Il venerdì di quaresima, per i cattolici, ci sarebbe da osservare l'astinenza dalla carne.
In teoria ciò che si risparmia con la carne si dovrebbe darlo in carità.
Ma ormai è opinione comune ed accettata che l'astinenza possa essere anche di altro tipo: fumare, bere, eccetera.
Una mia ex collega diceva che secondo lei si sarebbe, ad esempio, potuto astenersi dal fare sesso.
Ancora sorrido al pensiero che uno faccia sesso così tante volte da considerare un sacrificio saltare una sera.
Siccome per me non varrebbe, e se mi dovesse capitare ma col cavolo che mi astengo, io mi astengo dallo scrivere...
vi mando invece a questo post che ho scritto per Genitori Crescono che mi ospita anche questo mese.
Non l'ho scritto oggi, per cuiil precetto è rispettato
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venerdì 14 marzo 2014
martedì 3 dicembre 2013
Quando è la pancia che ti parla
C'è
stato un tempo in cui il detto “Parlare alla pancia delle persone”
era non solo molto utilizzato ma addirittura usato con accezione
positiva. Superlativamente positiva, oserei dire, in qualsiasi campo
la si usi.
“Quel
cantante arriva al suo pubblico, parla alla pancia della gente”
“La
Lega la votano in tanti perché parla alla pancia della gente come
una volta faceva il comunismo, che ora è snob”.
Due
esempi molto diversi, chiaramente ai quali, però, la mia pancia
risponde sempre allo stesso modo: “mi spingi ad un singhiozzo o ad
un rutto” cantava il vecchio Francescone che per decenza o per
metrica ometteva la terza risposta, quella in direzione (ostinata e)
contraria.
Capite?
Nemmeno al cuore, alla pancia proprio.
Voglio
dire: è chiaro che parlare alla pancia della gente significa
capirla, farla sentire inclusa. Mi chiedo però quanto non sia
responsabilità di ciascuno di cercare di elevare, ogni tanto, il
livello provando a lasciare alla pancia il suo ruolo naturale.
Pensiamo
ai nostri figli, ad esempio: loro la pancia la sanno ascoltare
eccome. Hanno fame, hanno sete, gli scappa da cagare. (autogrill)
(oggi sono in vena di cazzate, e dire che il post vorrebbe essere
serio).
Però
noi gli chiediamo di aspettare l'ora di cena, di finire la pasta
prima di andare in bagno, di non reagire con un manrovescio ad
un'offesa (“tu non hai il pippo”, o “tra i cattivi degli
Avengers ce n'è uno che si chiama come te”)
E
quotidianamente ci sforziamo di governare la nostra pancia nel non
reagire alle provocazioni quando sono molto stanchi, di provare ad
abbracciarli e rassicurarli che li amiamo quando ci danno i calci,
fanno i capricci, ci respingono magari riscuotendo, a dispetto di
ogni previsione, un bacio tardivo, prima di andare a dormire.
Ed
è faticoso, certo, soprattutto a casa, soprattutto con le persone
più care, quelle in presenza delle quali ci togliamo le scarpe,
nonostante l'amore, nonostante l'età.
Eppure
sappiamo che dobbiamo provarci e tentiamo con i figli quello che non
siamo mai riusciti a fare con i genitori.
E
allora, dico, ma per coerenza non potremmo cercare di non dare troppo
peso alla nostra pancia anche nella quotidianità?
Non
potremmo fare obiezione di coscienza verso le pubblicità stupide, i
discorsi stupidi, il razzismo, il maschilismo, la pochezza culturale
quotidiana?
In
fondo non siamo tutti convinti che è con la coerenza e l'esempio che
si educano i bambini?
Educhiamoli
ad un linguaggio di cuore e cervello lasciandoci permeare solo da ciò
che parla a cuore e cervello.
A
me i discorsi alla pancia entrano da un orecchio ed escono...
scusate, devo proprio correre.
In ogni lavoro di brainstorming c'è il tipo che fa l'intervento scemo. Di solito sono io. Lo faccio anche nel blogstorming di GenitoriCrescono
giovedì 5 settembre 2013
iGenius
Essere
genitori è la condizione che molto più di altre ti costringe a
rimetterti in gioco. Rimettersi in gioco non è mai facile: significa
accettare che cambierai tu e la tua vita. Pensiamo a come si
trasforma il corpo di una donna. Pensiamo a come cambiano i ritmi
della giornata.
La
nascita è sempre un evento lieto ma il cambiamento va elaborato.
Prendiamo
me, tanto per non dover parlare degli assenti: io da quando sono
padre sono molto più ordinato.
Giuro.
Prima
per me era abbastanza normale avere il mucchio di vestiti sopra lo
schienale della sedia che butavo a lavare solo quando, per via di
quella regola sul baricentro che non ricordo tanto bene che deve
stare dentro alla base, la sedia cadeva da sola sul pavimento.
Idem
per le scarpe. A cosa serviva riporle nella scarpiera se ogni mattino
ed ogni sera per metterle e levarle devo sedermi sul divano? Tanto
vale lasciarle sotto al divano.
Poi
ti sposi e le tue abitudini devono necessariamente meticciarsi con
quelle della tua metà.
Ma
è ancora facile.
È
quando hai figli che ti rendi conto che cinque paia di sandali sotto
lo stesso divano non sono sostenibili né olfattivamente che
logisticamente.
E
così impari a starci un po' più attento, all'ordine.
Infatti
prima di re-iniziare a fare sport, l'esercizio quotidiano che
comportava maggiore dispendio di calorie era riordinare: chinarsi,
gambe tese, chinarsi, flessione delle ginocchia, lancio dell'oggetto
nel cesto, flessione delle ginocchia, spostamento laterale, su belli
dritti, quattro passi veloci, flessione delle ginocchia, allungare il
braccio, mollare l'oggetto.
Allenamento
costante, quotidiano, ripetuto nel corso della giornata.
Anche
la pulizia della casa si.
Ci
ha sempre tenuto di più Silver, non c'è che dire. Però ci si
abitua a stare sul pulito e quando non c'è ti manca l'ordine,
l'organizzazione. È anche vero che è praticamente impossibile non
spazzare il pavimento dopo ogni singolo pasto dei tre cuccioli di
licaone. A meno che tu non abbia due robuste calzature a trekking
estremo e non ti faccia impressione l'effetto della gomma appiccicata
sotto alla suola.
E
non è che lo fai perchè i bimbi sono sempre per terra, che tanto
quando aprono la porta di casa si buttano a mangiar terra ed a
mettere le mani su qualsiasi schifezza gli arrivi a tiro.
E
non lo fai neppure perchè con tre figli è probabile che qualcuno ti
venga a trovare; è molto più facile che tu vada a trovare qualcuno.
Che tanto poi uno che ha tre figli è legittimato a tenersi la casa
come un campo appena arato.
Lo
fai perchè ne hai bisogno. Noi ne abbiamo bisogno. Magari a qualcuno
serve dell'altro: scrivere, leggere, suonare, cucinare, aggiustare
elettrodomestici, costruire un veliero in bottiglia.
A
noi serve mettere in ordine. Cerchiamo di evitare che diventi il fine
delle nostre azioni, che tutto sia subordinato a questo, ma non ci
piace andare a letto con la tavola apparecchiata. E Silver va al
lavoro più volentieri se ha rifatto i letti. Chiaro che non succede
niente se talvolta si sgarra, l'eccezione ci sta.
Abbiamo
bisogno di quell'ordine perchè diventa il metro con cui misuri la
tua capacità di far quadrare il bilancio sociale della tua famiglia.
Non stai andando a rotoli, è semplicemente cambiato e molte cose in
meglio.
Ogni
volta che riponi la scopa e ammiri il pavimento pulito, il lavello in
ordine, il centrotavola in centro pensi che i bimbi stanno bene, sono
a letto che dormono tranquilli ed anche oggi ce l'hai fatta. Ed ogni
giorno passa un giorno.
Still,
tomorrow's gonna be another working day
and
I'm trying to get some rest
that's
all I'm trying to get some rest.
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martedì 4 giugno 2013
più dei biglietti senza ritorno dati sempre alle persone sbagliate
Mi
chiamo El_Gae e sono quindici giorni che non cerco di “appartenere”
Che
è anche vero, per quello.
Solo che è faticoso.
Da
ragazzo ci perdevo i sentimenti, sull'appartenenza: c'era il gruppo
fico, quello che avevano la morosa o che comunque ogni tanto
limonavano e c'erano i secchioni sfigati e nerd.
M.
ed io eravamo borderline, né sufficientemente bravi da essere nerd né abbastanza fighi da essere
limonatori (ahimè).
Una forma assolutamente innovativa ed originale di sfiga.
Va da sé che stando in mezzo al guado e dovendo
decidere quale sponda raggiungere ci si fiondava su quella dei
limonatori. Perchè con un compagno pianista avevo anche provato a
trovarmi per suonare insieme ma non funzionava. Non poteva reggere un
gruppo in cui il figo dovevo farlo io.
Ma
poi si capiva che non poteva funzionare neppure con i limonatori, no? Non basta mettersi una
giacca colorata per diventare Formigoni (chi trova una metafora
peggiore di questa vince un premio).
Così,
anche se da fuori potevo sembrare incluso, non mi sentivo a mio agio,
non mi ci ritrovavo (non limonavo, baideuei).
Una volta il gruppo figo rubò delle
magliette dentro al Castello degli Estensi di Ferrara. Nell'ilarità
generale mi ero sentito stupidamente escluso per non essere stato
coinvolto nell'operazione ed avevo anche chiesto: “Ne avete una in
più?”.
Non ce l'avevano
Smascherati
i quattro compagni furono sospesi per una settimana. Ricordo il
prof di inglese che mi guardò insistentemente per vari minuti ed
alla fine chiese: “E tu, sei sicuro di non centrare nulla?”
Ed
io mi sentii una merda. Perchè se era vero che non avevo
rubato nulla, era vero anche che se un ladruncolo zelante ne avesse
presa una in più io sarei stato coinvolto ne più ne meno.
Non
sono mai stato bravo a celare le emozioni; credo che il prof avesse
letto nei miei occhi il senso di colpa. Probabilmente si ricorda di
me come quello che l'ha fatta franca.
Chissà
cosa avrebbero pensato i miei? Chissà cosa pensano, ora che lo
leggono e non l'ho mai raccontato a nessuno, nemmeno a me stesso.
Ora
che sono padre mi vergongo nel ricordare questi episodi. Mi chiedo
spesso cosa penserei dei miei figli se venissero coinvolti in un
episodio come questo. Cattive compagnie, il branco: facile a dirsi.
Nessuno
di quei “ladruncoli” era figlio del disagio sociale (si dice
ora). Erano tutti figli di ingegneri, imprenditori, insegnanti. Per
carità, è stata una bravata e la lezione è servita, nessuno di
loro ha fatto la classica “brutta fine”.
Ma
i miei figli, i miei!
Come
potrei stigmatizzare il loro comportamento se seguissero i compagni
in qualche stupida bravata, se conosco quella debolezza, perchè l'ho
provata?
Ed
è sufficiente sperare che una cerchia di amici selezionata possa
aiutare a prevenire? E chi sono io per selezionare? In virtù di
cosa?
A
volte spero che si bastino fra di loro, che tre sia già un buon
numero, che il loro volersi bene li tuteli dal bisogno di essere
altro, di essere altrove.
A
volte li vorrei portare io, altrove, per salvarli dagli inciampi
della strada.
A
volte prego di avere la forza di stare qui, alla finestra, a
salutarli e lasciarli andare.
questo post partecipa al blogstorming di Genitori Crescono. Per l'occasione nel post ho anche usato il passato remoto (almeno credo).
lunedì 11 marzo 2013
The Blair Parents Project
Sssshhhh!!!
“C'è
un rumore... si stanno avvicinando” Quasi piangeva dalla
disperazione
“Oddio...
l'ho risentito” tremava ora.
“No,
non preoccuparti, non può essere” cercava invano di rassicurarla
lui... ma la voce era incrinata, prossima alle lacrime
“Ma
si, ma si” Ho sentito il cancelletto delle scale che cigolava, sono
loro ti dico, sono ancora qui... vai a vedere tu, io non ce la
faccio, aiuto, non ne posso più”
“Ma
no, ma scusa, sempre io... porc...”
Sembra
il dialogo di un B Movie. Uno di quei bruttissimi horror che mandano
in seconda serata d'estate, dopo l'ennesima replica di Bud Spencer e
Terence Hill o di un film dei Vanzina.
Invece
non si discosta molto da una normalissima scena serale a casa nostra.
Si mettono i bimbi a letto, si finisce di riassettare, si cerca
conforto sul divano... qualcuno si sveglia... Mannagg....
Sempre
meno, però. La notizia è proprio questa: le cose stanno andando
bene!
Meglio, per lo meno.
I
bimbi hanno orari abbastanza regolari ma non muoiono se li si cambia
un po': riescono a reggere qualche ora la sera, se ci sono amici a
cena. Se siamo fuori, non è più necessario pisciarli e cambiarli
prima di risalire in macchina. Non serve più trasformare il tavolo
della pizzeria nella nursery di Ostetricia.
Non
è indispensabile farli dormire al pomeriggio. Certo, se non lo fanno
non te li puoi portare al rave party la sera; a qualcosa devi pur
rinunciare.
Però,
se tutto è a posto, alle 20,45 dormono. I notiziari più belli sono
già finiti ma rimane ancora una mezz'ora per valutare i millibar
delle labbra di Lilli Gruber.
Mangiano
quello che trovano. In pizzeria, ad esempio, la pizza. Che è più
facile trovare la pizza in pizzeria che perdere la sera a cercare una
papperia per le pappe.
Inoltre
sono belli cicciotti, se una sera mangiano meno, non succede nulla,
hanno una certa riserva.
Non
servono più i seggioloni, le seggiole per mangiare, il passeggino
(abbiamo avuto momenti con tre passeggini (il gemellare nel
bagagliaio e l'ultraleggero sotto il sedile), la borsa con il cambio,
il sacchetto per i pannolini sporchi, il bibe per bere... Praticamente un trasloco ogni volta. Poi dice non vi muovete mai.
Se
hanno una ruspetta giocattolo ed un libricino potrebbero litigarseli
per ore ma, piano piano, stanno imparando che si può giocare
assieme, fare cambio, raccontarsi le storie.
Ieri
Maria litigava con l'amichetta G.: entrambe volevano interpretare
Aurora. Dopo dieci minuti di pianto l'illuminazione: “Ma ascolta G,
che male c'è se facciamo tutte e due Aurora?”
Bella
mia, sei tutta tuo padre, un genio della mediazione relazionale...
quantotevojobene.
Ma
se noi ci siamo riusciti, perchè non mettere tutto il mondo a parte
della nostra tecnica, del nostro metodo infallibile, della nostra
teoria, approfondita nel dettaglio teorico e sapientemente applicata
nella pratica?
Perchè
tenercelo per noi?
Facile
mi direte: basta sapersi organizzare.
Ma
no, ma dai... certo, aiuta, io lo consiglio, ma ci siete arrivati
tutti, che segreto è?
Siete
pronti?
Ve lo dico?
I
bimbi crescono.
Banale? Mah, non so: Ogni giorno passa un giorno ed ogni giorno aggiunge
stanchezze.
Ma se vi fermate un attimo e aprite la vostra mappa, vi
accorgerete che non siete al punto di partenza e non state girando in
tondo. Forse la meta è ancora lontana ma i passi fatti in avanti,
quelli, non ve li toglie nessuno.
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giovedì 7 febbraio 2013
Dal primo libro del profeta Gaeel
In quel tempo dio parlò a Gaeel e disse: "Gaeel, ascolta!"
"Ascoltarti ti ascolto, ma come mai hai la "d" minuscola, dio?"
"Perchè per un profeta da quattro soldi come te, che non prega mai e va in chiesa quando si ricorda, non vorrai mica che si muova quello con la "D" grande, no?"
"Hai ragione pure tu, ma comunque perchè mi cercavi?" continuo Gaeel, un pelino ridimensionato nella sua autostima...
"Ti dono un comandamento nuovo" disse dio "devi portare al mondo il mio decalogo del Rispetto".
"Di per sé lo sarebbe anche stato... ma questa settimana tutti parlano d'amore pensando ad un cioccolatino... proviamo con Rispetto. Però fa il bravo, comincia con insegnarlo ai tuoi bambini"
"Ci provo, dio, ci provo".
questo post partecipa al blogstorming di genitori crescono
"Ascoltarti ti ascolto, ma come mai hai la "d" minuscola, dio?"
"Perchè per un profeta da quattro soldi come te, che non prega mai e va in chiesa quando si ricorda, non vorrai mica che si muova quello con la "D" grande, no?"
"Hai ragione pure tu, ma comunque perchè mi cercavi?" continuo Gaeel, un pelino ridimensionato nella sua autostima...
"Ti dono un comandamento nuovo" disse dio "devi portare al mondo il mio decalogo del Rispetto".
- Rispetta te stesso/a. Sei la più importante ricchezza che hai, rispetta il tuo corpo, il tuo pensiero, fa fruttare i tuoi talenti. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità (questa non è mia, ma è una figata)
- Rispetta le donne. Non si può più accettare che vengano sottomesse, squalificate e troppo spesso (perchè anche una sola volta è troppo) maltrattate e uccise solo perchè fisicamente più deboli. Che poi è l'unica cosa che fa loro difetto rispetto agli uomini.
- Rispetta gli uomini. Non sono tutti mostri e possono imparare. E sul loro cambiamento che dobbiamo scommettere.
- Rispetta le idee. Anche quelle diverse, soprattutto se diverse: non sono automaticamente sbagliate, portano ricchezza ed in ogni caso, se pronunciate anch'esse con rispetto, male non faranno di sicuro
- Rispetta la cultura. Troppo spesso è relegata ad attività per gente snob ed altezzosa. Nessuno si vergogni di sapere.
- Rispetta l'ambiente. Ciò che non ha proprietari non è di nessuno, rispetta un campo fiorito come faresti con casa tua. A meno che tu non abbia l'usanza di pisciare sul tappeto del salotto.
- Rispetta le cose. Rispettarle significa rispettare chi le ha fatto, i loro sforzi, la loro fatica. Se sono state fatte nel rispetto non saranno cose che possono fare male.
- Rispetta il tuo lavoro. Ogni impiego ha le sue fatiche. Se ne hai uno, pensa a chi non ce l'ha.
- Rispetta le tradizioni. Non significa che devi
rispettarle, ma sono parte di noi, non irriderle
- Rispetta i bambini. Quelli voluti, quelli non
voluti. La gioia per quelli nati ed il dolore per quelli non nati.
Nonostante tutto sono ancora l'unico modo per far andare avanti il
mondo. Questo decalogo è per loro.
"Di per sé lo sarebbe anche stato... ma questa settimana tutti parlano d'amore pensando ad un cioccolatino... proviamo con Rispetto. Però fa il bravo, comincia con insegnarlo ai tuoi bambini"
"Ci provo, dio, ci provo".
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mercoledì 5 dicembre 2012
Caro Babbo Natale
Sempre
così deve iniziare la lettera a Babbo Natale.
Io
personalmente non l'ho mai scritta. Dirò la verità: non credo di
aver mai creduto veramente a Babbo Natale. D'altro canto, quando ero
piccolo (arridaje che parte con la lagna de “ai miei tempi”) non
esiteva Babbo Natale. Fisicamente, dico, lo si vedeva in tv, non
capitava mai di incrociarlo per strada, alla Standa o al vivaio.
Forse non c'era nemmeno il vivaio concepito come oggi, con il
mercatino di Natale e tutto il resto.
Nemmeno
i mercatini di Natale c'erano. Forse in Alto Adige. Ma noi non ci
s'andava mai.
Anche
le luci, ricordo, hanno iniziato a metterle in paese che già ero
grandicello. Una cosa tristissima ad ogni modo: il negozio pagava il comune per
la sua decorazione che veniva appesa sopra la strada davanti alla
vetrina. Solo che c'erano tipo tre negozi, l'uno a 150 metri
dall'altro. Immaginatevi voi che Ville Lumiere.
Adesso
invece, ammesso che un bimbo ci creda davvero, Babbo Natale probabilmente può passare per l'unica entità al mondo con un
comprovato dono dell'ubiquità. È ovunque.
E
nell'epoca del risparmio energetico ci sono delle luminarie che
potrebbero fare notare da Marte anche il paese più sperduto e
sfigato della val di qua*.
Anche
i mercatini, con tanto di capanna in stile tirolese, si possono
trovare, credo, perfino di fianco al chiosco di piadine di Cesenatico.
A
casa nostra il Natale si fa sentire, eccome.
Per
la prima volta in vita mia abbiamo fatto il presepe in novembre. Due
sabati fa. Pioveva e vaffanculo.
In
compenso ha continuato a piovere per tutta la settimana successiva; grazie tante, gli altri anni si e no che si riuscisse ad allestire
qualcosa per la vigilia.
I
bimbi erano entusiasti e l'hanno personalizzato a modo loro: sembra
che qualcuno abbia fatto un attentato con il gas nervino a Betlemme.
L'albero,
invece, è inspiegabilmente salvo.
Poi
c'è il Santa Claus che ha preso il posto del lupo nelle minacce dei
nonni: “Guarda che se non mangi Babbo Natale non ti porta la
chitarra”. “ll Bouzouki, allora!” ha risposto Jack dal suo
imperturbabile sorriso cicciottello.
Quest'anno
abbiamo anche il Carro di Babbo Natale dei genitori dell'Asilo che
gira per il paese nottetempo (verso le 7 di sera) a cantare la Stella
e raccoglie offerte pro.
“El Caro dea Stea” come si dice qui.
L'abbiamo
sempre scampata gli anni scorsi. Avevamo la scusa dei bimbi troppo
piccoli, della distanza, del gomito che a contatto col piede.
Quest'anno però bisogna.
A turno i papà fanno i Babbo Natale
(potranno credere a Babbo Natale i bimbi se a turno lo vedono fare da tutti i
papà? Mah?).
El Caro è un misto di sacro e profano con i Babbi
rossovestiti e le maxi statue di Gesù, Maria ed un inedito Giuseppe
fresco fresco di una seduta di peeling, imberbe e figaccione.
Ieri
sera abbiamo fatto la prima uscita. Verso la fine del giro, i bimbi
sul carro, Silver si è scapicollata contro il marciapiede.
Trauma
contusivo del piede destro con microfrattura particellare dello
scafoide tarsale. 12 giorni di prognosi e bendaggio rigido all'ossido
di zinco.
Ci
è costato... Caro il mio Babbo Natale
*
espressione relativista per indicare la nostra valle in
contrapposizione a quella che sta “di là”
Questo
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