venerdì 28 novembre 2014

Paternità for dummies: padri soli con i figli

Affermo da sempre che il padre che se la tira perché da una mano in caso ha rotto le balle. No, piano, non sto dicendo che deve smettere di accudire i figli, lavarli, preparare la cena... sto dicendo che deve smetterla di tirarsela.
Perché? Perché non fa null'altro che il suo dovere, con buona pace dell'indotto dell'osteria che ci perde gran parte degli avventori. Al limite fate a cambi, mandate una sera si ed una no le mogli a farsi lo spritz. Se volete renderla ancora più pepata, non stabilite in anticipo le serate per uomini o per donne. Ma non degeneriamo.
Pare però che questa mia idea non faccia breccia.
No, non quella dello spritz a sere alterne. 
Quella del padre che se la tira per niente.
Io ho i miei problemi già in famiglia, dove non c'è verso che mia suocera si metta in testa che al sabato sono perfettamente in grado di arrangiami se Silver non c'è.
Silver te li ha lavati?”
Silver ti ha preparato qualcosa per pranzo?”
Silver ti ha preparato qualcosa per vestirli?”
E tutto questo mentre ci sono io che sto facendo tutte queste cose. Capite? È una sorta di rimozione visiva: io vedo ma non voglio vedere. 
 
Così ho pensato: "magari sbaglio io? Forse sono io do tutto per scontato".
E allora diamo alcuni pratici consigli ai padri per sopravvivere a casa senza moglie e vivere felici.
Volevo fare un bel elenco ma preferisco sviluppare bene il tema, mettendolo a puntate (l'ho pensato mentre scrivevo la riga sopra, poi uno dice che non so pianificare).
Prima puntata: il babysitting informale.
Cari padri, dovete pulire casa, cucinare, chattare con l'amante e/o controllare i risultati del Totip sullo smartphone e i pargoli non si schiodano dal vostro polpaccio, continuano a frignare e non c'è verso che vi tempestino di domande sulla vita (tipicamente sulla vita di Peppa Pig o degli Avengers)?
Prima baby-sitter: la TV. Si ok, adesso fatemi il predicozzo che la tv li rende passivi bla bla bla bla.
Mica la devono guardare tutto il giorno. Un'oretta, il tempo di finire di trovare il giusto verso del lenzuolo con gli angoli da mettere sul materasso.
Magari nascondete la collezione di DVD di Edvige Fenech, che già verso i tre anni iniziano a capire come far partire un lettore.
Seconda babysitter: la Vasca da bagno. La riempite bene bene di acqua caldina (non bollente; se dopo qualche minuto li trovate rossicci meglio che li tirate fuori o fate correre un po' di acqua fredda. Lessi vengono stopacciosi, ascoltate me che sono comunista. 
La tecnica della vasca da bagno è eccezionale se avete almeno due figli. Se ne avete solo uno provate ma così ad occhio e croce dovrebbe garantirvi minore autonomia.
Non mettete troppa acqua ed abbondate di schiuma. Così sono anche meno a rischio di annegare.
Logicamente non dovete proporla se hanno meno di due anni.
Accertatevi dell'età di vostro figlio. Se nei paraggi non c'è nessuno che può fugari i vostri dubbi, sicuramente vostra moglie tiene le tessere sanitarie in un cassetto o in una mensola. Di solito è assieme alle tessere elettorali.
Se non avete neppure idea di dove siano le tessere elettorali cercate in casa un cassetto di cui ignoravate l'esistenza. È probabile che siano lì.

mercoledì 26 novembre 2014

Il giorno della violenza

Bene, oggi che si fa?
Si rimette la foto profilo dell'altro giorno, quella in costume da bagno, o meglio cercare qualche cosa di un po' più recente?
Perché, in effetti, il freddo che finalmente è arrivato non è che ispiri molto i ricordi del mare.
Visto che dobbiamo fare la fatica, facciamoci un bel selfie.
Poi ieri era la giornata della violenza sulla donna. Contro la violenza sulla donna, ad essere precisi. Mica tutti lo sono.
Ricordo un prete, anni fa, che nella notte di Pasqua lesse tutte le invocazioni e ad un certo punto, con la tipica cantilena da messa solenne è partito con: "Per la droga, il sesso sfrenato e la corruzione, noi ti preghiaaaamoooo!!!"
Chissà se intendeva pregare a favore o contro. O forse l'ha volutamente lasciata aperta, in modo che tutti potessero pregare per quello a cui tenevano di più.
Va ben.
Ieri era la giornata contro la violenza sulle donne: tutti a condividere link a tema (pure io, eh? Che non mi si tacci di snobbismo), a mettere scarpette rosse sul profilo Instagram, a citare Alda Merini, eccetera.
E oggi?
Ne parleremo ancora oggi?
Ieri, avendo io un gene di bastiancontrario, recessivo per carità (dovreste conoscere alcuni dei miei, mammasanta!) ma ogni tanto anche il pisello liscio di Mendel si ruga, mi veniva da scazzarmi un po' con le colleghe.
"Scusatemi, esordii, vituperate tanto, e giustamente, il termine femminicidio, che pare un omicidio di serie b, e poi tutti a fare un gran parlare della violenza specifica sulla donna".
"Perché se parliamo di violenza in genere alle donne non ci pensa nessuno" mi hanno risposto.
Ed hanno ragione, ahimè!
Ma la cosa che più mi ha fatto star male è un intervista che ho sentito al radio-giornale: "Le donne subiscono violenza perché provocano". Detto da donna.
OH! MY! GOD!
Ho riattaccato le balle con il biadesivo e mi sono tornate in mente alcune amiche, quelle che pensano che la donna debba necessariamente concedersi al marito (sennò la tradisce), quelle che ostinatamente pensano che ci sono ruoli ben definiti (che da lì a pensare che è legittimo prenderle il passo è lungo ma la strada e la direzione è pur la stessa), quelle che giudicano le altre se fanno diversamente: da quanto lavorano, da come si vestono, dalle idee che esprimono.
È una battaglia culturale che si gioca, purtroppo, ancora tanto, troppo, dentro lo stesso genere femminile.
È una guerra civile culturale.
Non sto dicendo che i maschi sono esclusi da questa lotta. Solo continua ad illudermi che le donne siano più avanti, abbiano più risorse. E poi il cambiamento parte sempre da dentro (non ricordo chi l'ha detto ma passatemela).
Invece, nei momenti di sconforto, mi pare che l'unica parità che ci concediamo sia quella di nuotare tutti nella stessa miseria.
Poi ci sono le belle notizie: questo post qui, scritto su genitoricrescono lo scorso anno, viene visualizzato da migliaia di persone.
Allora forse possiamo farcela. Sarà una corsa lunga, ma a noi le corse lunghe non spaventano. Non più.

ps. già ce siete su genitoricrescono, date un occhiata, se vi va, pure alla piccola recensione che ho fatto de "Lo zaino di Emma" di Martina Fuga. Vi direi di che si tratta, ma poi non la andate a leggere. Bastardo, vero?

giovedì 20 novembre 2014

Il giro di Do (di stomaco)

Ieri sentivo una gag su un programma radio che parlava del "giro di Do".
Chiunque sappia strimpellare quattro accordi, sicuramente sa cos'è il "giro di Do", semplicemente perché è la prima cosa che ti insegnano quando ti mettono in mano la chitarra.
Almeno una volta era la prima cosa che ti insegnavano.
Il fatto che una quantità smodata dei brani '60, '70 sia costruita sul giro di Do, fa pensare che molti musicisti pop e rock di quegli anni non fosse andata molto oltre le prime lezioni di chitarra. Altro che X-Factor.
Ma non divaghiamo!
La gag radiofonica, per l'appunto, asseriva che il giro di Do sia adattabile ad ogni canzone. Ben di più, rilancio io: è adattabile a qualsiasi situazione della vita.
Infatti, appena arrivato a casa, trovo Silver e Jack in piena crisi gastrica.
Nel week end era toccato a Pee e la settimana prima a Mary.
Proprio un giro, insomma. Il famoso giro di Do di stomaco.
Con i tempi che corrono, stressati al bisogno (in veneto "al bisogno" significa "quanto basta" o anche "tanto") un giorno di malattia non è neppure visto male, dalle nostre parti. Quasi come un giorno di ferie. Tanto che ci si prende proprio ferie, nella maggioranza dei casi, perché l'influenza dura giusto un giorno e mezzo, ma se vai dal medico ti lascia a casa fino a Natale e non è proprio il caso.
A casa nostra ci siamo sempre malati poco, a dire il vero ma vale comunque la pena avere alcuni accorgimenti.
Se avete figli, cercate di ammalarvi quando è passata a loro. La pace della casa, il silenzio che di solito non c'è, è particolarmente apprezzabile.
Silver su questo è un disastro e becca sempre la simultanea con uno o più figli. E non sono mica di quelli sempre a casa con la febbre, eh? Uno o due giorni massimo all'anno.
Forse non dovrei scriverlo che pare che me la voglio chiamare.
Io invece sono un grandissimo paraculo: da quando ho figli mi sono malato due volte, sempre in solitaria.
Un'occasione unica di riassaporare la pizza pasta in bianco sul divano, con dvd impegnato tamarro, in mutande con copertina sulle gambe.
Insomma a finire il giro manco solo io.
A questo punto potrei farmi un week end di merda (di solito a me prende di là) oppure tener duro (è proprio il caso di dirlo) fino a domenica e cedere lunedì, giorno di solito bello pieno, al lavoro.
E allora si che sarebbe un capolavoro, come Stand by me, Il cielo in una stanza e Grazie Roma.

mercoledì 19 novembre 2014

Krav Maga


L'ultimo post sulla pianificazione di una Ultramaratona ha scatenato l'ilarità dei fans. 
Vabbè, non è che fossero proprio fans, più che altro sono gli amici d'infanzia che dubitano della sanità mentale mia e di mio fratello in particolare. 
Che poi, io lo dico, mio fratello è il più grande maratoneta e futuro ultratrailer scarso che io abbia mai conosciuto. 
Che a tener duro essendo forti, avendo record da battere, sono buoni tutti. Provate voi ad allenarvi ostinatamente poco e male, non calare di un etto, sapere che si resterà soli, a soffrire, andando incontro a fatiche impressionanti con il sorriso sulle labbra (o vestendosi da 'mbescilli) come lui. 
Non si riesce ad andare più veloci? Andremo più lontano. 
Senza metodo, al punto che vuole scriverlo lui il suo. Un metodo non metodo. 
Un po', citando mio figlio, come l'Isola che non c'è, che c'è, però si chiama isola che non c'è. 
Il suo metodo avrà successo. La summa teologica del "se ce l'ha fatta lui" 

Ma non è delle virtù, del pur virtuoso fratello, che volevo parlare. 
Volevo dire che non è tanto il caso di cacare il cats con il fatto che facciamo cose estreme e siamo pazzi. 
Non siamo soli, e neppure i peggiori. 
Voi, ad esempio, senza gugolare, sapreste dirmi cos'è il Krav Maga? 
Ah, no? 
Beh, state sereni, si vive lo stesso. Sempre che non litighiate con qualcuno che pratica il Krav Maga. 
Io l'ho scoperto da uno di loro (fortunatamente senza litigarci): un patatone piuttosto ben piantato, body builder, persona tranquilla e simpatica, mi dice che non può più fare a meno del suo allenamento settimanale di Krav Maga. 
Trattasi di disciplina (?) di autodifesa ideata da un ufficiale dell'esercito israeliano (certamente non noto per le missioni di pace, ammesso che questa locuzione abbia un senso). 
"Non è mica nulla di che, non ci sono tutte le implicazioni filosofiche che trovi nelle arti marziali orientali". 
Ah, beh!
"Serve ad imparare a difendersi nel modo più veloce ed efficace possibile, al limite strappando un bulbo oculare, evirando o uccidendo l'avversario. 
Chiaramente queste cose non è che te le fanno fare in allenamento". 

Ok, anche gli istruttori di Krav Maga devono pur mangiare, uccidere o accecare i giovani padawan non è una mossa commercialmente intelligente, evidentemente. 
"Anche alla figlia, che studia a Vicenza e deve attraversare Campo Marzo, con tutta quella brutta gente, l'ho detto: vieni ad un paio di lezioni, ti insegnano ad usare un pettine come un coltello..." 
La figlia ha detto no. Strano, non credete? 
I figli adolescenti non c'è modo che facciano quello che gli dici. 
Va ben, com'è come non è, mi dice che ad un seminario con un colonnello donna del Mossad, lo hanno incappucciato con un sacco di nylon e lui doveva liberarsi prima di soffocare. 
"Mamma quante pache!" Diceva ridendo. 
"E non sai quante volte, il giorno dopo, devo andare al pronto soccorso". 
Mai più senza. 
Cosa dite? Continuo a correre o mi converto al Krav Maga? 

lunedì 17 novembre 2014

Ultra!

"Papi, ma perché vuoi fare una corsa ancora più lunga se poi ti fai male alle unghie?"
Questo il commento di Jack, quello più fifone del gruppo, alla notizia che il prossimo obiettivo non è una maratona ma è un ultratrail.
Ora, parlando di corsa, qualsiasi cosa che inizi con Ultra, significa che è più lungo del fatidico 42,195 della Maratona.
Parentesi: sarà che io di sport ne ho sempre visto tantissimo in tv, ma mi ha stupito che in giro ci sia così tanta gente che pensa che le maratone abbiano distanze diverse a seconda di dove le si corre. Chiusa parentesi.
Se invece c'è scritto trail, significa che non si corre su asfalto, ma su sentieri, strade sterrate se non addirittura fuori da qualsiasi tracciato.

Flashback: tre settimane fa planavamo su Riva dei Sette Martiri a Venezia, Folgorati dal sole e dalla corsa.
Io, inaspettatamente primo della squadra, mi accorsi sotto il tendone-spogliatoio, che le unghie dei miei piedi avevano un colore grigio blu che tanto si intonava alla divisa Folgorante. Ma non mi facevano male, per cui sticazzi, direbbero a Roma.
La sera del giorno dopo le scarpe sembravano uno strumento di tortura costrittiva. Nonostante vari interventi tampone, per una settimana il dolore è stato piuttosto significativo, fino al venerdì quando, in un romanticissimo giorno di ferie senza bimbi, che Silver ed io non ci concedevamo da anni, il mio "medico in famiglia" ha proceduto all'intervento definitivo. Vi risparmio i dettagli.

La preoccupazione del gemellino, in sostanza, è ammirevole e motivata. Ad onor del vero il piccolo dimostra più buon senso del padre.
Il suo eterozigote compagno, invece, pare aver preso tutto dagli altri 23 cromosomi: "Bapi (Papi), mi sono staccato l'unghia da solo (disse qualche tempo fa, dopo che se l'era schiacciata cadendo ed era rimasta in parte attaccata ed in parte no), ho avuto paura, ma non ho pianto".
Marichan invece rimane a guardare ammirata la mamma che interviene, senza dimostrare il minimo fastidio alla vista di... va ben non sto qui a farvi agghiacciare.
Una famiglia onico-riunita.

Detto questo, perché un ultra trail?
Mah!
Perché dopo che abbiamo fatto la maratona si sono messi a correre in un sacco di gente, in tanti vogliono pure provare la maratona. A noi sta cosa che "se ce la possiamo fare noi ce la fanno tutti" piace, ma ci piace anche stare sempre un po' oltre (un po' ultra). E ce la tiriamo che metà basta.
Perché non potendo andare più veloci proviamo ada andare più lontano. 
Perché ce la fanno praticamente sotto casa: un ultra maratona a chilometri zero. 
Perché stiamo invecchiando senza averne mai fatti.
E poi per questo:
Che certe cose, a correre per strada, non si trovano facilmente.
Per cui ormai siamo convinti: "Un passo fuori dall'asfalto, due passi oltre la maratona", dice lo slogan della Ultrabericus, 66 km sui colli vicentini.
Sarà a marzo, per cui in mezzo succederanno ancora un sacco di cose; belle, soprattutto, lo auguro a voi e a me. 
Buona settimana a tutti.

mercoledì 12 novembre 2014

Posso vedere le luci della città

Ho almeno due post in bozza e penso che li cancellerò.
Non so perché, li ho scritti a pezzi e poi li ho salvati perché non avevo tempo di pubblicarli. Ed il giorno dopo, quando sono andato  a rileggermeli, non li ho più trovati così importanti.
Parliamoci chiaro, non è che penso che tutto quello che scrivo sia importante. Anzi, novanta su cento scrivo delle memerite minchiate. A volte qualcuno mi dice che fanno ridere, altri, altre volte, dicono che fa piangere. Raramente qualcuno si è spinto a dire che fanno cagare. Per decenza, credo, più che altro.

Ma non volevo parlare di questo. In realtà è successa una cosa: ero in macchina che stavo rientrando in ufficio, ed è partito a tutto volume Solsbury Hill di Peter Gabriel. Forse mi sono espresso male: ho acceso la macchina ed è partita la radio, al volume da infarto in cui l'avevo lasciata. Il riff di chitarra acustica ha probabilmente cecchinato le coronarie di un gruppo di ragazzi rumeni che si godevano in pace la loro pausa pranzo sull'argine dell'Orolo. Ho abbassato appena il tempo di immettermi in statale e poi via.
"Climbing up on Solsbury Hill, I could see the city light".
Basta, ho ascoltato solo la prima frase. 
Tutto ha avuto senso, improvvisamente, per un attimo. Se non scrivo subito mi scappa, ed un po' già mi sto perdendo e questo post sarà inutile come gli altri.
Bisogna salire per trovare il senso.
Mi capita ogni volta che sono su, sulla Motta del Diavolo, una salitella, in realtà nulla di che, non si capisce l'origine del nome. Da lì si vedono le luci della pianura. Al mattino presto è ancora bella perché non si vedono gli stupri ambientali fatti con le cave, le zone industriali, i cappannoni abbandonati. anche le luci sono poche e se non c'è un po' di Luna si distinguono a malapena le case.
E questa la differenza tra un grande scrittore ed uno scribacchino; Peter Gabriel è salito a Solsbury, ha provato quello che ha provato ed ha scritto la canzone.
Io sono salito sul colle, ho provato quello che ho provato, ma finchè non ho sentito la canzone non sono riuscito a dargli i contorni giusti.
Quando arrivo lì capisco perché mi sono alzato presto: non è solo tenersi in forma e neppure solo lo spettacolo per gli occhi.
È una metafora. O almeno credo che lo sia.
E la capacità di cambiare prospettiva, di sospendere il giudizio, di prendere le distanze da ciò che ci pare inattaccabile e dogmatico.
Se così fosse, se questa fosse una metafora, rimpiango tutte le volte che non mi sono alzato dal mio letto di convinzioni e me ne sono stato al caldo del mio status sociale benestante, sotto la coperta del mio cattolicesimo ancora così sovrano, nelle coccole accettate della mia eterosessualità ed ho rinunciato ad infilarmi un paio di scarpe e salire la collina. E lì, solo da lì, visto che il giudizio non è mai opportuno, capire finalmente quanto prezioso è il mio silenzio.

"I'll tell them what the smile on my face meant
My heart going boom boom boom
"Hey" I said "You can keep my things,
they've come to take me home" "


mercoledì 5 novembre 2014

Ai postumi l'ardua sentenza (dopo Aulin)


Alla fine è arrivato l'autunno.
Lo ha sancito Halloween o festa di Ognissanti o dei Morti, come si ostinano a dire tutti qui.
Dice che è passata quasi una settimana, mi prendo sempre tardi ultimamente.
Portate pazienza, si lavora sodo: le pause pranzo non esistono più e scrivere alla sera sta diventando sempre più difficile. Pare che sia una fortuna poter ancora lamentarsi di questo. Anzi, lo è di certo.

Dicevo Aulin, la festa degli spiriti.
Mi fa sorridere che dopo tanti anni, ormai la zucca scolpita è entrata a pieno titolo nelle ricorrenze (almeno commerciali) del nostro anno solare, ci sia ancora l'alzata di scudi contro “una festa in cui non ci riconosciamo”, “una tradizione che non è nostra”, “ridateci i morti”.
Ecco, proprio i morti.
Qualcuno si è mai fatto la domanda fatidica? Perché tutte le persone sopra i sessant'anni continuano a chiamare Ognissanti “Il giorno dei Morti”?
Solo io vedo nelle due ricorrenze, quella "pagana, americana" e quella "nostrana" una sorta di logicità e di continuità?
A me ha aperto gli occhi un'amica, tanti anni fa, che mi ha detto che quasi è nata prima la loro, in Irlanda, e poi l'abbiamo fatta nostra.  
Si, chiaro, nella nostra cultura i morti vanno ricordati e per loro si prega, non sono degli spiritelli che girano per le case a fare scherzi scemi. 
Ma sempre morti sono e mi chiedo? Forse che lasciare che i bimbi si divertano una sera, o tutta la settimana precedente, a travestirsi, ritagliare pippistrelli di cartone e, quando sono più grandicelli, andare a fare i macachi suonando il campanello ai vicini, mette in qualche modo in discussione la visita il cimitero del giorno dopo? 
 
Che poi, parliamone, non è che certe scene che si vedono al cimitero il giorno dopo abbiano l'aria tanto meno pagana di mio figlio vestito da fantasma di Sleepy Hollow. 
 
Forse che il dolcetto (o scherzetto) della sera prima vi rimane di traverso nel gargarozzo e non potete darci di Spèo e poènta onta?
Forse che la zucca scolpita e lasciata con il lumino acceso sul pilastro del cancello spaventa la cugina che vi viene a trovare tutti gli anni solo in quel giorno?
Qual'è in fondo la paura? Che i nostri figli crescano senza il culto dei morti?
Ma allora noi genitori a cosa serviamo? Cos'altro dovremmo fare se non ricordare chi erano per noi le persone che non ci sono più?
O siamo noi che abbiamo, in fondo, paura di dimenticarle?
E poi: solo quel giorno lì? Parlate mai di vostro nonno o di vostro zio ai figli? 
Personalmente lo ritengo quasi più importante che pregare per loro. Anzi, visto che ogni tanto gliene parlo, Giacomo ha proposto lui di  dire un'avemaria ai nonni. Vedi, quando si dice "nonostante certi genitori". 
Ma allora, se questo dipende da noi genitori, di che culto stiamo parlando?
Del metodo per cuocere la carne allo spiedo?
Ah, nemmeno voi sapete come si fa?
Tranquillizzerei tutti: sono certo che ci siano decine di tutorial su youtube. Il progresso e la globalizzazione hanno pure i loro porci vantaggi.
Alla fine proprio i Santi, che tutti vogliamo difendere da chissà quale attacco culturale, sono i più tolleranti di tutti.
Si lasciano usurpare la festa dai Morti, non fanno scherzetti ed alla fine restano là a guardare mentre ci scrofoliamo lo spiedo bisunto.
Io sarei sempre per la tolleranza e l'apertura. 
Certo, a meno che non vogliate educare i vostri figli a credere che tolleranza significhi perdita delle tradizioni.
Ma credo sia la mia ipoglicemia che mi fa dubitare, perché è impossibile che qualcuno possa anche solo pensare che sia così. O no?