venerdì 21 marzo 2014

Go Down


Bisogna scendere un paio di rampe di scale, che è una cosa strana per andare in piscina. Chi è il genio che l'ha pensata sotterranea? Eppure per me è questa la piscina, quella dove mio padre lavora da sempre, a pochi metri da un fiume che un paio di volte l'anno bussa per entrare a salutare, ogni volta che fuori piove più di tre giorni di fila.
Ci vengo da quando avevo 5 anni, mesi attaccato ad un bordo, terrorizzato.
Ora porto i bambini al giovedì. Tutti e tre assieme, che non sia troppo facile, e non li porterei in altri posti. Vabbè, è chiaro che è la piscina gestita dal nonno, non c'è neppure scelta, ma anche gli aspetti affettivi hanno un loro perché.

Si passa il badge e si scende le scale.
C'è un gruppo di ragazzotti che si cambia e fa anche un po' di confusione: hanno gli occhi a mandorla e parlano in modo un pelino gutturale.
All'inizio la Triplice Alleanza restava imparpagliata a fissarli. Ora non ci fanno più caso o per lo meno hanno imparato a farci caso senza immobilizzarsi.

Io lo dico: li capisco perché a me la disabilità mette paura. Nessuna esclusione. Ancora adesso, anche se ci lavoro con le persone con disabilità, da un quarto di secolo, ormai.
Si, mi fa paura anche la sindrome di Down, quella dei Bambini Down. Una volta si usava chiamarli “Bambinodown”. Diossignore, per fortuna almeno questa è scomparsa dall'uso comune!
E non è vero che sono simpatici, che sono dolci e che sono affettuosi.
Il primo pugno da un ragazzo con la sindrome di Down me lo sono preso quando ancora insegnavo nuoto: seguivo in lezione individuale un ragazzo più o meno della mia età, una ventina d'anni. Lui era bravo a nuotare e non serviva più la lezione individuale.
Volevo inserirlo nel gruppo delle persone “normali”. Ho insistito e mi sono beccato un uppercut. La settimana dopo il padre mi disse che gli sarebbe piaciuto iniziare a nuotare. Quando gli ho presentato l'istruttrice e i compagni di corso si è ritirato. Voleva anche lui la lezione individuale con il figlio. Voglio dire: non era il 3° cromosoma della coppia 21 a fare del ragazzo un introverso ma tutti gli altri 46.
Negli anni ho capito che è su quei 46 che bisogna lavorare lasciando il 47° al suo destino.

Infatti, ragionandoci, anche io scopro che non è la menomazione che mi fa paura. A me fa paura la gente. Io sono una persona molto schiva, non attacco bottone in autobus, non mi relaziono con i vicini di appartamento al mare, non organizzo le rimpatriate dei compagni del liceo. Se uno mi parla in treno mi infastidisco, penso che sia uno di quelli che ti pezza fino alla stazione di arrivo e poi ti segue in bagno.
Anche io incolpo il 47° cromosoma di altri di una cosa che dipende dal mio corredo genetico, dal mio essere un po' orso.

I miei figli sono timidi come me ma lo sono con tutti e quando si mollano si mollano con tutti. C'è N. che viene al coro che li fa ridere come li zii e loro dicono solo “è matto, N”.
Non hanno pregiudizi e non discriminano. 

Tra i ragazzi della piscina c'è anche R, che nuotava con me quando eravamo giovani. Lui aveva partecipato anche alle Special Olympics di Atlanta e aveva vinto una medaglia. È ingrassato fuor di misura e quasi non lo riconoscevo. 
Temo che abbia pensato la stessa cosa di me.  

Oggi è la giornata mondiale della Sindrome di Down, ieri in piscina ho spiegato ai bimbi che non è contagiosa e che ci vuole un po' di pazienza per spiegargli le cose ma per il resto non c'è nulla di particolare da sapere.
Che se bisogna fare tutto sto casino, al giovedì, per imparare a galleggiare solo in acqua, sarebbe tempo perso. 

21 commenti:

  1. Bello questo tuo post. Apre il cuore e la mente, perché parla di quotidianità.

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    1. Grazie, si, fortunatamente è un universo che vivo e posso parlarne senza paura di sembrare retorico

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  2. Molto onesto, soprattutto detto da chi sa bene di cosa parla.
    E sono d'accordo con te, sono sempre i soliti 46 cromosomi che fanno la differenza.

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  3. In questo periodo hai la penna particolarmente intensa. Continua così.

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    1. È il mondo attorno che detta le occasioni... grazie.

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  4. Veramente un bel post Gae, però non ti facevo timido, proprio no.

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  5. Davvero belle e condivisibili le tue riflessioni, anche se le capisci davvero solo con l'esperienza diretta credo. Grazie per averla condivisa e per l'onestà con cui hai scritto.

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    1. Io sono facilitato perché lavorandoci mi devo interrogare. Se non fossi costretto a farlo forse, semplicemente, chiuderei. Forse.

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  6. Sei davvero in uno stato di grazia, ultimamente. Grazie per questo post, Buson.

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    1. Come dicevo a Ford è uno stato di grazia che deriva dagli stimoli del mondo esterno. Se non si stanca lui non mollo neppure io.

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  7. Anch'io ci lavoro tutti i giorni con adulti diversamente abili, adesso si dice così come se questo cambiasse le cose, e sono perfettamente d'accordo con te che bisogna lavorare sui 46 cromosomi "normali" e su di una buona educazione generale!

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    1. Io non userò mai la parola diversamente abili. Mi sembra una presa in giro. Poi sono anche un po' rigido ;)

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  8. Un argomento che mi tocca il cuore (ho lavorato un anno in una cooperativa di disabili) e che tu hai trattato con semplicità e intelligenza. Il post mi è piaciuto davvero molto. Grazie.
    PS: condividiamo un passato da nuotatori,mi par di capire... :)

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    1. Si, passato, purtroppo. Anche se appena posso due vasche le butto giù sempre volentieri.

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  9. Sono venuta a rileggermelo, Gae. Ma ne avevo proprio bisogno, oggi :)
    Potrebbe essere così ovunque, fuori dai pregiudizi.
    Si potrebbe guardare la realtà, parlare schietto di paura e parlarne con rispetto, senza far tanta caciara.
    Ma non è così. Insomma, quando ti leggo, sono in vacanza nella mia oasi. :)

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    1. Guarda, se ti leggessi il biglietto che mi è arrivato dall'Asilo, condivideremo anche la pelle d'oca... Passa quando vuoi, la porta è sempre aperta.

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  10. ciao ho " rubato" una tua frase ....ma ho messo l'autore!!

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