“Ma
non ti vergogni? E se trovi qualcuno che conosci?”
“Ma
scusa: ma almeno con i calzini?”
Eh,
si! Un po' credo di essere pazzo sul serio.
Da
bravo psicologo
ho sempre pensato che siamo tutti più o meno predisposti a qualche
forma di malattia mentale, esattamente come lo siamo per quelle
fisiche. Poi se la vita ci dice bene potremmo anche non ammalarci mai
e lasciare questo “gene maledetto” in uno scrigno, dentro al
nostro DNA.
Ma
questo non centra nulla con la mia nuova passione: Il Barefoot
Running.
Il
Barefoot Running è la corsa a piedi nudi!
Tutto
è iniziato con questo post, di un vecchio amico e collega di
università.
Come
potrete notare dalle foto non è mai stato uno che si fa problemi di
look e preferisce di gran lunga la praticità e la funzionalità alla
mise all'ultimo grido.
Mi
hanno subito incuriosito le scarpe, così gli ho scritto per
chiedergli informazioni. Le mie quasi nuove scarpe comprate in saldo
a gennaio, infatti, si sono già un bel po' consumate (d'altro canto
hanno percorso più di duecento chilometri e per quello che le ho
pagate direi che non potevo aspettarmi molto di più) e stavo
iniziando a guardarmi attorno.
In
questi casi si rischia di diventare monomaniaci e passare ogni
singolo momento libero a leggersi forum dedicati. Ed è quello che ho
fatto.
E
così conosco le scarpe minimaliste: sono sostanzialmente dei calzini
con la suola leggermente rinforzata e derivano direttamente dalla
cultura barefoot.
Il
principio di fondo è che bisogna cambiare completamente impostazione
della corsa per trovare il tuo stile naturale. Una volta trovato
riuscirai a correre con minore sforzo e, soprattutto, senza
sovraccaricare muscoli, legamenti e schiena perchè il gesto è molto
più “leggero” che con le scarpe ammortizzate.
La
cosa che più mi ha colpito, leggendo in giro, è come, nei forum per
corridori, partendo dal 2009 ad oggi, ci siano state un sacco di
“conversioni” alla corsa minimalista, anche tra chi all'inizio la
considerava una semplice moda passeggera.
Proprio
questi due aspetti mi hanno convinto a provare: i benefici fisici e
il fatto che in molti “talebani” della scarpa ammortizzata
abbiano cambiato idea.
Il
bello, o il brutto, è che non si può passare semplicemente da una
tecnica all'altra.
Intanto
bisogna iniziare scalzi e non con le minimaliste, per allenare la
propria propriocettività.
Poi
bisogna fare all'inizio solo qualche centinaio di metri, aumentando
progressivamente, per verificare che il piede si rinforzi, il
polpaccio si alleni (si usano muscoli finora sconosciuti) e anche per
fare un po' di fiato: la corsa è effettivamene leggera ma devo
tenere una frequenza di passo doppia rispetto a prima.
Però
le prime sensazioni sono ottime e devo impormi di fermarmi per non
esagerare.
Per
cui magari sono pazzo davvero, ma lo scambio per amore e sono felice.
giovedì 9 maggio 2013
Colonia Penosa
È ora di iniziare a pensare alle vacanza.
Un po' perchè è uscito finalmente il sole, dopo mesi di monsoni un po' britannici un po' scassamaroni.
Un po' perchè i bimbi danno parecchi segni di stanchezza: "Possiamo stare a casa oggi?"
Un po' perchè siamo stanchi anche noi: a filare come matti. Maggio poi è un mese terrificante qui, con chiusure di bilanci e tutti questi argomenti economici che per fortuna c'è qualcuno che ci capisce perchè io manco di zero.
Vacanze, si diceva.
Farà meglio la montagna o il mare ai bimbi?
E giù a discuterne vuotamente per ore.
Inevitabile che torni il ricordo che ancora turba i miei sogni di vegliardo (cit.)
La Colonia al mare.
La Colonia è un'istituzione giustamente scomparsa, probabilmente resa illegale assieme al fascismo che molte cose aveva in comune.
Ma quando io ero alle elementari, in prima elementare, per essere precisi, c'era tutto un fiorire di Colonie: sineddoche per indicare un soggiorno presso una struttura architettonicamente di pessimo gusto sita in prossimità di sfigatissimi luoghi di villeggiatura. Obiettivo della Colonia? Credo abbassare l'età media del paese al di sotto dei novant'anni almeno per la durata del soggiorno.
Di solito erano organizzati dagli ordini religiosi o dalla diocesi stessa.
Noi, con la famiglia, eravamo sempre andati al mare. A Caorle, in una minuscola casupola con le persiane rosse, che era uguale uguale ad una vicina che però ce le aveva blu, che si affittava assieme agli zii.
Ma quell'anno era nata da poco mia sorella e mio nonno era stato male ed era costretto in sedia a rotelle. Così mamma era bloccata a casa. Mia zia era più o meno nelle stesse condizioni, per cui io e mio cugino dritti in colonia. Al mare, perchè avevamo fatto un corso nuoto.
Mi pare che il soggiorno fosse durato un mese. O forse quindici giorni che parvero un mese, non ricordo.
La Colonia era gestita dalle suore delleSS Dorotee. Svariate volte al giorno bisognava adunarsi in cortile, in fila per uno a pregare o a ricevere la posta. Solo l'idea che per un soggiorno si potesse ricevere la posta dà l'idea di quanto fuori dal mondo si fosse. A me arrivò solo una cartolina ma la zoccola vestita di bianco sbagliò l'accento del mio cognome ed io non andai a prenderla.
Ogni pantaloncino, felpa, paio di mutande o calzini doveva avere un numero rosso attaccato con ago e filo. Il mio era il 29.
Da piccolo non mangiavo le verdure, fatica che ritrovo in molti bimbi, i miei compresi. Di certo la pedagogia ci ha insegnato che non è sforzandoli che impareranno. In Colonia anche non ti sforzavano. Ti costringevano.
Ancora oggi non riesco a mangiare il cavolo cappuccio. Troie le Dorotee.
Per fortuna riuscivo a passare sottobanco il cibo che non mi piaceva a mio cugino, di un anno più grande e quindi protettivo nei miei confronti (oltretutto è una specie di bidoncino dell'umido che mangia qualsiasi cosa).
Ma le due cose che più porto nel cuore, come cicatrici indelebili, sono il bagno in mare e la visita dei genitori.
Il bagno, motivo che aveva guidato la scelta verso il mare, cazzo, eravamo dei nuotatori provetti, si faceva una volta a settimana. Ricordo che una volta è piovuto e si è saltato una settimana. Perchè recuperare il giorno dopo se si può farne a meno?
Il bagno consisteva nel togliere il nastro rosso e bianco che chiudeva la nostra spiaggia da un lato, quello dove non c'erano le reti metalliche, e aprire l'orizzonte fino al successivo nastro rosso e bianco, una decina di metri più avanti. Conoscete il litorale veneto? L'acqua ti arriva alle caviglie fino a quasi in Yugoslavia.
Immaginatevi un fischietto da arbitro che suona, un centinaio di bambini assiepati in pochi metri quadri d'acqua alle ginocchia. dieci minuti, forse. Triplice fischio, tutti fuori bagno finito.
A metà soggiorno, dopo due settimane, i genitori potevano venire a contatto con iprigionieri bambini: potevano stare dietro la rete metallica. Credo di aver passato la mattina con le dita dentro ai buchi della rete.
Io ora ci scherzo su... credo che se mia madre leggerà queste righe forse farà fatica a trattenere la lacrima.
E un po' te lo meriti, mamma.
Peccato che non lo leggerà nessuna di quelle troiacce vestite di bianco.
Un po' perchè è uscito finalmente il sole, dopo mesi di monsoni un po' britannici un po' scassamaroni.
Un po' perchè i bimbi danno parecchi segni di stanchezza: "Possiamo stare a casa oggi?"
Un po' perchè siamo stanchi anche noi: a filare come matti. Maggio poi è un mese terrificante qui, con chiusure di bilanci e tutti questi argomenti economici che per fortuna c'è qualcuno che ci capisce perchè io manco di zero.
Vacanze, si diceva.
Farà meglio la montagna o il mare ai bimbi?
E giù a discuterne vuotamente per ore.
Inevitabile che torni il ricordo che ancora turba i miei sogni di vegliardo (cit.)
La Colonia al mare.
La Colonia è un'istituzione giustamente scomparsa, probabilmente resa illegale assieme al fascismo che molte cose aveva in comune.
Ma quando io ero alle elementari, in prima elementare, per essere precisi, c'era tutto un fiorire di Colonie: sineddoche per indicare un soggiorno presso una struttura architettonicamente di pessimo gusto sita in prossimità di sfigatissimi luoghi di villeggiatura. Obiettivo della Colonia? Credo abbassare l'età media del paese al di sotto dei novant'anni almeno per la durata del soggiorno.
Di solito erano organizzati dagli ordini religiosi o dalla diocesi stessa.
Noi, con la famiglia, eravamo sempre andati al mare. A Caorle, in una minuscola casupola con le persiane rosse, che era uguale uguale ad una vicina che però ce le aveva blu, che si affittava assieme agli zii.
Ma quell'anno era nata da poco mia sorella e mio nonno era stato male ed era costretto in sedia a rotelle. Così mamma era bloccata a casa. Mia zia era più o meno nelle stesse condizioni, per cui io e mio cugino dritti in colonia. Al mare, perchè avevamo fatto un corso nuoto.
Mi pare che il soggiorno fosse durato un mese. O forse quindici giorni che parvero un mese, non ricordo.
La Colonia era gestita dalle suore delle
Ogni pantaloncino, felpa, paio di mutande o calzini doveva avere un numero rosso attaccato con ago e filo. Il mio era il 29.
Da piccolo non mangiavo le verdure, fatica che ritrovo in molti bimbi, i miei compresi. Di certo la pedagogia ci ha insegnato che non è sforzandoli che impareranno. In Colonia anche non ti sforzavano. Ti costringevano.
Ancora oggi non riesco a mangiare il cavolo cappuccio. Troie le Dorotee.
Per fortuna riuscivo a passare sottobanco il cibo che non mi piaceva a mio cugino, di un anno più grande e quindi protettivo nei miei confronti (oltretutto è una specie di bidoncino dell'umido che mangia qualsiasi cosa).
Ma le due cose che più porto nel cuore, come cicatrici indelebili, sono il bagno in mare e la visita dei genitori.
Il bagno, motivo che aveva guidato la scelta verso il mare, cazzo, eravamo dei nuotatori provetti, si faceva una volta a settimana. Ricordo che una volta è piovuto e si è saltato una settimana. Perchè recuperare il giorno dopo se si può farne a meno?
Il bagno consisteva nel togliere il nastro rosso e bianco che chiudeva la nostra spiaggia da un lato, quello dove non c'erano le reti metalliche, e aprire l'orizzonte fino al successivo nastro rosso e bianco, una decina di metri più avanti. Conoscete il litorale veneto? L'acqua ti arriva alle caviglie fino a quasi in Yugoslavia.
Immaginatevi un fischietto da arbitro che suona, un centinaio di bambini assiepati in pochi metri quadri d'acqua alle ginocchia. dieci minuti, forse. Triplice fischio, tutti fuori bagno finito.
A metà soggiorno, dopo due settimane, i genitori potevano venire a contatto con i
Io ora ci scherzo su... credo che se mia madre leggerà queste righe forse farà fatica a trattenere la lacrima.
E un po' te lo meriti, mamma.
Peccato che non lo leggerà nessuna di quelle troiacce vestite di bianco.
lunedì 6 maggio 2013
Distacchi
La prima volta la vidi una decina di anni fa, che ero in crisi con la morosa.
Aveva un'eleganza disinvolta, per niente impegnativa. Di quelle che ti mettono a tuo agio e ti fanno capire che non ci perdono tempo dietro e non chiedono a te di perderne. Giusto qualche particolare d'oro, nulla di eccessivo.
Me ne innamorai subito, dopo il primo abbraccio.
Si, di solito non mi lascio andare all'approccio fisico, sono piuttosto timido ma è come se fosse scattata una molla.
Non ho mai creduto ai discorsi sulla compatibilità fisica, ho sempre creduto che contasse poco. Invece
Ci attrasse la comune passione per il jazz ed il blues; passione vera la sua... direi quasi di più: il jazz ce lo aveva dentro e fuori: emergeva da qualsiasi lato la si guardasse. Il contatto fisico è stato quasi elettrizzante: un fremito.
"Ho sceso dandoti il braccio più di un milione di scale", quante scale assieme, amica mia. Quanti ricordi... quanto ho brillato della tua luce riflessa.
Mi ha accompagnato anche in concerti importanti, ogni graffio sulla pelle è un ricordo assieme.
Ma poi qualcosa si è rotto. Quella passione che era in fondo solo affinità fisica non poteva durare. Il jazz non poteva durare. Lei è stata anche brava, volenterosa... ci ha provato con il folk, con il rock. Ma non era nella sua natura. Non ama le distorsioni, lei, e nemmeno i testi impegnati.
Mi sono preso l'ultimo lungo abbraccio domenica scorsa. Poi l'ho lasciata partire.
Buon viaggio, e buon jazz.
Spero che troverai qualcuno che sappia dimostrare al mondo quanto vali
no, va beh, non è che volessi fare il sentimentale... è che non avevo mai venduto una chitarra prima d'ora
Aveva un'eleganza disinvolta, per niente impegnativa. Di quelle che ti mettono a tuo agio e ti fanno capire che non ci perdono tempo dietro e non chiedono a te di perderne. Giusto qualche particolare d'oro, nulla di eccessivo.
Me ne innamorai subito, dopo il primo abbraccio.
Si, di solito non mi lascio andare all'approccio fisico, sono piuttosto timido ma è come se fosse scattata una molla.
Non ho mai creduto ai discorsi sulla compatibilità fisica, ho sempre creduto che contasse poco. Invece
Ci attrasse la comune passione per il jazz ed il blues; passione vera la sua... direi quasi di più: il jazz ce lo aveva dentro e fuori: emergeva da qualsiasi lato la si guardasse. Il contatto fisico è stato quasi elettrizzante: un fremito.
"Ho sceso dandoti il braccio più di un milione di scale", quante scale assieme, amica mia. Quanti ricordi... quanto ho brillato della tua luce riflessa.
Mi ha accompagnato anche in concerti importanti, ogni graffio sulla pelle è un ricordo assieme.
Ma poi qualcosa si è rotto. Quella passione che era in fondo solo affinità fisica non poteva durare. Il jazz non poteva durare. Lei è stata anche brava, volenterosa... ci ha provato con il folk, con il rock. Ma non era nella sua natura. Non ama le distorsioni, lei, e nemmeno i testi impegnati.
Mi sono preso l'ultimo lungo abbraccio domenica scorsa. Poi l'ho lasciata partire.
Buon viaggio, e buon jazz.
Spero che troverai qualcuno che sappia dimostrare al mondo quanto vali
no, va beh, non è che volessi fare il sentimentale... è che non avevo mai venduto una chitarra prima d'ora
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