Stamattina ho appreso della morte di Fabrizio Frizzi.
Devo dire che la notizia mi ha scosso molto più di quello che pensavo e credo che sia per due motivi:
Il primo è che i miei figli da circa un mese guardano l'Eredità. Un mese è poco, no? Eppure già lo chiamavano Fabrizio; "Ma quanti anni ha Fabrizio?" "Quanto è alto Fabrizio?" "Ha figli Fabrizio?". Come fosse uno zio.
Certo, aiuta il fatto che l'Eredità è proprio il giochino a misura di famiglia, piacevole da guardare tra la preparazione della cartella e la cena in tavola.
Stamattina non ho avuto cuore di dir loro che Fabrizio Frizzi è morto. Eravamo pronti, vestiti e calzati per andare al piedibus. Non ero pronto.
Pensare che mi vanto sempre di come riesca ad affrontare con loro tutti gli argomenti difficili: l'olocausto, ad esempio. O la morte di qualche amico, è capitato.
Però penso ci sia anche un altro motivo: Frizzi era uno di famiglia, anche se non lo conoscevo. Di lui ricordo i sabati sera a guardare Europa Europa con i miei e poi Domani Sposi, che facevano ad ora di cena (a casa dei miei c'era sempre la tv accesa, altro che Orwell).
A volte mi urtava un po' questa aria da lillone imbranato, pure adesso che aveva sessant'anni. Però ci si abitua volentieri al garbo e alla misura. Non è un caso che piacesse ai bambini.
Poi adesso sono anni che non seguo più, che in tv vedo solo film, però boh... mi sento come le vecchiette quando è morto Mike Bongiorno.
È brutto invecchiare e diventare più fragili. Così fragili che pure la morte di una persona sconosciuta ti provoca quel senso di mancanza che non diresti mai.
È brutto invecchiare. Tant'è, pare che l'alternativa sia peggiore. Non so chi l'avesse detto ma aveva ragione.
Buon viaggio Fabrizio.