(così diceva la prof d'inglese al liceo)
Ed eccoci al secondo, attesissimo
sequel di Post in Traslation. Come tutti i secondi capitoli avrà
molta fortuna al botteghino e sarà stroncato dalla critica. Per
questo sarà l'ultimo della serie. Se la produzione vorrà andare
avanti dovrà farlo senza di me.
Se vi state chiedendo se sto uscendo di
testa la risposta è no. Sono già uscito da un po'. E ho lasciato
dentro le chiavi.
Ma veniamo a noi.
La cosa più divertente che ti può
capitare approcciando un veneto è farlo parlare in italiano. Come
dicevo parliamo praticamente tutti in dialetto e siamo convinti che
tutte le parole che usiamo appartengano solo al nostro vocabolario.
Per cui, quando abbiamo a che fare coi “foresti” traduciamo tutto.
Anche parole che, inconsapevolmente, diciamo già in italiano.
Alcuni esempi:
La segretaria di mio cognato che lavora
nei trasporti:”Si si, non si preoccupi, i nostri camion montano
anche i cazzoni da 12 metri” (trad. da cassoni)
“Abito sui monti Rotoloni” (loc.
geografica. Rugoloni)
“Con questo caldo ci vorrebbe un
bigolo di aria” (trad. on filo de aria)
Oppure non ci viene la parola e ci si
lancia sul neologismo
Mia mamma: “Guarda Moe, il camion
delle scopazze” (le Scoasse sono la spazzatura)
Mio suocero:”Mi sono dismenticato di
chiederti una cosa” (dismentegà significa dimenticato)
Oppure non le pronunciamo bene.
Ad esempio la “z” finisce sempre
per assomigliare alla “s” (quella di Josè, per capirci). Per cui
“Lo Zelo” diventa “Lo selo”. Solo che “l'oselo” è
l'uccello, e l'uccello sapete tutti cos'è. È celebre l'episodio
della messa di Natale dove la prima lettura si chiude con “tutto
questo farà lo selo del Signore”.
Ma ancora meglio sono i plurali delle
parole di origine straniera.
Provate ad indovinare il singolare di
queste parole espresse al plurale:
naili, camii, yoghi, moniti, computi