Sabato c'è stato Occhio al Nikio.
Così' tanto diversa dallo scorso anno, così tanto uguale.
È così difficile trovare le parole per descriverla, quasi che la catarsi della lingua scritta non funzioni più o forse, semplicemente, non serva.
Avevamo fatto una scelta, però: chi organizza, gli amici, non avrebbero suonato. Formalmente perché serviva manodopera per cucinare e servire, in realtà perché c'è bisogno di stare uniti, certe volte.
Eppure non si è pianto mai. Fino ad oggi, almeno, quando ho letto questo post qui scritto da Ari, che di Nikio era la moglie.
Non ho pianto ma qualcosa ha lavorato dentro in questi quattro giorni.
La prima è l'orgoglio di fare parte di un grande gruppo. Lo scorso anno siamo partiti con la Folgorante che pareva quasi una stronzata detta così, tra il Lungo il Corto ed il Pacioccone. Me ne assumo la responsabilità: la stronzata l'ho detta io.
Ora però la squadra andrebbe avanti anche se io decidessi di non correre più. E continuerebbero pure in tanti: nove Folgoranti alla Venice Marathon e dieci per la 10 km.
Poi dietro, a sfornare panini, c'erano quasi tutti i miei amici: quelli di sempre, con i quali sono cresciuto, e quelli che si sono aggiunti poi, regalati dalla vita e che, se non ci fossimo di mezzo Silver ed io, non si conoscerebbero. Io sono arrivato tardi, la sera, per problemi di lavoro e li ho trovati lì e mi è sembrato un miracolo.
A metà serata ho addirittura imparato la sacra arte della preparazione della carne per il "panin onto". In sostanza si è trattato di correre dal macellaio per via del fatto che stava finendo tutto il cibo (ma quanta gente è venuta?), saltare di là del banco perché il suddetto macellaio aveva la moglie a casa malata, sbudellare una cinquantina di salsicce, mettere la cartina sotto, polpettina, foglio sopra, pitùn pitùn (vorrebbe essere il suono della pressetta per gli hamburger) per cinquanta volte e di corsa alla festa di nuovo. Ovviamente assieme a chi aveva buttato giù dal letto il casolino per via del pane.
E poi, alla fine, mentre smontavamo il palco, c'erano i figli di tutti noi, in mezzo al campetto da basket, in cerchio a chiacchierare a bassa voce che mancavano due bottiglie di birra e qualcuno che fumasse e parevano quasi già adolescenti, già desiderosi di una lora vita, di un loro spazio senza di noi. Già grandi.
Ecco, invece di immalinconirmi a pensare che il tempo passa, io mi sono sorpreso a pensare che è proprio bello così: avere la fortuna di vederli diventare grandi, di litigare perché faranno sempre più tardi, berranno, fumeranno e ci manderanno a fanculo.
Una fortuna sfacciata.
Questa consapevolezza è l'ultimo regalo del Nikio.
Fate un salto a salutare e a donare da Occhio al Nikio, tra poco metteremo dentro il ricavato della serata ed il portale imploderà
Non dico nulla...bacia se puoi solo Ari da parte mia, anche se non mi conosce...
RispondiEliminaNon mancherà occasione di baciarla. E se vuoi farlo tu stessa, passa sul blog folgorante
EliminaGae, riesci a descrivere la semplicità della vita meglio di un qualsiasi grande scrittore.
RispondiEliminaE fai venire voglia di essere lì con voi.
Sono certo che se abitassi qui saresti dei nostri, vecchio mio. E sabato ti avrei offerto una birra alla fine, ma avevano prosciugato tutto. Tutto sommato meglio che tu non sia venuto, ci facevo anche brutta figura :D
EliminaGrazie Gae, dai che la Folgorante continua e in questo modo continua la storia del Nikio. e grazie dei baci. vi leggo sempre!
RispondiEliminaari
Ecco. Ho appena detto a Beatrix di passare a salutarti su Folgorante Social Club
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