Mi
rendo conto sempre di più di quanto la corsa sia una metafora della
vita.
Bella
scoperta, potreste dirmi, lo hanno detto tutti da cento anni a questa
parte. Vabbè, oh, meglio uno in più che uno in meno, dico io.
In
realtà io non sono neppure sicuro che sia proprio così, perché
alle volte, penso, si corre un po' come si vive.
Io
ad esempio non ho tante pretese ma, nello stesso tempo, mi piace
sapere, conoscere e prepararmi a certi eventi. E lo faccio sia nella
corsa sia nella vita con un pelino di pressapochismo che aiuta i miei
amici a sopportarmi ed i miei colleghi a deterstarmi, probabilmente.
Oltre che dà qualche motivo a Silver per incazzarsi di tanto in
tanto, sennò, in tutta questa perfezione di uomo, poraccia... vabbè,
cambiamo discorso.
Ad
esempio non ci sarebbe stato male un post sulla festa del papà. Ma
non ci sono arrivato.
Avevo
anche in mente qualcosa per la giornata della Sindrome di Down. Ma ho
cannato pure quell'appuntamento.
Così
mi ritrovo a scrivere un post demmerda in pausa pranzo, come ai tempi
d'oro, quando scrivevo un sacco di postdemmerda pur di scrivere
qualche cosa. Ora invece non mi sforzo più di tanto e li scrivo
demmerda solo quando mi vengono.
Ma
torniamo alla vita metafora della corsa o viceversa: dopo una gara
serve il recupero. Così come nella vita, dopo un appuntamento
importante serve il riposo.
A
me, più che il riposo riposo, piace il riposo attivo: ci si dedica
alle attività che fino a quel momento, causa scadenza importante, si
è trascurato.
Sono
le classiche giornate in cui vai al lavoro convinto di non avere
nulla di urgente da fare e potrai dedicarti ai grandi progetti nel
cassetto e, già che ci sei, anche ad una maggiore attenzione verso
gli altri. Così ascolti ogni paturnia con empatia e arrivi a sera
che non hai combinato un cazzo se non aver girato come una trottola
per otto ore.
A
casa è quasi la stessa cosa, per quanto la parola «riposo» mal si
adatti alla mia situazione familiare.
Però
nella corsa, passata l'esaltazione da Ultratrail, volevo dedicare
qualche uscita a quello che chiamo il «Piano piano». Ho fatto tanta
salita in questi mesi? E allora pianura (da cui il piano). Hai corso
come un forsennato sfondandoti di ripetute, progressivi, scatti? E
allora rimo lento (da cui il secondo piano).
Senza
volerlo è diventato un mantra. Piano piano, senza grandi obiettivi.
L'ho
fatto una volta e già mi sono rotto le balle.
Serve
a questo, il piano piano, nella corsa come sul lavoro o nella vita: a
capire che ci sentiamo più vivi di corsa e che, se riposo deve
essere, lo sia dopo giornate esaltanti.
Concordo in pieno.
RispondiEliminaE davvero un bel modo per rendere l'idea.
Grazie Ford!
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