Caro Gesù Bambino,
in realtà non l'ho mai capita questa cosa che siccome Babbo Natale è pagano bisogna chiedere i regali a Gesù Bambino, quasi fosse meno pagano farsi portare i Lego da un infante.
Silver ed io, inoltre, per giustificare ai figli il fatto che non siamo capaci di aspettare il Natale per consegnare e ricevere i regali (siamo peggio dei bambini) abbiamo raccontato che per i bimbi c'è Babbo Natale mentre per i grandi è un po' diverso: il Babbo Natale del papà è la mamma e viceversa.
"Bello, ha sentenziato Maria, anzi, meglio! Così uno è sicuro di ricevere proprio quello che vuole perché lo chiede ad uno che ti ascolta".
La tentazione di dirle che Babbo Natale non esiste è stata forte, ma per il momento funziona ancora dire che se fanno i bravi Babbo li vede attraverso i folletti invisibili suoi emissari (stiamo allevando una nidiata di piccoli Donnie Darko).
Sicché oramai è tutto pronto: mancano gli ultimi regali, l'ultimo panettone (che non mangerò) con i colleghi e qualcosa da mettere sopra alla camicia da concerto che forse comprerò stasera.
Il resto è tutto fatto: le scadenze rispettate, lo stress accumulato, le ultime prove del coro andate male (le ultime prove devono andare male).
Io a Babbo Natale non ho chiesto nulla, solo un giubbino per correre con il freddo che Silver mi ha consegnato una settimana fa, vedendo la prima brina ghiacciata sul prato. Come l'ho aperto è tornato il caldo e, fino a stamattina, correre con quel tessuto addosso era anche troppo.
Per tutto il resto non c'è molto da chiedere se non salute e serenità.
Si, serenità, sarebbe già qualcosa. E non credo che sia la sottomarca della felicità, semplicemente ha maggiori garanzie di durata.
Questo ultimo anno è stato così terribilmente denso di eventi brutti che vorrei evitare di fare bilanci positivi a tutti i costi rischiando di non essere capito da chi ha la morte nel cuore. Così, per non deprimere nessuno, evito di farli anche negativi evitando di rovinare la festa a chi è felice.
I regali che vorrei dovrei chiederli a Gesù Bambino perché sono fuori
dalla giurisdizione di Babbo Natale. Ma a lui la letterina non la posso
scrivere, è solo un bambino, non la saprebbe leggere.
Così mi accontento di citare un vecchio film.
"Stanno tutti bene" diceva un vecchio Robert De Niro parlando alla moglie defunta dopo aver fatto visita ai figli sparsi per il mondo.
Ecco, l'unico bilancio è meglio farlo sul "qui ed ora": stanno tutti bene.
Buon Natale e arrivederci al 2015
martedì 23 dicembre 2014
venerdì 19 dicembre 2014
Abusatissimo!
Non si abusa dei superlativi.
Chiaro? Chiarissimo?
Di bellissimo c'è davvero poco, di questo ne sono convinto. Non dico che non esista, solo che non si può definire tutto bellissimo sennò alla fine si finisce per squalificare ciò che bellissimo lo è per davvero.
Io ad esempio tollero male le recite dell'asilo.
È un problema mio, un irrisolto, forse. Da quella volta, nel 1979, credo, in cui dovetti ballare il tango (dicesi tango) prima con Antonella e poi con mia mamma. Era una recita dell'asilo, anche se non posso giurare che fosse per Natale.
C'era però la maestra Nicoletta che suonava il piano. A me sembrava grande la maestra Nicoletta, ma a distanza di 35 anni è ancora uguale. Probabilmente aveva 15 anni, quando suonava il piano per le suore e per i bimbi, all'asilo.
Ma non parliamo di lei, e neppure della recita.
Parliamo dei superlativi.
Negli ultimi tempi mi è capitato di assistere ad incontri dove tutto andava benissimo, lodi sperticate a tutti, che bellissimi e che bravissimi. A me il dubbio che ci fosse un po' troppa enfasi era anche venuto ma me lo sono tenuto per me. Mi sono detto: "Taci Gae, non fare il solito cinico imbruttito che va a stimolare negli altri pensieri che non hanno fatto".
E tràcchete! Arriva la fregatura.
Con le dovute proporzioni sarà la stessa cosa alla recita dell'Asilo (vedi che c'entrava?). Alla recita dell'asilo i superlativi si sprecano.
È tutto bellissimo. Le maestre sono bravissime, fantastiche. I genitori che danno una mano sono meravigliosi. Il contributo del comune è importantissimo. Il parroco che fa il discorso è apprezzatissimo.
E guardate la scenografia; non è spettacolarissima?
No! Non lo è.
L'acustica fa schifo, i bambini non si sentono, sono spaesati dal casino e dagli spazi troppo grandi, il rumore sugli spalti è insopportabile e c'è decisamente più gente che non gliene frega niente di quanta non sia realmente commossa.
Con questi presupposti "bellissimo" non si può usare. Mi spiace.
I bimbi sono bellissimi. Sono commoventi, ci rendono fieri perché la metà di noi non avrebbe il coraggio di stare da quella parte.
Maria quest'anno farà Maria, nel presepe vivente. È la prima in famiglia, da generazioni, a fare una parte importante alla recita dell'asilo. E pure avrebbe mantenuto il segreto e ci avrebbe fatto una sorpresa. Ha smaronato Pee: "Maria si veste da Madonna".
Che forte la nostra Maria. E non ha un padre sufficientemente bravo neppure a commuoversi e basta, deve stare lì a cercare il pelo nell'uovo della polemica.
Ma è proprio questo che voglio dire: Maria, come gli altri bimbi, è bellissima. Se si usa lo stesso aggettivo per il resto potrei credere che mi figlia è brutta.
La recita non è bellissima, ok? Non lo può essere, non lo deve nemmeno essere. Basta che ci mostri per mezz'ora cosa sanno fare i figli senza di noi. Basterebbe farsene una ragione e saremo tutti contenti.
Chiaro? Chiarissimo?
Di bellissimo c'è davvero poco, di questo ne sono convinto. Non dico che non esista, solo che non si può definire tutto bellissimo sennò alla fine si finisce per squalificare ciò che bellissimo lo è per davvero.
Io ad esempio tollero male le recite dell'asilo.
È un problema mio, un irrisolto, forse. Da quella volta, nel 1979, credo, in cui dovetti ballare il tango (dicesi tango) prima con Antonella e poi con mia mamma. Era una recita dell'asilo, anche se non posso giurare che fosse per Natale.
C'era però la maestra Nicoletta che suonava il piano. A me sembrava grande la maestra Nicoletta, ma a distanza di 35 anni è ancora uguale. Probabilmente aveva 15 anni, quando suonava il piano per le suore e per i bimbi, all'asilo.
Ma non parliamo di lei, e neppure della recita.
Parliamo dei superlativi.
Negli ultimi tempi mi è capitato di assistere ad incontri dove tutto andava benissimo, lodi sperticate a tutti, che bellissimi e che bravissimi. A me il dubbio che ci fosse un po' troppa enfasi era anche venuto ma me lo sono tenuto per me. Mi sono detto: "Taci Gae, non fare il solito cinico imbruttito che va a stimolare negli altri pensieri che non hanno fatto".
E tràcchete! Arriva la fregatura.
Con le dovute proporzioni sarà la stessa cosa alla recita dell'Asilo (vedi che c'entrava?). Alla recita dell'asilo i superlativi si sprecano.
È tutto bellissimo. Le maestre sono bravissime, fantastiche. I genitori che danno una mano sono meravigliosi. Il contributo del comune è importantissimo. Il parroco che fa il discorso è apprezzatissimo.
E guardate la scenografia; non è spettacolarissima?
No! Non lo è.
L'acustica fa schifo, i bambini non si sentono, sono spaesati dal casino e dagli spazi troppo grandi, il rumore sugli spalti è insopportabile e c'è decisamente più gente che non gliene frega niente di quanta non sia realmente commossa.
Con questi presupposti "bellissimo" non si può usare. Mi spiace.
I bimbi sono bellissimi. Sono commoventi, ci rendono fieri perché la metà di noi non avrebbe il coraggio di stare da quella parte.
Maria quest'anno farà Maria, nel presepe vivente. È la prima in famiglia, da generazioni, a fare una parte importante alla recita dell'asilo. E pure avrebbe mantenuto il segreto e ci avrebbe fatto una sorpresa. Ha smaronato Pee: "Maria si veste da Madonna".
Che forte la nostra Maria. E non ha un padre sufficientemente bravo neppure a commuoversi e basta, deve stare lì a cercare il pelo nell'uovo della polemica.
Ma è proprio questo che voglio dire: Maria, come gli altri bimbi, è bellissima. Se si usa lo stesso aggettivo per il resto potrei credere che mi figlia è brutta.
La recita non è bellissima, ok? Non lo può essere, non lo deve nemmeno essere. Basta che ci mostri per mezz'ora cosa sanno fare i figli senza di noi. Basterebbe farsene una ragione e saremo tutti contenti.
martedì 16 dicembre 2014
I Natali differenti
Si lo so, a Genitoricrescono sono dei gran rompicoglioni.
Ah, già, è un anno che una volta al mese s-gureggio le mie verità sociali su quel sito.
Quindi anche io sono un grandissimo rompicoglioni. Scusate la scurrilità ma fa parte della terapeuticità della scrittura. Sapete, no, scrivere per esorcizzare bla bla bla bla.
Però a gc non mi lasciano scrivere parolacce (che in effetti non starebbe bene) e devo sfogarmi qui.
Ma insomma, perché insulto loro e me?
Perché ci si è inventati questa cosa del Natale speciale.
Si, è un po' snob, ve ne do atto. Sarebbe molto più rassicurante la storia dell'albero di Natale, il presepe di S. Francesco, la ricetta del panettone senza canditi, la corsa dei Babbo Natali, eccetera eccetera.
Invece no! Si parla di immigrazione, di differenza. KIM (Kicks in the marons) a tutto spiano.
Così mi sono lasciato prendere ed ho scritto di un ragazzo che conosco. L'ho fatto perché mentre il giornale parlava di lui come di un omicida, mi trovavo a fare ore di coda alle poste.
Se pensate che la correlazione tra omicidio e fila alle poste sia quella classica, vi invito a leggere il post. Se invece non avete idea di quale sia la correlazione significa che non avete mai fatto la fila alle poste. E vi invito a leggere il post.
Come sempre fate come se foste a casa vostra. La birra è in frigo.
Ah, già, è un anno che una volta al mese s-gureggio le mie verità sociali su quel sito.
Quindi anche io sono un grandissimo rompicoglioni. Scusate la scurrilità ma fa parte della terapeuticità della scrittura. Sapete, no, scrivere per esorcizzare bla bla bla bla.
Però a gc non mi lasciano scrivere parolacce (che in effetti non starebbe bene) e devo sfogarmi qui.
Ma insomma, perché insulto loro e me?
Perché ci si è inventati questa cosa del Natale speciale.
Si, è un po' snob, ve ne do atto. Sarebbe molto più rassicurante la storia dell'albero di Natale, il presepe di S. Francesco, la ricetta del panettone senza canditi, la corsa dei Babbo Natali, eccetera eccetera.
Invece no! Si parla di immigrazione, di differenza. KIM (Kicks in the marons) a tutto spiano.
Così mi sono lasciato prendere ed ho scritto di un ragazzo che conosco. L'ho fatto perché mentre il giornale parlava di lui come di un omicida, mi trovavo a fare ore di coda alle poste.
Se pensate che la correlazione tra omicidio e fila alle poste sia quella classica, vi invito a leggere il post. Se invece non avete idea di quale sia la correlazione significa che non avete mai fatto la fila alle poste. E vi invito a leggere il post.
Come sempre fate come se foste a casa vostra. La birra è in frigo.
giovedì 11 dicembre 2014
5 motivi per non dimagrire
Nella
vita è soprattutto questione di fortuna.
Si,
immediatamente mi torna alla memoria una bella lezione il primo anno
di università dove mi spiegarono il locus of control, cioè la
tendenza dell'essere umano ad attribuire agli eventi che lo
riguardano una causa interna o esterna a sé.
In
pratica dire che nella vita è questione di fortuna è spostare il
locus of control all'esterno. Ci si fa lo sconto, in sostanza, e
tutto quello che potremmo fare per autodeterminarci non lo facciamo
che tanto è lo stesso o comunque non dipende da noi.
Senonché
l'altro giorno sono andato a fare gli esami del sangue e per la prima
volta nella mia vita, giuro la prima, erano tutti a posto.
Mi
sentivo proprio come all'università dopo un esame andato bene.
E
mi dicevo: bene, e ora? Mio nonno è morto ad 86 anni ed ha sempre
bevuto e fumato. Invece ogni giorno amici, parenti e conoscenti si
ammalano pur conducendo una vita sanitariamente irreprensibile.
Vabbè,
mi sono detto, almeno riesco a stare sotto ai 5 minuti al chilometro.
Frega un cazzo a nessuno, ma almeno una motivazione per la dieta e
per correre così tanto la devo pur trovare.
Perché
fino ad ora mi vengono molti più motivi per non perdere peso (sempre
partendo dal presupposto che poi dipende dalla fortuna), in 5 effetti
colleaterali.
1.
Effetto Titanic (detto anche “Icebeeerrgg!”). Potreste
obiettare che basta perdere peso d'estate, ma se tieni duro il freddo
ti sorprende d'inverno. Io ora ho sempre freddo. Prima avevo le mani
da pranoterapeuta, ora sembo Schwartzeneger in Batman e Robin. L'ha ben capito Silver che prima si infilava sotto le coperte fendendo la gelida lama dei suoi piedi in mezzo ai miei per scaldarsi ed ora mi guarda come se fossi la cella del freezer.
2.
Effetto vela. Diciamo che molte
persone non avranno difficoltà a pensare ad un regalo di Natale
(ipotizzando per assurdo che molte persone vogliano farmi un regalo
di Natale). Il problema sono in particolare gli acquisti on-line che
fatico a regolarmi ancora. Mi hanno fatto riflettere la
prima volta su questo aspetto
le ragazze che distribuivano le magliette alla maratona di Padova
(“Non abbiamo le XXL”, senza che io avessi chiesto nulla) e poi a
Venezia (“Ma sei pazzo L? Tieni una M”).
3.
Effetto cuscino vecchio o piscina vuota. I miei
figli adoravano il mio pancione. Ci si buttavano sopra con una certa
lena perché gli piaceva atterrare sul morbido. Ora basta, cercano
l'angolo giusto come con i vecchi cuscini tutti rattrapiti. Che poi
prima la pancia evitava anche che il colpo cadesse più in basso. E
non parlo di condotta morale.
4.
Effetto Renato Zero, detto anche: “Cercami dove quando e come vuoi, cercami”. Quando
ero più grasso i pantaloni tiravano dappertutto ed era impossibile
tenere qualcosa in tasca senza saperlo. Ora
mi va tutto largo e ho la sensazione di avere le tasche vuote. Prima
bastava irrigidire il polpaccio e capivo se avevo le chiavi in tasca
anche con le mani occupate. Con un rapido movimento ed un
equilibrismo le recuperavo ed aprivo la porta. Ora devo frugare a
destra e a sinistra e mi tocca sempre appoggiare tutto per terra. Non
sento la vibrazione del cellulare manco se lo metto in modalità
martello pneumatico.
5.
Effetto “Indovina chi”. C'è
più di qualcuno che vedo che mi saluta come se non si ricordasse chi
sono. Pare l'indovina chi: ha la barba? Gli occhiali grossi? I
capelli scuri? Solo che ho cambiato anche gli occhiali. E qualcuno è
arrivato a chiedermi se mi sono tinto i capelli che paiono più neri.
C'è una correlazione con i reni, dice. Ma forse è solo l'angolatura
diversa della mascella che fa sembrare tutto più scuro. Mah!
Comunque anche mia moglie in intimità mi dice: senti che magro.
Voglia il cielo che parli sempre dell'avambraccio.
Si dice così, per esorcizzare, chiaramente. Perché io non ho intenzione di riprendermi le mie analisi malandate. Mi auguro invece di perdere ancora peso, quello si. Dovesse girare la sorte almeno potrei dire di aver fatto quello che potevo.
venerdì 5 dicembre 2014
Per Factor
Attenzione: questo post potrebbe risultarvi snob e sgureggione
Hanno eliminato Leiner da X Factor 8.
Stica! Io manco lo guardo X Factor.
No, non è vero, un pelino mi interessava perché io Leiner so chi è, l'ho pure visto una volta.
Pensata che stavano ad una festa di laurea di un paio di amiche e dovevamo pure suonare.
Eravamo abbastanza scalcinati di nostro, l'acustica era riprovevole e la compagnia apprezzava decisamente di più la soppressa che la musica. Non ricordo se anche quella volta qualcuno ci chiese un pezzo di Vasco.
Ti chiedono sempre un pezzo di Vasco.
Senonché era la classica situazione un po' indefinita in cui devi suonare davanti a sola gente che conosci, morosa compresa. VI è mai capitato di esibirvi in qualche modo davanti a soli amici?
Se si, sapete cosa intendo, quando dico che ti sembra di essere uno sfigato. Ho provato anche l'alternativa: gente che pagava per vedermi suonare ugualmente male. Erano molto più contenti alla fine. L'amico che suona gratis è un'amico che si ascolta per fargli un piacere. Sono sicuro che anche gli amici di Wolfie Amadeus lo pensavano.
Ma non volevo parlare di me che suonavo male (ed ora anche peggio).
Dicevo sto Leiner, quella sera. Era appena arrivato in Italia, adottato da due amici di una delle festeggiate (credo). Insomma c'era sto stroppoletto moretto che ha ballato tutta la sera.
"I'm a Soul man": piroetta! "Gimme some lovin'": capriola! "Mustang Sally": spaccata!
Ha tenuto su la serata, il bimbetto.
Non è che io l'abbia riconosciuto, ovviamente, anche perché non guardo X Factor (si, l'ho già detto). Non ricodo chi, forse Silver, mi ha fatto ricordare questa cosa.
Ora è uscito ed io non me ne ero mai vantato prima... cazzo! Perso il colpo.
Eppure ora avrà davanti una luminosa carriera solista, ha la stoffa, farà strada lo stesso. Come tutti quelli che hanno partecipato ad X Factor. No?
Si, dai, sparatemi! Mengoni lo so, la Ferreri lo so! E poi?
Io mi faccio delle domande, sapete? Mica per invidia ( o forse si, ma chi se ne frega). La settimana scorsa Silver guardava anche un nuovo talent sui pasticcieri e c'era un giudice cagacazzi (gli fanno un corso ai giudici di talent per essere tutti così stronzi?) che demoliva una tipa dicendogli che il suo dolce non è generoso, che servono, a volte, anche le quantità. Certo, poi nella sua pasticceria una pastina da due cm costa tre euro.
Due uova, 1/2 kg di farina, Coerenza: qb
E pensavo a questi pasticcieri che si fanno questa figura da cioccolatini in tv, e magari la loro pasticceria, a casa, due pastine le vende pure, per qualche anniversario di matrimonio, la laurea del giovane in fondo alla via, la sorpresa del marito amorevole per la moglie incinta. Ora magari non più, solo perché uno ha trovato che il pan di spagna si è inzuppato troppo di brandy e ti smerda in tv.
La verità è che l'unico x factor, il solo vero talento, ce l'hanno le case di produzione, che vendono un prodotto ad uso e consumo di un programma televisivo. E ci illudono con un sogno americano che non è mai esistito, nemmeno in America.
Buona fortuna Leiner, spero che tu diventi un grande, in qualsiasi cosa tu decida di esserlo.
"Voi fate sogni ambizionsi: successo, fama. Ma questo cose costano!
Ed è qui che si comincia a pagare. Col sudore" (Fame)
Hanno eliminato Leiner da X Factor 8.
Stica! Io manco lo guardo X Factor.
No, non è vero, un pelino mi interessava perché io Leiner so chi è, l'ho pure visto una volta.
Pensata che stavano ad una festa di laurea di un paio di amiche e dovevamo pure suonare.
Eravamo abbastanza scalcinati di nostro, l'acustica era riprovevole e la compagnia apprezzava decisamente di più la soppressa che la musica. Non ricordo se anche quella volta qualcuno ci chiese un pezzo di Vasco.
Ti chiedono sempre un pezzo di Vasco.
Senonché era la classica situazione un po' indefinita in cui devi suonare davanti a sola gente che conosci, morosa compresa. VI è mai capitato di esibirvi in qualche modo davanti a soli amici?
Se si, sapete cosa intendo, quando dico che ti sembra di essere uno sfigato. Ho provato anche l'alternativa: gente che pagava per vedermi suonare ugualmente male. Erano molto più contenti alla fine. L'amico che suona gratis è un'amico che si ascolta per fargli un piacere. Sono sicuro che anche gli amici di Wolfie Amadeus lo pensavano.
Ma non volevo parlare di me che suonavo male (ed ora anche peggio).
Dicevo sto Leiner, quella sera. Era appena arrivato in Italia, adottato da due amici di una delle festeggiate (credo). Insomma c'era sto stroppoletto moretto che ha ballato tutta la sera.
"I'm a Soul man": piroetta! "Gimme some lovin'": capriola! "Mustang Sally": spaccata!
Ha tenuto su la serata, il bimbetto.
Non è che io l'abbia riconosciuto, ovviamente, anche perché non guardo X Factor (si, l'ho già detto). Non ricodo chi, forse Silver, mi ha fatto ricordare questa cosa.
Ora è uscito ed io non me ne ero mai vantato prima... cazzo! Perso il colpo.
Eppure ora avrà davanti una luminosa carriera solista, ha la stoffa, farà strada lo stesso. Come tutti quelli che hanno partecipato ad X Factor. No?
Si, dai, sparatemi! Mengoni lo so, la Ferreri lo so! E poi?
Io mi faccio delle domande, sapete? Mica per invidia ( o forse si, ma chi se ne frega). La settimana scorsa Silver guardava anche un nuovo talent sui pasticcieri e c'era un giudice cagacazzi (gli fanno un corso ai giudici di talent per essere tutti così stronzi?) che demoliva una tipa dicendogli che il suo dolce non è generoso, che servono, a volte, anche le quantità. Certo, poi nella sua pasticceria una pastina da due cm costa tre euro.
Due uova, 1/2 kg di farina, Coerenza: qb
E pensavo a questi pasticcieri che si fanno questa figura da cioccolatini in tv, e magari la loro pasticceria, a casa, due pastine le vende pure, per qualche anniversario di matrimonio, la laurea del giovane in fondo alla via, la sorpresa del marito amorevole per la moglie incinta. Ora magari non più, solo perché uno ha trovato che il pan di spagna si è inzuppato troppo di brandy e ti smerda in tv.
La verità è che l'unico x factor, il solo vero talento, ce l'hanno le case di produzione, che vendono un prodotto ad uso e consumo di un programma televisivo. E ci illudono con un sogno americano che non è mai esistito, nemmeno in America.
Buona fortuna Leiner, spero che tu diventi un grande, in qualsiasi cosa tu decida di esserlo.
"Voi fate sogni ambizionsi: successo, fama. Ma questo cose costano!
Ed è qui che si comincia a pagare. Col sudore" (Fame)
venerdì 28 novembre 2014
Paternità for dummies: padri soli con i figli
Affermo
da sempre che il padre che se la tira perché da una mano in caso ha
rotto le balle. No, piano, non sto dicendo che deve smettere di
accudire i figli, lavarli, preparare la cena... sto dicendo che deve
smetterla di tirarsela.
Perché?
Perché non fa null'altro che il suo dovere, con buona pace
dell'indotto dell'osteria che ci perde gran parte degli avventori. Al
limite fate a cambi, mandate una sera si ed una no le mogli a farsi
lo spritz. Se volete renderla ancora più pepata, non stabilite in
anticipo le serate per uomini o per donne. Ma non degeneriamo.
Pare
però che questa mia idea non faccia breccia.
No,
non quella dello spritz a sere alterne.
Quella del padre che se la
tira per niente.
Io
ho i miei problemi già in famiglia, dove non c'è verso che mia
suocera si metta in testa che al sabato sono perfettamente in grado
di arrangiami se Silver non c'è.
“Silver
te li ha lavati?”
“Silver
ti ha preparato qualcosa per pranzo?”
“Silver
ti ha preparato qualcosa per vestirli?”
E
tutto questo mentre ci sono io che sto facendo tutte queste cose.
Capite? È una sorta di rimozione visiva: io vedo ma non voglio
vedere.
Così
ho pensato: "magari sbaglio io? Forse sono io do tutto per scontato".
E
allora diamo alcuni pratici consigli ai padri per sopravvivere a casa
senza moglie e vivere felici.
Volevo
fare un bel elenco ma preferisco sviluppare bene il tema, mettendolo
a puntate (l'ho pensato mentre scrivevo la riga sopra, poi uno dice
che non so pianificare).
Prima
puntata: il babysitting informale.
Cari
padri, dovete pulire casa, cucinare, chattare con l'amante e/o
controllare i risultati del Totip sullo smartphone e i pargoli non si
schiodano dal vostro polpaccio, continuano a frignare e non c'è
verso che vi tempestino di domande sulla vita (tipicamente sulla vita
di Peppa Pig o degli Avengers)?
Prima
baby-sitter: la TV. Si ok, adesso fatemi il predicozzo che la tv li
rende passivi bla bla bla bla.
Mica
la devono guardare tutto il giorno. Un'oretta, il tempo di finire di
trovare il giusto verso del lenzuolo con gli angoli da mettere sul
materasso.
Magari
nascondete la collezione di DVD di Edvige Fenech, che già verso i
tre anni iniziano a capire come far partire un lettore.
Seconda
babysitter: la Vasca da bagno. La riempite bene bene di acqua caldina
(non bollente; se dopo qualche minuto li trovate rossicci meglio che
li tirate fuori o fate correre un po' di acqua fredda. Lessi vengono stopacciosi, ascoltate me che sono comunista.
La
tecnica della vasca da bagno è eccezionale se avete almeno due figli. Se ne avete solo
uno provate ma così ad occhio e croce dovrebbe garantirvi minore
autonomia.
Non
mettete troppa acqua ed abbondate di schiuma. Così sono anche meno a
rischio di annegare.
Logicamente
non dovete proporla se hanno meno di due anni.
Accertatevi
dell'età di vostro figlio. Se nei paraggi non c'è nessuno che può fugari i vostri dubbi, sicuramente
vostra moglie tiene le tessere sanitarie in un cassetto o in una
mensola. Di solito è assieme alle tessere elettorali.
Se
non avete neppure idea di dove siano le tessere elettorali cercate in
casa un cassetto di cui ignoravate l'esistenza. È probabile che
siano lì.
mercoledì 26 novembre 2014
Il giorno della violenza
Bene, oggi che si fa?
Si rimette la foto profilo dell'altro giorno, quella in costume da bagno, o meglio cercare qualche cosa di un po' più recente?
Perché, in effetti, il freddo che finalmente è arrivato non è che ispiri molto i ricordi del mare.
Visto che dobbiamo fare la fatica, facciamoci un bel selfie.
Poi ieri era la giornata della violenza sulla donna. Contro la violenza sulla donna, ad essere precisi. Mica tutti lo sono.
Ricordo un prete, anni fa, che nella notte di Pasqua lesse tutte le invocazioni e ad un certo punto, con la tipica cantilena da messa solenne è partito con: "Per la droga, il sesso sfrenato e la corruzione, noi ti preghiaaaamoooo!!!"
Chissà se intendeva pregare a favore o contro. O forse l'ha volutamente lasciata aperta, in modo che tutti potessero pregare per quello a cui tenevano di più.
Va ben.
Ieri era la giornata contro la violenza sulle donne: tutti a condividere link a tema (pure io, eh? Che non mi si tacci di snobbismo), a mettere scarpette rosse sul profilo Instagram, a citare Alda Merini, eccetera.
E oggi?
Ne parleremo ancora oggi?
Ieri, avendo io un gene di bastiancontrario, recessivo per carità (dovreste conoscere alcuni dei miei, mammasanta!) ma ogni tanto anche il pisello liscio di Mendel si ruga, mi veniva da scazzarmi un po' con le colleghe.
"Scusatemi, esordii, vituperate tanto, e giustamente, il termine femminicidio, che pare un omicidio di serie b, e poi tutti a fare un gran parlare della violenza specifica sulla donna".
"Perché se parliamo di violenza in genere alle donne non ci pensa nessuno" mi hanno risposto.
Ed hanno ragione, ahimè!
Ma la cosa che più mi ha fatto star male è un intervista che ho sentito al radio-giornale: "Le donne subiscono violenza perché provocano". Detto da donna.
OH! MY! GOD!
Ho riattaccato le balle con il biadesivo e mi sono tornate in mente alcune amiche, quelle che pensano che la donna debba necessariamente concedersi al marito (sennò la tradisce), quelle che ostinatamente pensano che ci sono ruoli ben definiti (che da lì a pensare che è legittimo prenderle il passo è lungo ma la strada e la direzione è pur la stessa), quelle che giudicano le altre se fanno diversamente: da quanto lavorano, da come si vestono, dalle idee che esprimono.
È una battaglia culturale che si gioca, purtroppo, ancora tanto, troppo, dentro lo stesso genere femminile.
È una guerra civile culturale.
Non sto dicendo che i maschi sono esclusi da questa lotta. Solo continua ad illudermi che le donne siano più avanti, abbiano più risorse. E poi il cambiamento parte sempre da dentro (non ricordo chi l'ha detto ma passatemela).
Invece, nei momenti di sconforto, mi pare che l'unica parità che ci concediamo sia quella di nuotare tutti nella stessa miseria.
Poi ci sono le belle notizie: questo post qui, scritto su genitoricrescono lo scorso anno, viene visualizzato da migliaia di persone.
Allora forse possiamo farcela. Sarà una corsa lunga, ma a noi le corse lunghe non spaventano. Non più.
ps. già ce siete su genitoricrescono, date un occhiata, se vi va, pure alla piccola recensione che ho fatto de "Lo zaino di Emma" di Martina Fuga. Vi direi di che si tratta, ma poi non la andate a leggere. Bastardo, vero?
Si rimette la foto profilo dell'altro giorno, quella in costume da bagno, o meglio cercare qualche cosa di un po' più recente?
Perché, in effetti, il freddo che finalmente è arrivato non è che ispiri molto i ricordi del mare.
Visto che dobbiamo fare la fatica, facciamoci un bel selfie.
Poi ieri era la giornata della violenza sulla donna. Contro la violenza sulla donna, ad essere precisi. Mica tutti lo sono.
Ricordo un prete, anni fa, che nella notte di Pasqua lesse tutte le invocazioni e ad un certo punto, con la tipica cantilena da messa solenne è partito con: "Per la droga, il sesso sfrenato e la corruzione, noi ti preghiaaaamoooo!!!"
Chissà se intendeva pregare a favore o contro. O forse l'ha volutamente lasciata aperta, in modo che tutti potessero pregare per quello a cui tenevano di più.
Va ben.
Ieri era la giornata contro la violenza sulle donne: tutti a condividere link a tema (pure io, eh? Che non mi si tacci di snobbismo), a mettere scarpette rosse sul profilo Instagram, a citare Alda Merini, eccetera.
E oggi?
Ne parleremo ancora oggi?
Ieri, avendo io un gene di bastiancontrario, recessivo per carità (dovreste conoscere alcuni dei miei, mammasanta!) ma ogni tanto anche il pisello liscio di Mendel si ruga, mi veniva da scazzarmi un po' con le colleghe.
"Scusatemi, esordii, vituperate tanto, e giustamente, il termine femminicidio, che pare un omicidio di serie b, e poi tutti a fare un gran parlare della violenza specifica sulla donna".
"Perché se parliamo di violenza in genere alle donne non ci pensa nessuno" mi hanno risposto.
Ed hanno ragione, ahimè!
Ma la cosa che più mi ha fatto star male è un intervista che ho sentito al radio-giornale: "Le donne subiscono violenza perché provocano". Detto da donna.
OH! MY! GOD!
Ho riattaccato le balle con il biadesivo e mi sono tornate in mente alcune amiche, quelle che pensano che la donna debba necessariamente concedersi al marito (sennò la tradisce), quelle che ostinatamente pensano che ci sono ruoli ben definiti (che da lì a pensare che è legittimo prenderle il passo è lungo ma la strada e la direzione è pur la stessa), quelle che giudicano le altre se fanno diversamente: da quanto lavorano, da come si vestono, dalle idee che esprimono.
È una battaglia culturale che si gioca, purtroppo, ancora tanto, troppo, dentro lo stesso genere femminile.
È una guerra civile culturale.
Non sto dicendo che i maschi sono esclusi da questa lotta. Solo continua ad illudermi che le donne siano più avanti, abbiano più risorse. E poi il cambiamento parte sempre da dentro (non ricordo chi l'ha detto ma passatemela).
Invece, nei momenti di sconforto, mi pare che l'unica parità che ci concediamo sia quella di nuotare tutti nella stessa miseria.
Poi ci sono le belle notizie: questo post qui, scritto su genitoricrescono lo scorso anno, viene visualizzato da migliaia di persone.
Allora forse possiamo farcela. Sarà una corsa lunga, ma a noi le corse lunghe non spaventano. Non più.
ps. già ce siete su genitoricrescono, date un occhiata, se vi va, pure alla piccola recensione che ho fatto de "Lo zaino di Emma" di Martina Fuga. Vi direi di che si tratta, ma poi non la andate a leggere. Bastardo, vero?
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giovedì 20 novembre 2014
Il giro di Do (di stomaco)
Ieri sentivo una gag su un programma radio che parlava del "giro di Do".
Chiunque sappia strimpellare quattro accordi, sicuramente sa cos'è il "giro di Do", semplicemente perché è la prima cosa che ti insegnano quando ti mettono in mano la chitarra.
Almeno una volta era la prima cosa che ti insegnavano.
Il fatto che una quantità smodata dei brani '60, '70 sia costruita sul giro di Do, fa pensare che molti musicisti pop e rock di quegli anni non fosse andata molto oltre le prime lezioni di chitarra. Altro che X-Factor.
Ma non divaghiamo!
La gag radiofonica, per l'appunto, asseriva che il giro di Do sia adattabile ad ogni canzone. Ben di più, rilancio io: è adattabile a qualsiasi situazione della vita.
Infatti, appena arrivato a casa, trovo Silver e Jack in piena crisi gastrica.
Nel week end era toccato a Pee e la settimana prima a Mary.
Proprio un giro, insomma. Il famoso giro di Do di stomaco.
Con i tempi che corrono, stressati al bisogno (in veneto "al bisogno" significa "quanto basta" o anche "tanto") un giorno di malattia non è neppure visto male, dalle nostre parti. Quasi come un giorno di ferie. Tanto che ci si prende proprio ferie, nella maggioranza dei casi, perché l'influenza dura giusto un giorno e mezzo, ma se vai dal medico ti lascia a casa fino a Natale e non è proprio il caso.
A casa nostra ci siamo sempre malati poco, a dire il vero ma vale comunque la pena avere alcuni accorgimenti.
Se avete figli, cercate di ammalarvi quando è passata a loro. La pace della casa, il silenzio che di solito non c'è, è particolarmente apprezzabile.
Silver su questo è un disastro e becca sempre la simultanea con uno o più figli. E non sono mica di quelli sempre a casa con la febbre, eh? Uno o due giorni massimo all'anno.
Forse non dovrei scriverlo che pare che me la voglio chiamare.
Io invece sono un grandissimo paraculo: da quando ho figli mi sono malato due volte, sempre in solitaria.
Un'occasione unica di riassaporare lapizza pasta in bianco sul divano, con dvd impegnato tamarro, in mutande con copertina sulle gambe.
Insomma a finire il giro manco solo io.
A questo punto potrei farmi un week end di merda (di solito a me prende di là) oppure tener duro (è proprio il caso di dirlo) fino a domenica e cedere lunedì, giorno di solito bello pieno, al lavoro.
E allora si che sarebbe un capolavoro, come Stand by me, Il cielo in una stanza e Grazie Roma.
Chiunque sappia strimpellare quattro accordi, sicuramente sa cos'è il "giro di Do", semplicemente perché è la prima cosa che ti insegnano quando ti mettono in mano la chitarra.
Almeno una volta era la prima cosa che ti insegnavano.
Il fatto che una quantità smodata dei brani '60, '70 sia costruita sul giro di Do, fa pensare che molti musicisti pop e rock di quegli anni non fosse andata molto oltre le prime lezioni di chitarra. Altro che X-Factor.
Ma non divaghiamo!
La gag radiofonica, per l'appunto, asseriva che il giro di Do sia adattabile ad ogni canzone. Ben di più, rilancio io: è adattabile a qualsiasi situazione della vita.
Infatti, appena arrivato a casa, trovo Silver e Jack in piena crisi gastrica.
Nel week end era toccato a Pee e la settimana prima a Mary.
Proprio un giro, insomma. Il famoso giro di Do di stomaco.
Con i tempi che corrono, stressati al bisogno (in veneto "al bisogno" significa "quanto basta" o anche "tanto") un giorno di malattia non è neppure visto male, dalle nostre parti. Quasi come un giorno di ferie. Tanto che ci si prende proprio ferie, nella maggioranza dei casi, perché l'influenza dura giusto un giorno e mezzo, ma se vai dal medico ti lascia a casa fino a Natale e non è proprio il caso.
A casa nostra ci siamo sempre malati poco, a dire il vero ma vale comunque la pena avere alcuni accorgimenti.
Se avete figli, cercate di ammalarvi quando è passata a loro. La pace della casa, il silenzio che di solito non c'è, è particolarmente apprezzabile.
Silver su questo è un disastro e becca sempre la simultanea con uno o più figli. E non sono mica di quelli sempre a casa con la febbre, eh? Uno o due giorni massimo all'anno.
Forse non dovrei scriverlo che pare che me la voglio chiamare.
Io invece sono un grandissimo paraculo: da quando ho figli mi sono malato due volte, sempre in solitaria.
Un'occasione unica di riassaporare la
Insomma a finire il giro manco solo io.
A questo punto potrei farmi un week end di merda (di solito a me prende di là) oppure tener duro (è proprio il caso di dirlo) fino a domenica e cedere lunedì, giorno di solito bello pieno, al lavoro.
E allora si che sarebbe un capolavoro, come Stand by me, Il cielo in una stanza e Grazie Roma.
mercoledì 19 novembre 2014
Krav Maga
L'ultimo post sulla pianificazione di una Ultramaratona ha scatenato l'ilarità dei fans.
Vabbè, non è che fossero proprio fans, più che altro sono gli amici d'infanzia che dubitano della sanità mentale mia e di mio fratello in particolare.
Che poi, io lo dico, mio fratello è il più grande maratoneta e futuro ultratrailer scarso che io abbia mai conosciuto.
Che a tener duro essendo forti, avendo record da battere, sono buoni tutti. Provate voi ad allenarvi ostinatamente poco e male, non calare di un etto, sapere che si resterà soli, a soffrire, andando incontro a fatiche impressionanti con il sorriso sulle labbra (o vestendosi da 'mbescilli) come lui.
Non si riesce ad andare più veloci? Andremo più lontano.
Senza metodo, al punto che vuole scriverlo lui il suo. Un metodo non metodo.
Un po', citando mio figlio, come l'Isola che non c'è, che c'è, però si chiama isola che non c'è.
Il suo metodo avrà successo. La summa teologica del "se ce l'ha fatta lui"
Ma non è delle virtù, del pur virtuoso fratello, che volevo parlare.
Volevo dire che non è tanto il caso di cacare il cats con il fatto che facciamo cose estreme e siamo pazzi.
Non siamo soli, e neppure i peggiori.
Voi, ad esempio, senza gugolare, sapreste dirmi cos'è il Krav Maga?
Ah, no?
Beh, state sereni, si vive lo stesso. Sempre che non litighiate con qualcuno che pratica il Krav Maga.
Io l'ho scoperto da uno di loro (fortunatamente senza litigarci): un patatone piuttosto ben piantato, body builder, persona tranquilla e simpatica, mi dice che non può più fare a meno del suo allenamento settimanale di Krav Maga.
Trattasi di disciplina (?) di autodifesa ideata da un ufficiale dell'esercito israeliano (certamente non noto per le missioni di pace, ammesso che questa locuzione abbia un senso).
"Non è mica nulla di che, non ci sono tutte le implicazioni filosofiche che trovi nelle arti marziali orientali".
Ah, beh!
"Serve ad imparare a difendersi nel modo più veloce ed efficace possibile, al limite strappando un bulbo oculare, evirando o uccidendo l'avversario.
Chiaramente queste cose non è che te le fanno fare in allenamento".
Ok, anche gli istruttori di Krav Maga devono pur mangiare, uccidere o accecare i giovani padawan non è una mossa commercialmente intelligente, evidentemente.
"Anche alla figlia, che studia a Vicenza e deve attraversare Campo Marzo, con tutta quella brutta gente, l'ho detto: vieni ad un paio di lezioni, ti insegnano ad usare un pettine come un coltello..."
La figlia ha detto no. Strano, non credete?
I figli adolescenti non c'è modo che facciano quello che gli dici.
Va ben, com'è come non è, mi dice che ad un seminario con un colonnello donna del Mossad, lo hanno incappucciato con un sacco di nylon e lui doveva liberarsi prima di soffocare.
"Mamma quante pache!" Diceva ridendo.
"E non sai quante volte, il giorno dopo, devo andare al pronto soccorso".
Mai più senza.
Cosa dite? Continuo a correre o mi converto al Krav Maga?
lunedì 17 novembre 2014
Ultra!
"Papi, ma perché vuoi fare una corsa ancora più lunga se poi ti fai male alle unghie?"
Questo il commento di Jack, quello più fifone del gruppo, alla notizia che il prossimo obiettivo non è una maratona ma è un ultratrail.
Ora, parlando di corsa, qualsiasi cosa che inizi con Ultra, significa che è più lungo del fatidico 42,195 della Maratona.
Parentesi: sarà che io di sport ne ho sempre visto tantissimo in tv, ma mi ha stupito che in giro ci sia così tanta gente che pensa che le maratone abbiano distanze diverse a seconda di dove le si corre. Chiusa parentesi.
Se invece c'è scritto trail, significa che non si corre su asfalto, ma su sentieri, strade sterrate se non addirittura fuori da qualsiasi tracciato.
Flashback: tre settimane fa planavamo su Riva dei Sette Martiri a Venezia, Folgorati dal sole e dalla corsa.
Io, inaspettatamente primo della squadra, mi accorsi sotto il tendone-spogliatoio, che le unghie dei miei piedi avevano un colore grigio blu che tanto si intonava alla divisa Folgorante. Ma non mi facevano male, per cui sticazzi, direbbero a Roma.
La sera del giorno dopo le scarpe sembravano uno strumento di tortura costrittiva. Nonostante vari interventi tampone, per una settimana il dolore è stato piuttosto significativo, fino al venerdì quando, in un romanticissimo giorno di ferie senza bimbi, che Silver ed io non ci concedevamo da anni, il mio "medico in famiglia" ha proceduto all'intervento definitivo. Vi risparmio i dettagli.
La preoccupazione del gemellino, in sostanza, è ammirevole e motivata. Ad onor del vero il piccolo dimostra più buon senso del padre.
Il suo eterozigote compagno, invece, pare aver preso tutto dagli altri 23 cromosomi: "Bapi (Papi), mi sono staccato l'unghia da solo (disse qualche tempo fa, dopo che se l'era schiacciata cadendo ed era rimasta in parte attaccata ed in parte no), ho avuto paura, ma non ho pianto".
Marichan invece rimane a guardare ammirata la mamma che interviene, senza dimostrare il minimo fastidio alla vista di... va ben non sto qui a farvi agghiacciare.
Una famiglia onico-riunita.
Detto questo, perché un ultra trail?
Mah!
Perché dopo che abbiamo fatto la maratona si sono messi a correre in un sacco di gente, in tanti vogliono pure provare la maratona. A noi sta cosa che "se ce la possiamo fare noi ce la fanno tutti" piace, ma ci piace anche stare sempre un po' oltre (un po' ultra). E ce la tiriamo che metà basta.
Perché non potendo andare più veloci proviamo ada andare più lontano.
Perché ce la fanno praticamente sotto casa: un ultra maratona a chilometri zero.
Perché stiamo invecchiando senza averne mai fatti.
E poi per questo:
Che certe cose, a correre per strada, non si trovano facilmente.
Per cui ormai siamo convinti: "Un passo fuori dall'asfalto, due passi oltre la maratona", dice lo slogan della Ultrabericus, 66 km sui colli vicentini.
Sarà a marzo, per cui in mezzo succederanno ancora un sacco di cose; belle, soprattutto, lo auguro a voi e a me.
Buona settimana a tutti.
Questo il commento di Jack, quello più fifone del gruppo, alla notizia che il prossimo obiettivo non è una maratona ma è un ultratrail.
Ora, parlando di corsa, qualsiasi cosa che inizi con Ultra, significa che è più lungo del fatidico 42,195 della Maratona.
Parentesi: sarà che io di sport ne ho sempre visto tantissimo in tv, ma mi ha stupito che in giro ci sia così tanta gente che pensa che le maratone abbiano distanze diverse a seconda di dove le si corre. Chiusa parentesi.
Se invece c'è scritto trail, significa che non si corre su asfalto, ma su sentieri, strade sterrate se non addirittura fuori da qualsiasi tracciato.
Flashback: tre settimane fa planavamo su Riva dei Sette Martiri a Venezia, Folgorati dal sole e dalla corsa.
Io, inaspettatamente primo della squadra, mi accorsi sotto il tendone-spogliatoio, che le unghie dei miei piedi avevano un colore grigio blu che tanto si intonava alla divisa Folgorante. Ma non mi facevano male, per cui sticazzi, direbbero a Roma.
La sera del giorno dopo le scarpe sembravano uno strumento di tortura costrittiva. Nonostante vari interventi tampone, per una settimana il dolore è stato piuttosto significativo, fino al venerdì quando, in un romanticissimo giorno di ferie senza bimbi, che Silver ed io non ci concedevamo da anni, il mio "medico in famiglia" ha proceduto all'intervento definitivo. Vi risparmio i dettagli.
La preoccupazione del gemellino, in sostanza, è ammirevole e motivata. Ad onor del vero il piccolo dimostra più buon senso del padre.
Il suo eterozigote compagno, invece, pare aver preso tutto dagli altri 23 cromosomi: "Bapi (Papi), mi sono staccato l'unghia da solo (disse qualche tempo fa, dopo che se l'era schiacciata cadendo ed era rimasta in parte attaccata ed in parte no), ho avuto paura, ma non ho pianto".
Marichan invece rimane a guardare ammirata la mamma che interviene, senza dimostrare il minimo fastidio alla vista di... va ben non sto qui a farvi agghiacciare.
Una famiglia onico-riunita.
Detto questo, perché un ultra trail?
Mah!
Perché dopo che abbiamo fatto la maratona si sono messi a correre in un sacco di gente, in tanti vogliono pure provare la maratona. A noi sta cosa che "se ce la possiamo fare noi ce la fanno tutti" piace, ma ci piace anche stare sempre un po' oltre (un po' ultra). E ce la tiriamo che metà basta.
Perché non potendo andare più veloci proviamo ada andare più lontano.
Perché ce la fanno praticamente sotto casa: un ultra maratona a chilometri zero.
Perché stiamo invecchiando senza averne mai fatti.
E poi per questo:
Che certe cose, a correre per strada, non si trovano facilmente.
Per cui ormai siamo convinti: "Un passo fuori dall'asfalto, due passi oltre la maratona", dice lo slogan della Ultrabericus, 66 km sui colli vicentini.
Sarà a marzo, per cui in mezzo succederanno ancora un sacco di cose; belle, soprattutto, lo auguro a voi e a me.
Buona settimana a tutti.
mercoledì 12 novembre 2014
Posso vedere le luci della città
Ho almeno due post in bozza e penso che li cancellerò.
Non so perché, li ho scritti a pezzi e poi li ho salvati perché non avevo tempo di pubblicarli. Ed il giorno dopo, quando sono andato a rileggermeli, non li ho più trovati così importanti.
Parliamoci chiaro, non è che penso che tutto quello che scrivo sia importante. Anzi, novanta su cento scrivo delle memerite minchiate. A volte qualcuno mi dice che fanno ridere, altri, altre volte, dicono che fa piangere. Raramente qualcuno si è spinto a dire che fanno cagare. Per decenza, credo, più che altro.
Ma non volevo parlare di questo. In realtà è successa una cosa: ero in macchina che stavo rientrando in ufficio, ed è partito a tutto volume Solsbury Hill di Peter Gabriel. Forse mi sono espresso male: ho acceso la macchina ed è partita la radio, al volume da infarto in cui l'avevo lasciata. Il riff di chitarra acustica ha probabilmente cecchinato le coronarie di un gruppo di ragazzi rumeni che si godevano in pace la loro pausa pranzo sull'argine dell'Orolo. Ho abbassato appena il tempo di immettermi in statale e poi via.
"Climbing up on Solsbury Hill, I could see the city light".
Basta, ho ascoltato solo la prima frase.
Tutto ha avuto senso, improvvisamente, per un attimo. Se non scrivo subito mi scappa, ed un po' già mi sto perdendo e questo post sarà inutile come gli altri.
Bisogna salire per trovare il senso.
Mi capita ogni volta che sono su, sulla Motta del Diavolo, una salitella, in realtà nulla di che, non si capisce l'origine del nome. Da lì si vedono le luci della pianura. Al mattino presto è ancora bella perché non si vedono gli stupri ambientali fatti con le cave, le zone industriali, i cappannoni abbandonati. anche le luci sono poche e se non c'è un po' di Luna si distinguono a malapena le case.
E questa la differenza tra un grande scrittore ed uno scribacchino; Peter Gabriel è salito a Solsbury, ha provato quello che ha provato ed ha scritto la canzone.
Io sono salito sul colle, ho provato quello che ho provato, ma finchè non ho sentito la canzone non sono riuscito a dargli i contorni giusti.
Quando arrivo lì capisco perché mi sono alzato presto: non è solo tenersi in forma e neppure solo lo spettacolo per gli occhi.
È una metafora. O almeno credo che lo sia.
E la capacità di cambiare prospettiva, di sospendere il giudizio, di prendere le distanze da ciò che ci pare inattaccabile e dogmatico.
Se così fosse, se questa fosse una metafora, rimpiango tutte le volte che non mi sono alzato dal mio letto di convinzioni e me ne sono stato al caldo del mio status sociale benestante, sotto la coperta del mio cattolicesimo ancora così sovrano, nelle coccole accettate della mia eterosessualità ed ho rinunciato ad infilarmi un paio di scarpe e salire la collina. E lì, solo da lì, visto che il giudizio non è mai opportuno, capire finalmente quanto prezioso è il mio silenzio.
"I'll tell them what the smile on my face meant
My heart going boom boom boom
"Hey" I said "You can keep my things,
they've come to take me home" "
Non so perché, li ho scritti a pezzi e poi li ho salvati perché non avevo tempo di pubblicarli. Ed il giorno dopo, quando sono andato a rileggermeli, non li ho più trovati così importanti.
Parliamoci chiaro, non è che penso che tutto quello che scrivo sia importante. Anzi, novanta su cento scrivo delle memerite minchiate. A volte qualcuno mi dice che fanno ridere, altri, altre volte, dicono che fa piangere. Raramente qualcuno si è spinto a dire che fanno cagare. Per decenza, credo, più che altro.
Ma non volevo parlare di questo. In realtà è successa una cosa: ero in macchina che stavo rientrando in ufficio, ed è partito a tutto volume Solsbury Hill di Peter Gabriel. Forse mi sono espresso male: ho acceso la macchina ed è partita la radio, al volume da infarto in cui l'avevo lasciata. Il riff di chitarra acustica ha probabilmente cecchinato le coronarie di un gruppo di ragazzi rumeni che si godevano in pace la loro pausa pranzo sull'argine dell'Orolo. Ho abbassato appena il tempo di immettermi in statale e poi via.
"Climbing up on Solsbury Hill, I could see the city light".
Basta, ho ascoltato solo la prima frase.
Tutto ha avuto senso, improvvisamente, per un attimo. Se non scrivo subito mi scappa, ed un po' già mi sto perdendo e questo post sarà inutile come gli altri.
Bisogna salire per trovare il senso.
Mi capita ogni volta che sono su, sulla Motta del Diavolo, una salitella, in realtà nulla di che, non si capisce l'origine del nome. Da lì si vedono le luci della pianura. Al mattino presto è ancora bella perché non si vedono gli stupri ambientali fatti con le cave, le zone industriali, i cappannoni abbandonati. anche le luci sono poche e se non c'è un po' di Luna si distinguono a malapena le case.
E questa la differenza tra un grande scrittore ed uno scribacchino; Peter Gabriel è salito a Solsbury, ha provato quello che ha provato ed ha scritto la canzone.
Io sono salito sul colle, ho provato quello che ho provato, ma finchè non ho sentito la canzone non sono riuscito a dargli i contorni giusti.
Quando arrivo lì capisco perché mi sono alzato presto: non è solo tenersi in forma e neppure solo lo spettacolo per gli occhi.
È una metafora. O almeno credo che lo sia.
E la capacità di cambiare prospettiva, di sospendere il giudizio, di prendere le distanze da ciò che ci pare inattaccabile e dogmatico.
Se così fosse, se questa fosse una metafora, rimpiango tutte le volte che non mi sono alzato dal mio letto di convinzioni e me ne sono stato al caldo del mio status sociale benestante, sotto la coperta del mio cattolicesimo ancora così sovrano, nelle coccole accettate della mia eterosessualità ed ho rinunciato ad infilarmi un paio di scarpe e salire la collina. E lì, solo da lì, visto che il giudizio non è mai opportuno, capire finalmente quanto prezioso è il mio silenzio.
"I'll tell them what the smile on my face meant
My heart going boom boom boom
"Hey" I said "You can keep my things,
they've come to take me home" "
mercoledì 5 novembre 2014
Ai postumi l'ardua sentenza (dopo Aulin)
Alla
fine è arrivato l'autunno.
Lo
ha sancito Halloween o festa di Ognissanti o dei Morti, come si
ostinano a dire tutti qui.
Dice
che è passata quasi una settimana, mi prendo sempre tardi
ultimamente.
Portate
pazienza, si lavora sodo: le pause pranzo non esistono più e
scrivere alla sera sta diventando sempre più difficile. Pare che sia
una fortuna poter ancora lamentarsi di questo. Anzi, lo è di certo.
Dicevo
Aulin, la festa degli spiriti.
Mi
fa sorridere che dopo tanti anni, ormai la zucca scolpita è entrata
a pieno titolo nelle ricorrenze (almeno commerciali) del nostro anno
solare, ci sia ancora l'alzata di scudi contro “una festa in cui
non ci riconosciamo”, “una tradizione che non è nostra”,
“ridateci i morti”.
Ecco,
proprio i morti.
Qualcuno
si è mai fatto la domanda fatidica? Perché tutte le persone sopra i
sessant'anni continuano a chiamare Ognissanti “Il giorno dei
Morti”?
Solo
io vedo nelle due ricorrenze, quella "pagana, americana" e quella "nostrana" una sorta di logicità e di continuità?
A me ha aperto gli occhi un'amica, tanti anni fa, che mi ha detto che quasi è nata prima la loro, in Irlanda, e poi l'abbiamo fatta nostra.
Si,
chiaro, nella nostra cultura i morti vanno ricordati e per loro si
prega, non sono degli spiritelli che girano per le case a fare
scherzi scemi.
Ma sempre morti sono e mi chiedo? Forse che lasciare che i bimbi si divertano una sera, o tutta la settimana precedente, a travestirsi, ritagliare pippistrelli di cartone e, quando sono più grandicelli, andare a fare i macachi suonando il campanello ai vicini, mette in qualche modo in discussione la visita il cimitero del giorno dopo?
Ma sempre morti sono e mi chiedo? Forse che lasciare che i bimbi si divertano una sera, o tutta la settimana precedente, a travestirsi, ritagliare pippistrelli di cartone e, quando sono più grandicelli, andare a fare i macachi suonando il campanello ai vicini, mette in qualche modo in discussione la visita il cimitero del giorno dopo?
Che
poi, parliamone, non è che certe scene che si vedono al cimitero il
giorno dopo abbiano l'aria tanto meno pagana di mio figlio vestito da
fantasma di Sleepy Hollow.
Forse
che il dolcetto (o scherzetto) della sera prima vi rimane di traverso
nel gargarozzo e non potete darci di Spèo e poènta onta?
Forse
che la zucca scolpita e lasciata con il lumino acceso sul pilastro
del cancello spaventa la cugina che vi viene a trovare tutti gli anni
solo in quel giorno?
Qual'è
in fondo la paura? Che i nostri figli crescano senza il culto dei
morti?
Ma
allora noi genitori a cosa serviamo? Cos'altro dovremmo fare se non
ricordare chi erano per noi le persone che non ci sono più?
O siamo
noi che abbiamo, in fondo, paura di dimenticarle?
E
poi: solo quel giorno lì? Parlate mai di vostro nonno o di vostro zio ai figli?
Personalmente lo ritengo quasi più importante che pregare per loro. Anzi, visto che ogni tanto gliene parlo, Giacomo ha proposto lui di dire un'avemaria ai nonni. Vedi, quando si dice "nonostante certi genitori".
Ma
allora, se questo dipende da noi genitori, di che culto stiamo parlando?
Del
metodo per cuocere la carne allo spiedo?
Ah,
nemmeno voi sapete come si fa?
Tranquillizzerei
tutti: sono certo che ci siano decine di tutorial su youtube. Il
progresso e la globalizzazione hanno pure i loro porci vantaggi.
Alla
fine proprio i Santi, che tutti vogliamo difendere da chissà quale
attacco culturale, sono i più tolleranti di tutti.
Si
lasciano usurpare la festa dai Morti, non fanno scherzetti ed alla
fine restano là a guardare mentre ci scrofoliamo lo spiedo bisunto.
Io sarei sempre per la tolleranza e l'apertura.
Certo,
a meno che non vogliate educare i vostri figli a credere che
tolleranza significhi perdita delle tradizioni.
Ma
credo sia la mia ipoglicemia che mi fa dubitare, perché è
impossibile che qualcuno possa anche solo pensare che sia così. O
no?
martedì 28 ottobre 2014
Venice Marathon e metodo El_Gaelloway
Conoscete Jeff Galloway?
Ah no?
Beh, Jeff Galloway era un buon corridore, niente di stratosferico, ma decisamente valido. Una volta si è trovato a giocarsela ai Trials olimpici americani grazie ad un amico che lo ha guidato durante la gara.
In soldoni.
Fatto sta che il buon Jeff poi ha deciso che doveva aiutare tutti a fare la maratona ed ha scritto una vagonata di libri che spiegano quello che viene da tutti chiamato il Metodo Galloway.
Fine della premessa.
Non sto qui a spiegarvelo, rischio di fare anche errori.
Ma Domenica scorsa io ho corso la Venice Marathon e per prepararla mi ero orientato con il metodo Galloway. Anche se non ortodosso.
Ad esempio il giorno prima della gara Galloway dice:
"State rilassati, meglio seduti o sdraiati sul divano"
"Visualizzate il percorso, mentalizzate la vostra gara"
"Fate spuntini frequenti, senza appesantirvi, evitate i grassi"
"Bevete molto"
Questo per il giorno precedente alla gara.
Il giorno della gara invece scopre un po' l'acqua calda: alzatevi in anticipo, non prendetevi all'ultimo. Ad aggiungere ansia ci pensa il cambio dell'ora, porca vacca. Sono andato a letto con quattro orologi sul comodino.
C'eravamo lasciati così, a Padova, il 26 aprile: il Lungo il Corto ed il Pacioccone.
Certo, sto perdendo credibilità come Pacioccone ma mi difendo.
Bando alle ciancie! Alla partenza di Stra, La Folgorante si presenta così:
Tutti in ultima griglia, mica abbiamo fatto i trials per ammettere la gente in squadra, noi.
10, 9, 8, eccetera... si parte.
Passano quasi cinque minuti prima che i nostri piedi passino sotto l'arco di partenza. Si va.
Il Corto ha la sua strategia "Ciao tosi, a dopo". In ogni caso, dopo essere stato intervistato anche da "La Nuova Venezia" per via della mise da Bluesman del Mississipi, la sua vittoria è già in saccoccia. Qualche centinaio di metri dopo, anche i nostri nuovi compagni di viaggio Alessio ed Anna si tengono indietro.
Damy invece è chissà dove là davanti, partito forte.
Dopo un paio di km però non vedo più neppure Franz "Il Lungo", si è staccato ed è qualche metro indietro.
"Ho un dolore al ginocchio".
Cazzo! Un dolore al ginocchio dopo 2 km può essere un bel problema. "Tu vai".
"Lacio Drom, vecchio mio"
E parto.
Dice Galloway: "partite piano, avrete tempo di aumentare nella seconda metà della gara. Alternate un minuto di camminata ogni 7-8 minuti di corsa".
Ok, ogni 10-12 minuti mi ricordo di rallentare e camminare forse 40 secondi. L'idea di riprendere Damiano è molto più forte.
Raggiungo i pacers delle 5 ore... ciao
Damiano è lì davanti, con la sua classica andatura diesel.
Non lo dico perché è amico mio: Damy se si fosse allenato fin da ragazzo sarebbe stato un campione. L'ho visto con i miei occhi salire sull'altipiano di Asiago con una bici da uomo anni 70, di quelle con la manovella del cambio sul telaio ed il manubrio con le manopole color madreperla, senza neppure alzarsi sui pedali.
Lo prendo e lo stacco. Al successivo intervallo di passo mi raggiunge. Lo risupero e poi basta, non ci becchiamo più
Mi sento il vecchio Jeff nella testa "Parti piano, parti piano".Ostrega! Se stacco Damiano non sto andando piano proprio per niente.
Ceste! Finchè ce n'è io mi lascio guidare dalle gambe.
La giornata è splendida, limpidissima e fresca senza il minimo di umidità. Si costeggia il naviglio del Brenta e tutte le ville che sono bellissime ma è impossibile non pensare a tutti i racconti sulla "Mala" di Maniero e le tangenti ai dirigenti politici.
Continuo a superare gente. Mi lascio indietro i pacers delle 4,15.
Arriviamo a Marghera. Penso ai Los Massadores, gruppo del momento qui in Veneto, che dicono "Xè boni tuti a far foto a Venexia". Marghera è proprio uno schifo, ci fanno girare in mezzo ai container. È così brutta che Mestre pare quasi carina, quando ci si arriva. Ed in effetti poi la piazza non è male, con il pieno di gente ed i bimbi che ti danno il cinque e sorridono come se gli avessi regalato un pupazzo di Ironman.
Raggiungo e supero anche i pacers delle 4 ore. Sono due personaggi che continuano a gridare incitazioni che manco il sergente istruttore di "Ufficiale e Gentiluomo".
Vedrò dopo che i dieci km tra i 20 ed i 30 li ho corsi sotto il mio record personale sui 10. Diobòn, nemmeno col doping.
Al parco San Giuliano sento che le gambe un po' si induriscono. È il "muro" dei 30 km, quando inizia la vera maratona. Come se non bastasse inizia il Ponte della Libertà, lunghissimo, interminabile e infame. È come il filmino porno di Belèn ti mostra il traguardo, ma hai voglia se è lontano.
Mi lascio riprendere dai pacers delle 4 ore e mi ci attacco con i denti. A costo di morirci dietro a questi io da qui non mi schiodo.
Iniziano i ponti di Venezia. Il marciapiedi è bagnato: mi si slaccia la scarpa. Cazzo cazzo cazzo! Mi chino per legarla e vedo le stelle, mi rialzo e le stelle iniziano a girare. Riparto e cerco di riprendere sti benedetti palloncini con scritto "4 h".
"Potevo stringere anche la scarpa destra, già che c'ero". Nemmeno il tempo di pensarlo e proprio uscendo da Piazza S.Marco sento il laccio che mi fustiga la gamba.
"Ahhhhhhhhhhh!!!" Addio obiettivo 4 ore.
Stesso esercizio di prima, solo più demoralizzato. Riparto piano. Tanto. Ormai.
Invece su uno degli ultimi ponti trovo Zambo con la bandiera della Banca degli Occhi, me la passa: "Dai Gae, che vai alla grande".
Sento lo speaker in lontananza: "4 ore e due minuti".
Posso ancora stare sotto alle 4 con il tempo effettivo (ricordate i cinque minuti prima di passare sotto la partenza a Stra?).
Riparto a perla... sventolo la bandiera, sulla tribuna si alza l'ovazione degli amici folgoranti e degli altri del progetto "Corri per la Vista".
4 ore, 3 minuti, per la questura. Ma il mio tempo reale è 3 h 59' 21"
E lì, mentre una ragazza mi mette la medaglia al collo accarezzo la N gialla sul mio cuore.
Non l'avevo preparata e non so perché mi è venuto di farlo. A stento trattengo le lacrime, "dev'essere il calo di tensione", mento a me stesso.
E basta, basta, basta, cos'altro posso dire del dopo?
Trovare Silver ed i bimbi che mi aspettano, esaltati, abbracciare Arianna e gli altri amici; non so trovare parole per esprimere cosa si prova.
Aspettiamo gli altri e facciamo un'ultima foto, tutti assieme.
Un tempo i temi in classe del lunedì si chiudevano tutti con "Siamo tornati a casa stanchi ma felici".
Forse siamo più stanchi ed un po' meno felici ed oggi è pure martedì. Ma quel poco che ci è concesso è comunque tanto, è comunque prezioso.
"Conosci un altro modo per ingannar la morte?" Chiedeva anni fa Luciano Ligabue.
Si, Liga, io corro!
p.s. Ah, va da sé che sia 4,3 che 3,59 sono dei tempi ridicoli per un corridore serio. Ma vi ricordo che l'altra volta ero arrivato in 5,13.
p.p.s. Io un po' lo sfottuto Jeff Galloway ma se volete iniziare a preparare una maratona devo dirvi che è uno dei più sensati e ragionevoli che mi sia capitato di trovare. Poi, come tutti i metodi, le personalizzazioni sono d'obbligo. Buona corsa.
Ah no?
Beh, Jeff Galloway era un buon corridore, niente di stratosferico, ma decisamente valido. Una volta si è trovato a giocarsela ai Trials olimpici americani grazie ad un amico che lo ha guidato durante la gara.
In soldoni.
Fatto sta che il buon Jeff poi ha deciso che doveva aiutare tutti a fare la maratona ed ha scritto una vagonata di libri che spiegano quello che viene da tutti chiamato il Metodo Galloway.
Fine della premessa.
Non sto qui a spiegarvelo, rischio di fare anche errori.
Ma Domenica scorsa io ho corso la Venice Marathon e per prepararla mi ero orientato con il metodo Galloway. Anche se non ortodosso.
Ad esempio il giorno prima della gara Galloway dice:
"State rilassati, meglio seduti o sdraiati sul divano"
Sabato 26 ottobre, cambio degli armadi |
Lavaggio bagno |
Festa compleanno amici dei bimbi (molto rilassante già di suo) |
Questo per il giorno precedente alla gara.
Il giorno della gara invece scopre un po' l'acqua calda: alzatevi in anticipo, non prendetevi all'ultimo. Ad aggiungere ansia ci pensa il cambio dell'ora, porca vacca. Sono andato a letto con quattro orologi sul comodino.
C'eravamo lasciati così, a Padova, il 26 aprile: il Lungo il Corto ed il Pacioccone.
Certo, sto perdendo credibilità come Pacioccone ma mi difendo.
Bando alle ciancie! Alla partenza di Stra, La Folgorante si presenta così:
Tutti in ultima griglia, mica abbiamo fatto i trials per ammettere la gente in squadra, noi.
10, 9, 8, eccetera... si parte.
Passano quasi cinque minuti prima che i nostri piedi passino sotto l'arco di partenza. Si va.
Il Corto ha la sua strategia "Ciao tosi, a dopo". In ogni caso, dopo essere stato intervistato anche da "La Nuova Venezia" per via della mise da Bluesman del Mississipi, la sua vittoria è già in saccoccia. Qualche centinaio di metri dopo, anche i nostri nuovi compagni di viaggio Alessio ed Anna si tengono indietro.
Damy invece è chissà dove là davanti, partito forte.
Dopo un paio di km però non vedo più neppure Franz "Il Lungo", si è staccato ed è qualche metro indietro.
"Ho un dolore al ginocchio".
Cazzo! Un dolore al ginocchio dopo 2 km può essere un bel problema. "Tu vai".
"Lacio Drom, vecchio mio"
E parto.
Dice Galloway: "partite piano, avrete tempo di aumentare nella seconda metà della gara. Alternate un minuto di camminata ogni 7-8 minuti di corsa".
Ok, ogni 10-12 minuti mi ricordo di rallentare e camminare forse 40 secondi. L'idea di riprendere Damiano è molto più forte.
Raggiungo i pacers delle 5 ore... ciao
Damiano è lì davanti, con la sua classica andatura diesel.
Non lo dico perché è amico mio: Damy se si fosse allenato fin da ragazzo sarebbe stato un campione. L'ho visto con i miei occhi salire sull'altipiano di Asiago con una bici da uomo anni 70, di quelle con la manovella del cambio sul telaio ed il manubrio con le manopole color madreperla, senza neppure alzarsi sui pedali.
Lo prendo e lo stacco. Al successivo intervallo di passo mi raggiunge. Lo risupero e poi basta, non ci becchiamo più
Mi sento il vecchio Jeff nella testa "Parti piano, parti piano".Ostrega! Se stacco Damiano non sto andando piano proprio per niente.
Ceste! Finchè ce n'è io mi lascio guidare dalle gambe.
La giornata è splendida, limpidissima e fresca senza il minimo di umidità. Si costeggia il naviglio del Brenta e tutte le ville che sono bellissime ma è impossibile non pensare a tutti i racconti sulla "Mala" di Maniero e le tangenti ai dirigenti politici.
Continuo a superare gente. Mi lascio indietro i pacers delle 4,15.
Arriviamo a Marghera. Penso ai Los Massadores, gruppo del momento qui in Veneto, che dicono "Xè boni tuti a far foto a Venexia". Marghera è proprio uno schifo, ci fanno girare in mezzo ai container. È così brutta che Mestre pare quasi carina, quando ci si arriva. Ed in effetti poi la piazza non è male, con il pieno di gente ed i bimbi che ti danno il cinque e sorridono come se gli avessi regalato un pupazzo di Ironman.
Raggiungo e supero anche i pacers delle 4 ore. Sono due personaggi che continuano a gridare incitazioni che manco il sergente istruttore di "Ufficiale e Gentiluomo".
Vedrò dopo che i dieci km tra i 20 ed i 30 li ho corsi sotto il mio record personale sui 10. Diobòn, nemmeno col doping.
Al parco San Giuliano sento che le gambe un po' si induriscono. È il "muro" dei 30 km, quando inizia la vera maratona. Come se non bastasse inizia il Ponte della Libertà, lunghissimo, interminabile e infame. È come il filmino porno di Belèn ti mostra il traguardo, ma hai voglia se è lontano.
Mi lascio riprendere dai pacers delle 4 ore e mi ci attacco con i denti. A costo di morirci dietro a questi io da qui non mi schiodo.
Iniziano i ponti di Venezia. Il marciapiedi è bagnato: mi si slaccia la scarpa. Cazzo cazzo cazzo! Mi chino per legarla e vedo le stelle, mi rialzo e le stelle iniziano a girare. Riparto e cerco di riprendere sti benedetti palloncini con scritto "4 h".
"Potevo stringere anche la scarpa destra, già che c'ero". Nemmeno il tempo di pensarlo e proprio uscendo da Piazza S.Marco sento il laccio che mi fustiga la gamba.
"Ahhhhhhhhhhh!!!" Addio obiettivo 4 ore.
Stesso esercizio di prima, solo più demoralizzato. Riparto piano. Tanto. Ormai.
Invece su uno degli ultimi ponti trovo Zambo con la bandiera della Banca degli Occhi, me la passa: "Dai Gae, che vai alla grande".
Sento lo speaker in lontananza: "4 ore e due minuti".
Posso ancora stare sotto alle 4 con il tempo effettivo (ricordate i cinque minuti prima di passare sotto la partenza a Stra?).
Riparto a perla... sventolo la bandiera, sulla tribuna si alza l'ovazione degli amici folgoranti e degli altri del progetto "Corri per la Vista".
4 ore, 3 minuti, per la questura. Ma il mio tempo reale è 3 h 59' 21"
E lì, mentre una ragazza mi mette la medaglia al collo accarezzo la N gialla sul mio cuore.
Non l'avevo preparata e non so perché mi è venuto di farlo. A stento trattengo le lacrime, "dev'essere il calo di tensione", mento a me stesso.
E basta, basta, basta, cos'altro posso dire del dopo?
Trovare Silver ed i bimbi che mi aspettano, esaltati, abbracciare Arianna e gli altri amici; non so trovare parole per esprimere cosa si prova.
Aspettiamo gli altri e facciamo un'ultima foto, tutti assieme.
Un tempo i temi in classe del lunedì si chiudevano tutti con "Siamo tornati a casa stanchi ma felici".
Forse siamo più stanchi ed un po' meno felici ed oggi è pure martedì. Ma quel poco che ci è concesso è comunque tanto, è comunque prezioso.
"Conosci un altro modo per ingannar la morte?" Chiedeva anni fa Luciano Ligabue.
Si, Liga, io corro!
p.s. Ah, va da sé che sia 4,3 che 3,59 sono dei tempi ridicoli per un corridore serio. Ma vi ricordo che l'altra volta ero arrivato in 5,13.
p.p.s. Io un po' lo sfottuto Jeff Galloway ma se volete iniziare a preparare una maratona devo dirvi che è uno dei più sensati e ragionevoli che mi sia capitato di trovare. Poi, come tutti i metodi, le personalizzazioni sono d'obbligo. Buona corsa.
venerdì 24 ottobre 2014
È tempo di ringraziare
C'è
un tempo per ogni cosa, diceva Qoelet in una degli scritti che
preferisco.
Così
tra domani e domenica sarà il tempo di chiudere Occhio al Nikio, il
progetto che in questi mesi ci ha prima unito, dando il La definitivo
al progetto Folgorante, e poi ci ha accompagnato in musica, corsa ed
amicizia fino a questa benedetta Venice Marathon.
Non
sono bravo nei discorsi di circonstanza, finisco per sembrare sempre
inevitabilmente, finto e palsticoso come quei brutti complementi
d'arredo che regalavano negli anni 80 con i punti del supermercato.
Di
certo da soli avremmo fatto gran poco.
Senza
le persone di Monticello, senza tutti quelli che hanno contribuito ad
organizzare la serata musicale, non saremo mai arrivati a superare il
nostro obiettivo.
Grazie
a tutti.
Ma
vorrei prendermi il tempo per ringraziare anche tutti voi che siete
passati di qui, che avete cliccato sul link che insistentemente
postavo alla fine di ogni pezzo e che, senza tanto clamore, siete
andati a lasciare quello che potevate in quella paginetta.
Ringrazio
in particolare Beatrix Kiddo che ha messo il banner sul suo blog fin
dal primo giorno.
Come
sempre mi sarò dimenticato di qualcuno, non me ne vogliate; è
demenza, non cattiveria.
Ora
è solo tempo di correre.
A mezzogiorno chiudo tutto e vado a
ritirare i pettorali. (ok, la battuta “Chiedi se hanno anche
addominali” la faccio io così vi togliete il pensiero).
Saremo
in 9 domenica tra Stra e Venezia. 5 maratoneti e 4 che correranno la
VM10KM. Tutti con la maglia grigio-turchese e la tartaruga con la N
gialla sul cuore. E all'arrivo chissà quanti altri con la stessa
divisa, a tifare e a fare festa (ci saranno Silver ed i bimbi, non posso immaginare un regalo più grande)
Senza
contare chi vorrebbe esserci e non potrà ma in qualche modo ci
spingerà all'arrivo, allo stesso modo.
Dico
sempre che La Folgorante non è il club esclusivo degli amici del
Nikio. La Folgorante è la squadra corse più scalcinata della
storia, senza top runners, senza allenatore, senza tesseramento in
federazione. Ma guarda avanti, come in una corsa. Siamo partiti in 3 ed adesso siamo in 25 e sono
sicuro che già domenica ci sarà qualcuno di nuovo che si
aggregherà.
Perché
lo spirito che ci muove non è nelle parole, non è nei risultati. È
qualcosa di più alto, qualcosa di più profondo.
È
una N gialla sul cuore che domenica porteremo da Stra a Venezia.
mercoledì 22 ottobre 2014
Culigarchia - un racconto di fantasia
Diario
del Capitano, data stellare 21/10/2070
55°
anno di culigarchia.
Per
quanto sia duro da ammettere, la nostra resistenza è allo stremo
delle forze.
Questo
ultimo anno di lotte, il 2070, è stato senza dubbio il più duro da
che la culigarchia si è insediata, in quel cupo 2015, dopo l'editto
ferale con cui Scalfarotto ed i suoi si sono impadroniti della nostra
libertà.
Qui,
dalla prigione in cui scrivo, il mondo mi sembra più buio di come lo
era allora, quando le prime Sentinelle venivano schernite sul web da
tutti i blogger improvvisati da quattro soldi, da tutti i circoli
pro-gender.
Rileggendo
i diari di quei giorni si trovano spesso le obiezioni che eravamo
soliti subire: “Di cosa avete paura?”
Di
questo avevamo paura, di quello che siamo diventati.
Temevamo
il subire per forza l'educazione pro-gender, basta rosa per le
femmine e blu per i maschietti. Tutto per tutti, a seconda dei gusti
dei genitori.
Temevamo
il divieto di sposarsi per coppie eterosessuali, inizialmente
promossa come misura per ridurre i costi delle separazioni ma poi
elevata a vera e propria discriminazione. Lo abbiamo capito tardi,
quando tutti i programmi tv e i corsi nelle scuole (sia per genitori
che per bambini) hanno iniziato, prima subliminalmente, poi in modo
assolutamente aperto a parlare delle coppie omosessuali come le
uniche in grado di garantire la corretta educazione dei bambini.
Eppure
ci inquietavano le RR,
le Ronde
Rosa,
orribili squadre tutte lustrini e pailettes che girano agitando i
loro assurdi manganelli ricoperti di pelo di coniglio, pronti a
mazziare chiunque violi il coprifuoco.
E
avevamo storto il naso quando il governo, nel 2023 aveva dismesso il
vecchio Inno di Mameli (una marcetta naif che nessuno capiva più ma
che ricordava a tutti il Mondiale vinto nel 2022), a favore di
Y.M.C.A., che però non era stato imposto ma vigliaccamente fatto
passare per un'operazione di grande democraticità, avendo superato
in regolare referendum, una canzone di Lady Ga Ga.
Anche
mio nonno El_Gae, allora, si era indignato, ma testardo com'era non
aveva fatto nulla per denunciare gli eventi. Solo quando mia zia,
incinta di tre mesi, ha deciso di lasciare mio zio Jack, divorata
dall'ansia di crescere un figlio insano mentalmente, perché traviato
da un'educazione troppo eterosessuale, lo abbiamo capito anche noi,
in casa. Solo quando ci ha toccato da vicino; troppo tardi, come
sempre.
Mio
nonno, che da tempo sul blog irrideva le Sentinelle ha iniziato a
denunciare questi assurdi fatti e, bollato come traditore, è stato
catturato dalle RR una mattina all'alba mentre correva sulla collina.
Gli
fu concessa la liberta vigilata in virtù degli antichi meriti
pro-gender ma ogni sera, finito il lavoro, doveva recarsi in caserma
e girare una scena, a sorpresa, presa a scelta da “Mine Vaganti”,
“Piume di struzzo” o “In & Out”.
Ma
noi abbiamo continuato a lottare, di nascosto, dentro a simboliche
catacombe del web, spinti da mia madre Maria, da sempre ribelle nei
confronti del padre che la costringeva a guardare The Avengers,
perculava le Disney Princess e la faceva a giocare a calcio sul prato
di casa. Non glielo ha mai perdonato, al nonno. Nemmeno quando si è
pentito.
Ha
continuato a lottare per dichiarare il proprio diritto ad esprimere
la propria natura, ciò che sentiva di essere. Non aveva nulla contro
le famiglie omogenitoriali, mia mamma, ma non capiva perché
dovessero odiare tanto la sua voglia di procreare senza assistenza
medica e crescere un figlio con il suo compagno.
Quando
mio nonno stava morendo glielo ha chiesto: “Perché, papà, hai
lottato tanto per la libertà di queste persone che ora ce la
negano?”
“Perché
ascoltare è sembre un gesto di buona creanza e le Sentinelle non
ascoltavano. Non deve spaventarci il cambiamento: ricordati sempre
che tutto ciò che ora ci sembra consolidato, un tempo è stato
osteggiato. Pensa al cristianesimo, al voto delle donne,
all'apartheid.
Con
che diritto potevamo dire che questa novità era più brutta delle
altre?
Se
la culigarchia ha sbagliato non è colpa del diritto per cui abbiamo
lottato: i diritti sono superiori alle persone che li esercitano”.
Da
quell'ultimo abbraccio tra padre e figlia sono nate le Vedette
Sedute.
Noi
lottiamo per la libertà di parola. Ma non lo facciamo in piazza,
semplicemente diciamo la nostra quando ci pare che sia il caso.
Non
ha portato a nulla e siamo stanchi. Qui ormai se non si fa gran
clamore non ti considera più nessuno.
Pazienza,
amici, la lotta continua...
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