Stamattina ho appreso della morte di Fabrizio Frizzi.
Devo dire che la notizia mi ha scosso molto più di quello che pensavo e credo che sia per due motivi:
Il primo è che i miei figli da circa un mese guardano l'Eredità. Un mese è poco, no? Eppure già lo chiamavano Fabrizio; "Ma quanti anni ha Fabrizio?" "Quanto è alto Fabrizio?" "Ha figli Fabrizio?". Come fosse uno zio.
Certo, aiuta il fatto che l'Eredità è proprio il giochino a misura di famiglia, piacevole da guardare tra la preparazione della cartella e la cena in tavola.
Stamattina non ho avuto cuore di dir loro che Fabrizio Frizzi è morto. Eravamo pronti, vestiti e calzati per andare al piedibus. Non ero pronto.
Pensare che mi vanto sempre di come riesca ad affrontare con loro tutti gli argomenti difficili: l'olocausto, ad esempio. O la morte di qualche amico, è capitato.
Però penso ci sia anche un altro motivo: Frizzi era uno di famiglia, anche se non lo conoscevo. Di lui ricordo i sabati sera a guardare Europa Europa con i miei e poi Domani Sposi, che facevano ad ora di cena (a casa dei miei c'era sempre la tv accesa, altro che Orwell).
A volte mi urtava un po' questa aria da lillone imbranato, pure adesso che aveva sessant'anni. Però ci si abitua volentieri al garbo e alla misura. Non è un caso che piacesse ai bambini.
Poi adesso sono anni che non seguo più, che in tv vedo solo film, però boh... mi sento come le vecchiette quando è morto Mike Bongiorno.
È brutto invecchiare e diventare più fragili. Così fragili che pure la morte di una persona sconosciuta ti provoca quel senso di mancanza che non diresti mai.
È brutto invecchiare. Tant'è, pare che l'alternativa sia peggiore. Non so chi l'avesse detto ma aveva ragione.
Buon viaggio Fabrizio.
lunedì 26 marzo 2018
venerdì 2 febbraio 2018
Il colloquio
Manco da una vita.
Scrivo poco in generale, a dire il vero. Mi sono fissato che una volta a settimana, in pausa pranzo, se tutti gli astri si allineano, vado a nuotare. Era la volta che scrivevo. Ma fisicamente mi dà qualche soddisfazione in più e allora pazienza se scrivo poco.
Ma non volevo scrivere che scrivo poco.
Siamo entrati nel tunnel della scuola.
Capirai, Maria è in terza, ormai dovremmo essere lanciati.
Invece qua ogni mese che passa pare più dura. Sembra quando faccio qualche corsa lunga: all'inizio faccio sempre fatica. Poi so che entro in temperatura, ci metto tanto, a volte più di venti km, ma poi ho quei due tre km di serenità. Poi inizio ad essere stanco ma tengo duro, arriva la crisi e passa. A volte.
A volte non passa e peggiora e allora ti fai prendere dallo sconforto. A volte passa lì, altre no.
Ogni volta il dilemma: continuo sperando che passi? E se poi non passa? Nel frattempo vado avanti.
La scuola dei figli è simile. All'inizio abbiamo fatto fatica ad ingranare. Parlo dell'inizio della prima di Pee e Jack, che Maria è così brava che quasi non ce ne siamo accorti. Poi verso la fine della prima meglio. Quest'anno boh, siamo continuamente nel vortice e non capiamo nulla. Alle volte pare tutto bene. Altre tutto male.
E andiamo in confusione e sbagliamo a mettere i quaderni nelle cartelle e vanno senza le posate per il pranzo e con la merenda umida perché la bottiglietta perde.
Poi, guarda un po', non sono tutti uguali. Hanno tempi diversi, capacità diverse, passioni diversi e a volte mi viene il dubbio che non siamo abbastanza bravi a tenerne conto.
Non riesco a dare un nome a questa sensazione, ma penso che somigli a quella di mamma, che quando andavo male a scuola entrava in camera e si sedeva sul letto: "Ma di preciso, cosa ti ha detto la prof?"
Non le ho mai risposto.
Adesso capisco che sbagliavo.
Scrivo poco in generale, a dire il vero. Mi sono fissato che una volta a settimana, in pausa pranzo, se tutti gli astri si allineano, vado a nuotare. Era la volta che scrivevo. Ma fisicamente mi dà qualche soddisfazione in più e allora pazienza se scrivo poco.
Ma non volevo scrivere che scrivo poco.
Siamo entrati nel tunnel della scuola.
Capirai, Maria è in terza, ormai dovremmo essere lanciati.
Invece qua ogni mese che passa pare più dura. Sembra quando faccio qualche corsa lunga: all'inizio faccio sempre fatica. Poi so che entro in temperatura, ci metto tanto, a volte più di venti km, ma poi ho quei due tre km di serenità. Poi inizio ad essere stanco ma tengo duro, arriva la crisi e passa. A volte.
A volte non passa e peggiora e allora ti fai prendere dallo sconforto. A volte passa lì, altre no.
Ogni volta il dilemma: continuo sperando che passi? E se poi non passa? Nel frattempo vado avanti.
La scuola dei figli è simile. All'inizio abbiamo fatto fatica ad ingranare. Parlo dell'inizio della prima di Pee e Jack, che Maria è così brava che quasi non ce ne siamo accorti. Poi verso la fine della prima meglio. Quest'anno boh, siamo continuamente nel vortice e non capiamo nulla. Alle volte pare tutto bene. Altre tutto male.
E andiamo in confusione e sbagliamo a mettere i quaderni nelle cartelle e vanno senza le posate per il pranzo e con la merenda umida perché la bottiglietta perde.
Poi, guarda un po', non sono tutti uguali. Hanno tempi diversi, capacità diverse, passioni diversi e a volte mi viene il dubbio che non siamo abbastanza bravi a tenerne conto.
Non riesco a dare un nome a questa sensazione, ma penso che somigli a quella di mamma, che quando andavo male a scuola entrava in camera e si sedeva sul letto: "Ma di preciso, cosa ti ha detto la prof?"
Non le ho mai risposto.
Adesso capisco che sbagliavo.
Iscriviti a:
Post (Atom)