Ci sono foto che puoi mettere solo sul blog. A cos'altro può servire un controluce del genere?
Eppure mi piace un sacco: Ci sono tutti e tre i marmocchi (come si dirà tutti e tre? Entrembi?) al calduccio della sala che guardano il nonno che mette i mutandoni all'ulivo, perchè non soffra del freddo dell'inverno.
Ed è un po' l'emblema della nostra fine anno.
È la seconda sgresenda sotto la pelle: la casa provvisoria che ci da riparo per l'inverno (Il nonno è così bravo e generoso che, in qualche modo, ha messo i mutandoni anche a noi)
venerdì 30 dicembre 2011
mercoledì 28 dicembre 2011
Sgresende
Si, avevo detto che non scrivevo più niente sul dialetto.
Ed infatti non lo farò.
Qualche parola scappa, però. E, cercando un titolo per il bilancio di fine anno, non mi veniva nulla di più originale che il corrispettivo veneto di schegge, frammenti (di legno, di solito)
Non è solo quello, però (come sempre l'italiano è limitato). La sgresenda diventa tale quando ti si conficca sotto la pelle, fastidiosa, e lì ci rimane, cambiando, in qualche modo, il tuo stato.
È un po' come ciò che viviamo, ci resta dentro, e anche se proviamo a rimuoverlo, rimane sempre una cicatrice, per quanto piccola.
Non so quante sgresende sarò in grado di proporre, del mio 2011.
È stato un anno che definire movimentato è dir poco.
Oggi inizio da questa foto: Mari-chan che guarda il mare in una giornata un po' fredda. Il mare è mosso, si, ma non ci sono nubi. Il passo è incerto sulla sabbia, ma c'è la mamma che la sostiene. Con l'augurio che il 2012 sia così per tutti voi che mi onorate della vostra lettura: mosso, ma sereno. E con una mano che sappia sorreggervi quando serve.
Ed infatti non lo farò.
Qualche parola scappa, però. E, cercando un titolo per il bilancio di fine anno, non mi veniva nulla di più originale che il corrispettivo veneto di schegge, frammenti (di legno, di solito)
Non è solo quello, però (come sempre l'italiano è limitato). La sgresenda diventa tale quando ti si conficca sotto la pelle, fastidiosa, e lì ci rimane, cambiando, in qualche modo, il tuo stato.
È un po' come ciò che viviamo, ci resta dentro, e anche se proviamo a rimuoverlo, rimane sempre una cicatrice, per quanto piccola.
Non so quante sgresende sarò in grado di proporre, del mio 2011.
È stato un anno che definire movimentato è dir poco.
Oggi inizio da questa foto: Mari-chan che guarda il mare in una giornata un po' fredda. Il mare è mosso, si, ma non ci sono nubi. Il passo è incerto sulla sabbia, ma c'è la mamma che la sostiene. Con l'augurio che il 2012 sia così per tutti voi che mi onorate della vostra lettura: mosso, ma sereno. E con una mano che sappia sorreggervi quando serve.
giovedì 22 dicembre 2011
L'Asilopanettone
-->
Non ho nessuna intenzione di fare la
trilogia di Natale. Non volevo nemmeno fare la bilogia (si potrà
dire bi-logia?)
Però non posso esimermi da lasciare
due righe per i posteri (o per i postumi o per i posteriori) a
riguardo dell'evento, che sta proprio a mezza via tra lo spettacolo e
lo scempio, che, in modo quasi universale, coinvolge gran parte della
popolazione occidentale.
Come dite? Lo shopping di massa? No! Il
Telethon? No! Il Cinepanettone? No (anche se come scempio...)
La Recita di Natale dell'asilo.
È una pena, diciamocelo. Basta con
questo conformismo perbenista, catto-catechista,
domocristian-buonista. Quando Dio ha cacciato Adamo ed Eva dal
giardino dell'Eden non doveva limitarsi a dire: “partorirai con
dolore”. Troppo facile! Doveva specificare le postille: “Per
tutta la durata del Nido e della scuola materna dovrai sorbirti le
recite di Natale”.
Il setting ha il suo peso, ad onor del vero: lo
spettacolo va in scena in un palazzetto dove giocano a Hokey a
rotelle. Quindi tra te e i piccoli che recitano c'è anche la rete di
protezione. Vedi tuo figlio a scacchi.
Il palazzetto è grande. Se i bimbi
parlano non si sente, se cantano si sente poco. Se serve la base, la
base supera le voci.
Servirebbe un teatro, ma il teatro non
c'è.
Ma le maestre sono i gamba e non si
perdono d'animo, sempre pronte, come sono, a valorizzare le qualità
nascoste di ciascuno; prendono le due colleghe con il culo più bello
e le incaricano di fare da guida ai bimbi dentro il campo da gioco.
Queste stanno tutto il tempo accovacciate schiena al pubblico, per
riuscire a parlare con i bimbi, ad imbeccarli nelle canzoni, a
suggerire i passi.
Se le voci non si sentono pazienza,
mettono la musica originale sotto, a tutto volume. I bimbi
praticamente cantano in playback.
Penoso? Beh... si, un po' si!
Quest'anno però hanno cambiato il
canovaccio. La solita storia del mistero di Maria incinta eccetera
eccetera era un po' muffita, dopo 10 anni di utilizzo. (Perfino i
papà iniziavano ad avere qualche dejavu dopo tre o quattro anni di
visione)
Sono passati ad una composizione tipo
art attak: ogni classe entrava, cantava e mimava una canzone, metteva
un pezzo della composizione (alla fine era un presepio+albero di
natale) e si fermava sullo sfondo, in attesa della canzone finale.
Mari-chan*, che con i bimbi più
grandicelli del nido doveva portare a Gesù qualcosa per farlo
dormire sereno, dopo la canzone, ha lasciato la sua amata “copetina”
(copertina) sotto al bambinello.
Non propriamente commovente, ma carino,
dai. Anche perchè è durato mezz'ora. Se superava i 45 minuti avevo
già pronti i fogli di raccolta firme per l'abolizione dello
spettacolo.
* (per me è stata la migliore, non sto nemmeno qui a specificarlo)
** non posterò più nulla almeno fino al 27, se non ci si dovesse vedere di persona o in blog di altri, tanti auguri a tutti
* (per me è stata la migliore, non sto nemmeno qui a specificarlo)
** non posterò più nulla almeno fino al 27, se non ci si dovesse vedere di persona o in blog di altri, tanti auguri a tutti
martedì 20 dicembre 2011
Ecco la stalla di Greccio col lupo mannaro, i puffi e le drag che accorrono già (un presepe un po' così)
Ed eccoci all'attesissimo appuntamento con il presepe a misura di bambino home made.
Anche prima della prolificazione a casa
nostra è sempre funzionato così: l'albero lo fa Silver e lo
gestisce con classe ed eleganza. Ha palle e nastri rigorosamente solo
arancioni e gialli (che richiamano un po' i colori della casa) le
lucine piccole ed è bellissimo, unico. Il presepe è affar mio e ci
metto di tutto: il puffo chitarrista, Gargamella trovato nelle
merendine, la statuina di terracotta de “El Mariachi” regalata a
Silver nel '99 di ritorno da Barcelona, la bamboletta andalusa
(regalo dei nonni), le divinità tribali propiziatrici della
fertilità che c'ha regalato un missionario quando siamo stati in
Sierra Leone (diobon se funzionano!), un soldato romano che sembra
una drag-queen, la bandiera della pace e quella del “No Dal Molin”
che dice: mio figlio non crescerà in una base militare. E anche
questo è bellissimo, unico.
Servono:
- un rotolo di carta crespa
- le statuine (almeno le tre principali): come quali? Gesù bambino, la pecorella e il cane lupo
- Raccattate casa-casa (come dicono i siciliani) qualsiasi elemento vagamente antropomorfo che sia composto da materiale infrangibile. (Ah, Silver, che nostalgia per quelle meravigliose statuine di ceramica decorate a mano che comprammo in saldo il primo S.Stefano che passammo da sposati)
- Un ripiano ad altezza di 46,38 cm esatti (non è vero, basta un ripiano qualsiasi, è che nelle istruzioni del bricolage mettono sempre queste misura idiote e mi sono fatto prendere la mano)
Ok. Avete tutto.
Date lo sfratto esecutivo ai precedenti
abitanti del ripiano.
Stendete la carte crespa in modo molto
naturale affinchè dia l'idea delle montagne. Fissatela con il
biadesivo (cazzo non ce l'ho, arrangiatevi con la carta-schotch).
Mettete la Sacra Famiglia in un posto strategico: visibile da
lontano, facilmente raggiungibile, ampio parcheggio, convenienza.
Disponete a piacere le statuine.
Salutatelo, tanto sarà l'ultima volta
che vedete il presepe in condizione decente. Lasciatelo in balia dei
pupi.
Poi decidete il nome della vostra composizione.
Qualche suggerimento: “Gesù nasce a
Mururoa”, “Gesù tra i davidiani di Waco” o “Anche Gesù è
un haitiano”.
Un po' cinico? Forse si. Ma è un modo
per dire che Gesù arriva per tutti ma, e lo dico da cattolico, fa
anche lui quello che può di fronte all'immensità della stupidità
umana. E poi lui lo sa che mi piace fare il cazzone. È l'unico modo
che mi riesce bene.
Buon Natale a tutti
I superstiti tentano la ricostruzione dopo il passaggio dell'uragano Prole
p.s. Procuratevi, se riuscite, più
oggetti simili, soprattutto quelli che vanno per la maggiore (il
cane, gesù bambino, le pecore). Perchè sennò i piccoli se li
litigano tra loro fino allo sfinimento.
venerdì 16 dicembre 2011
Because the pranaunsescion iz verry importantt
(così diceva la prof d'inglese al liceo)
Ed eccoci al secondo, attesissimo
sequel di Post in Traslation. Come tutti i secondi capitoli avrà
molta fortuna al botteghino e sarà stroncato dalla critica. Per
questo sarà l'ultimo della serie. Se la produzione vorrà andare
avanti dovrà farlo senza di me.
Se vi state chiedendo se sto uscendo di
testa la risposta è no. Sono già uscito da un po'. E ho lasciato
dentro le chiavi.
Ma veniamo a noi.
La cosa più divertente che ti può
capitare approcciando un veneto è farlo parlare in italiano. Come
dicevo parliamo praticamente tutti in dialetto e siamo convinti che
tutte le parole che usiamo appartengano solo al nostro vocabolario.
Per cui, quando abbiamo a che fare coi “foresti” traduciamo tutto.
Anche parole che, inconsapevolmente, diciamo già in italiano.
Alcuni esempi:
La segretaria di mio cognato che lavora
nei trasporti:”Si si, non si preoccupi, i nostri camion montano
anche i cazzoni da 12 metri” (trad. da cassoni)
“Abito sui monti Rotoloni” (loc.
geografica. Rugoloni)
“Con questo caldo ci vorrebbe un
bigolo di aria” (trad. on filo de aria)
Oppure non ci viene la parola e ci si
lancia sul neologismo
Mia mamma: “Guarda Moe, il camion
delle scopazze” (le Scoasse sono la spazzatura)
Mio suocero:”Mi sono dismenticato di
chiederti una cosa” (dismentegà significa dimenticato)
Oppure non le pronunciamo bene.
Ad esempio la “z” finisce sempre
per assomigliare alla “s” (quella di Josè, per capirci). Per cui
“Lo Zelo” diventa “Lo selo”. Solo che “l'oselo” è
l'uccello, e l'uccello sapete tutti cos'è. È celebre l'episodio
della messa di Natale dove la prima lettura si chiude con “tutto
questo farà lo selo del Signore”.
Ma ancora meglio sono i plurali delle
parole di origine straniera.
Provate ad indovinare il singolare di
queste parole espresse al plurale:
naili, camii, yoghi, moniti, computi
martedì 13 dicembre 2011
Post in translation (1)
tanto par essare ciari: dire de
essare veneti e de parlare veneto e de essare contenti de farlo non
vol dire essare leghisti.
tred.
(disclaimer: essere veneti, parlare
veneto ed esserne fieri non ha nulla a che vedere con l'essere
leghisti)
Che sono veneto penso si fosse capito.
In realtà la mia venetezza o venetitudine è parecchio mitigata
dalla parola scritta che risparmia all'interlocutore per lo meno
l'accento (che credo si senta in modo deciso) e le scivolate sulle
bucce di banana dialettali che, quando parlo, escono ogni tre parole:
sole, cuore e amore tanta bona gente .*
Di solito per trovare la frase
corrispondente in italiano è sufficiente che mi fermi un attimo,
faccia un bel respiro, giro su me stesso, ancora, mi tocco i piedi
con le mani, gambe belle dritte e voilà.
Non sempre però esiste una
corrispondenza. Alcuni concetti sono davvero intraducibili ed un
peccato non poterli trasmettere.
Il veneto è una lingua viva (ci sono
differenze di pronuncia e anche di termini anche solo a pochi km di
distanza), solo orale (alcuni suoni sono impossibili da riportare e
comunque non sono codificati) ma soprattutto, ed è qui che la
vicenda diventa drammatica per i foresti (quelli da fuori),
parlata praticamente da tutti (da molti anche esclusivamente). Qui riusciamo a fare un incontro con il direttore delle Ulss, i sindaci e i medici di base, tutta in dialetto.
Ma ora veniamo a noi: in futuro potrei
non riuscire sempre a concentrarmi e tradurre per bene i concetti.
Per cui riporto alcune espressioni che potrebbero ricorrere nei
futuri post. Intanto qualcuna, poi in futuro, magari se mi ricordo,
integro. O forse faccio una pagina a se.
Iniziamo dai classici:
Mona: letteralmente
significa vagina. Viene usato anche come sinonimo di tonto o cretino.
Famosa la canzone dei Pitura Freska: “So
mato par la mona pi mato dei cavai”
Casso: lett.
pene. È però un tipico intercalare delle persone anziane che ormai
ha perso la connotazione volgare. I miei nonni lo dicevano
spessissimo ed ho scoperto solo da grande la correlazione con il
“cugino” italiano.
Smonamento o esare smonà: tipo esempio di parola transgender: basta
cambiare il sesso... Scazzo, essere scazzati
Boresso (essere imboressà):
euforia incontrollata tipica dei bambini ma non esclusivamente.
Cueo: è
facile = culo. Però è per far capire la pronuncia: la “e” è un
po' l ed un po' assente. Chiaro no?
Puteo: bambino
piccolo
Tosi: ragazzini,
ragazzi. Tosetti è sinonimo di putei
Vecio: vecchio,
usato anche per chiamare un amico con cui si è in confidenza “Ciò,
vecio”
Pare: Padre
Mare: Madre.
Legati a questi ultimi due ci sono delle “frasi fatte”
carinissime che riporto: “la roja de to mare, el beco de to pare”
Roja: (la
J si legge come la i). Femmina del maiale (che si dice mas-cio)
Becco: Stambecco,
caprone, animale con le corna (come to “pare”)
Per
il momento è tutto gente.
* (è un gioco di parole veneto
che parte dal fatto che “a more” significa muore. “a” serve a
sottolineare la fatalità)
venerdì 9 dicembre 2011
Passaggi di tempo
"Sono state giornate furibonde, senza atti
d'amore, senza calma di vento. Solo passaggi e passaggi, passaggi di
tempo".
Questa frase mi viene in mente ogni
volta che il momento è malinconico, sospeso tra i sentimenti, in attesa. Chissà perchè?
È cominciato nel 2003, sull'altopiano della Meseta, in Castilla Y Leon,
nel bel mezzo del Camino de Santiago. Ero in bici, a dir la verità,
ed ero in un momento un po' così. Ero lì, ad una certa distanza dai
compagni di viaggio, in mezzo a tutto quel grano giallo con nulla
all'orizzonte, sia visivo che personale. Solo cielo, campi e un po' di terra tra i raggi a complicare le cose.
E ad un certo punto, dagli
spifferi del mio filtro razionale, si insinua Anime Salve, in quella
frase lì, dove la voce di De Andrè si scambia con quella di
Fossati... Il resto del pezzo non me lo ricordo. Ripeto all'infinito
quella frase, a mente, e poi le cornamuse che suonano all'impazzata.
Che poi le trovi in Galizia, qualche chilometro più in su, le
cornamuse degli artisti di strada che ti accolgono nelle piazze.
Ed è tornata ancora oggi. Saranno i
nuvoloni, che sono lì a minacciare il cantiere della casa che
finalmente è ripartito. Sarà il week end di fuoco che ci attende, sarà il Natale alle porte che mai come quest'anno ha avuto bisogno
di valori veri.
Sarà la paura per il futuro. Quello dei bimbi
soprattutto: che stiano bene, che non si perdano, che possano essere
fieri di ciò che saranno, felici delle scelte dei genitori,
magnanimi, magari, per quelle meno fortunate. Io, al momento, di
sperare nel futuro non ho proprio l'esigenza. Sto proprio a posto
così.
"mi sono guardato piangere in uno specchio di neve, mi sono visto che ridevo, mi sono visto di spalle che partivo....."
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martedì 6 dicembre 2011
Pissina
Sono stato via per un po'. Con la testa
per la precisione. Mi sono dedicato ad altro... vediamo se
indovinate. No, dai, lo dico io. Ho fatto il papà. Ma che notizia
inaspettata. Ho anche lavorato. Sono andato per due giorni di fila in
spedizione in provincia di Treviso. Sono di quei giorni belli, in cui
il viaggio in pulmino diventa l'occasione per parlare col collega, in
cui puoi sentire gente che parla in convegni interessanti, trovare le angolature per
appisolarti senza farti notare dal relatore, razziare buffet che manco i
Lanzichenecchi, a sparare cazzate a raffica, e tornare a casa stanchi
ma felici (come si scriveva nei temi delle elementari).
Comunque no
internet per quasi 4 giorni di fila.
Dicevo il papà, però. Abbiamo preso
una di quelle decisioni di cui, credo, ci pentiremo, ma l'abbiamo
presa lo stesso. Abbiamo iscritto Mari-chan al corso nuoto. Ci
pentiremo perchè presuppone una certa elasticità organizzativa e Silver, che odia l'acqua e senza occhiali non ci vede, deve starsene
a casa con i piccolini ed è sicuramente meno affascinante come
prospettiva.
Fatto sta che Mari-chan è felicissima. Un mesetto fa
eravamo passati a salutare il nonno (che gestisce la piscina assieme
a mia sorella) e ne era rimasta incantata. Coredemamma e coredepapà!
Che si fa a sti figlioli? Li s'accontenta! (oddio, l'altra sera non
facevano un cazzo in tv e mi sono sorbito, nel dormiveglia, il finale
di un film di Pieraccioni, vedi il subliminale).
Comunque iniziamo con Ruggi, il
maestro. Bravissimo, non c'è che dire. Gli ho insegnato io a nuotare
a Ruggi 5 10 quasi 20 anni fa. Ecco: c'ho un età che uno dei miei
primi allievi insegna a mia figlia a nuotare. Fa strano*.
Tutti in acqua con il/la pargolo/a. La
piscina è in centro città, la gente è tutta “alta sullo
cavallo”** e un po' se la tira. Praticamente solo papà. Ad un certo
punto arriva uno con il mutino da sub. Ma te prego!
Io non li tollero quelli che si mettono
il mutino in piscina. Passi l'istruttore che deve farsi ore in acqua
(che però indirettamente fai capire alle mamme che l'acqua è fredda
e non è carino).
Ma un papà? Maddai! Massù!
O forse la mia è solo invidia. Con il
mutino penso che potrei sembrare un cotecchino e, visto che Natale è
prossimo, non è proprio il caso.
* Fa sentire vecchio
**(in dialetto Veneto una persona che
si dà arie da signore è definita “alta de cava'eo” che
letteralmente si tradurrebbe “alta di cavallo” dove il cavallo è
quello dei pantaloni... l'etimologia è sconosciuta. Il prossimo post lo dedico ai castroni nelle traduzioni dialetto-italiano)
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