Ieri
sera ci si guardava “Il Cammino per Santiago” di Emilio Estevez.
Carino.
Direi un'ottima idea di fondo ed una buona partenza, anche se poi si
perde un po' da metà in poi diventando un po' troppo scontato e
“ammerigano”.
Per
noi c'era il valore aggiunto del ricordo, che è sempre un bel
ricordare.
Comunque
non volevo parlare di ricordi, di film o di Cammini di Santiago.
Volevo
parlare di Emilio Estevez che è il figlio del protagonista, Martin
Sheen. Io una volta pensavo che fosse il figlio illegittimo avuto con
una comparsa messicana di una qualche film girato nei '60. E pensavo
che odiasse il padre ed il belloccio fratellastro Charlie.
Invece
ti vado a scoprire che l'amato Capitano Willard in realtà si
chiama Ramon Estevez e che il suo primogenito ha semplicemente deciso
di usare il vero cognome per non dover continuamente confrontarsi o
venire associato al percorso artistico del padre che non sarà
Nicholson o Hopkins ma è comunque piuttosto noto.
Così
lui appare in qualche filmettino qua e là e poi decide di dedicarsi
alla regia. Di lui ricordavo Bobby che mi era piaciuto proprio
tanto.
Ma
arrivato qui mi accorgo che non voglio parlare neppure di Estevez
perché in realtà tornavo a riflettere sui figli paraculi.
Io
nel mio piccolo sono stato figlio paraculo.
Un
secolo fa, a diciassette anni, inziai a fare il bagnino nella piscina
dove mio padre faceva la manutenzione. Poi diventai anche istruttore.
Una
volta un collega anziano mi disse: “ah, tu sei un paraculo, allora?
Nessun problema, finché continui a lavorare bene”.
Cioè,
in sostanza: probabilmente Emilio Estevez se fosse stato il figlio di
un macellaio di Brookling o di un insegnante di lettere di Boston,
non solo non si sarebbe sognato, ma magari gli sarebbero proprio
mancate anche le basi economiche per sfondare nel cinema.
Invece
era già bello inserito, grazie al padre... così che si è lanciato.
Ed è pure passabile come artista.
Sei
figlio di medici e farai il medico? Ok, purché tu sia un buon medico
ed a patto che tu provi ad essere il miglior medico che io conosca.
Guai,
invece, ai figli protetti contro ogni evidenza di inadeguatezza, che
vivono su fama e meriti dei genitori.
Di
una cosa sono certo: sarà più facile se decideranno di fare un
lavoro diverso dal mio.
...il nepotismo...
RispondiEliminaun concetto strano, ma non mi è affatto astratto, lo vivo quotidianamente, avendo scelto [!?!] di lavorare con i miei...
al momento credo che l'idea per la quale il figlio del notaio debba divenatre notaio, ed il figlio del muratore manco ci si possa avvicinare, mi pare alquanto lercia...
ma sarà la mia parte "pasionaria" a parlare...
il mondo, si sa, gira così!
È uno schifo tipicamente umano, ma ancor più tipicamente italiano. Io rischiavo di fare l'impiegato di banca come mio padre (!?), mentre se avessi un figlio dopo aver sfondato come scrittore (campacavallo Nick, meriti troppo per farcela in italiA!) rischierebbe di fare lo scrittore anche se analfabestia.
RispondiEliminaUna mia conoscente lombarda è medico e allo stesso tempo ignorante come una capra, ma siccome è figlia di un luminare l'hanno fatta laureare lo stesso. E adesso pratica. Quelli sono c...i amari!
RispondiElimina... mio padre NON ha voluto che imparassi a guidare i treni! E non mi ha paraculato....
RispondiEliminaps. sei tornato da Nesbo? Vaiiii
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