venerdì 30 agosto 2013

Arnica

Ho scoperto l'Arnica.
Se me lo aveste chiesto lo scorso anno vi avrei detto che è un rimedio naturale che, come tutti i rimedi naturali può funzionare ed anche no. Ve lo avrei detto così, in modo qualunquista e disinformato, solo per demolire ciò che non conosco.
Poi ho scoperto che fa benissimo per le botte sulla crapa che i miei figli si prendono in continuazione.
Ora so che è un eccezionale rimedio per la tendite che mi affligge da anni: un massaggino al mattino e via, movimenti lievi come se fossi uno smilzo.
Ma non volevo parlare della tendinite

Pensavo che sarebbe bello avere un Arnica per ogni problema, no?
Un unguento per le cazzate che ci dicono e per prevenire quelle che diciamo.
Qualcosa che spalmandola ci protegga dalla cattiveria gratuita degli altri, che faccia scivolare il bisogno di esercitare il potere su di noi.
Una pomata contro la stupidità, anche. Perchè a volte, pur riconoscendola, non siamo in grado di sopportarla, non ce ne facciamo una ragione. E ci stiamo male, e loro non se ne accorgono o, peggio, ne godono. E ci stiamo ancora peggio.
Ci sarà una pomatina per questo, no? Anche da applicare dopo, se proprio non si può prevenire.

Una crema per il dolore, poi. Non quello fisico, che per quello c'è. Per quello che ci prende dentro, che ci spacca.
Una pomata per i magoni che abbiamo per il futuro: per i figli, per i cari, per gli amici. Che stiano bene, che guariscano, che non succeda nulla di male, mai.
E la pomata servirebbe non perchè il male non accada, ma solo per non avere il magone, o per lenirlo, se proprio no.
Che ci vorrà a produrla?

E poi una spalmata sulla fatica di ogni giorno. La fatica di mantenere un lavoro che non piace, di sostenere un rapporto che si logora, di resistere un'ora in più, un metro in più per arrivare a sera, fino a tempi migliori.
Che per quanto si scaldino i muscoli prima e ci si alleni, c'è sempre un momento della gara dove vorresti fermarti e cercando le scuse per farlo e invece, intanto, continui a correre. 
E poi la fatica più nascosta, quella di cui sono consapevoli solo i migliori: quella che ci regala ancora la forza di indignarci, quella che ci serve per pensare di essere un po' migliori del mondo che vediamo, quella che distilla ancora una goccia di senso civico verso un mondo che vorremmo regalare ai nostri figli un po' più bello di com'è adesso.
Che non è mai bello abbastanza.

Un arnica per tutto questo mi servirebbe. Io, nel frattempo, continuo la corsa.

martedì 27 agosto 2013

El Pig

I bimbi sono entrati nel tunnel della droga. 
No, non è né l'eroina né la cocaina. 
È Peppa Pig. 
Peppa Pig è La Droga dei bambini sotto i cinque anni. 
Noi, tutto sommato, siamo fortunati che i piccoli non hanno ancora capito come funziona il broadcast televisivo; pensano che la tv funzioni solo con i DVD. Mica glielo abbiamo detto noi, ci mancherebbe. È solo che fino ad ora solo DVD guardavano. Le rare volte che si trovava qualcosa di adatto era un casino durante le pubblicità: "Fallo ripartire, papi, fallo ripartire". 
Per cui Peppa se la guardano sul tablete, un quarto d'ora finchè prepariamo la cena. 
Un quarto d'ora, si! Cos'è volete insinuare che in un quarto d'ora non si riesca a preparare una cena seria? 
Ma cosa dite? In un quarto d'ora ti impiatto i sofficini come non li hai visti mai. 

Ma non è di questo che volevo parlare. Di sofficini, dico (che non mangiamo, scherzi a parte). Nemmeno di cene. 
Nemmeno di Peppa, a dire il vero, ma del caro Papino. 
L'altra sera Silver mi fa: "Lo sai che inizio a scorgere più di qualche analogia tra te e Papà Pig?" 
Ora: io di Peppa Pig ascolto solo l'audio finchè cucino o preparo la tavola. 
Papà Pig è cicciottello: go (Go è il corrispettivo veneto di ce l'ho)
Ha gli occhiali e la barbetta: go. 
Lavora ma non si capisce bene cosa faccia: go.
Papà Pig millanta abilità artistiche non sempre confermate: go. 
Ricorda di avere avuto una ruggente gioventù rock: go. 
È abbastanza negato nel bricolage ma si ostina a voler fare da solo: go. 
Ha un suocero che viene sempre tirato in ballo da sua moglie quando non riesce a fare qualche cosa: go.
Il suocero ha l'hobby del giardinaggio e dell'ortocoltura: go. 
Papà Pig è molto bravo nel coinvolgere i figli: go. 
I figli si prendono talvolta gioco di lui oppure Peppa lo bacchetta: go.
Papino ha una figlia sveglia ma un pochino saputella: go.
Papà pig fa battute del cazzo: go. 

In effetti è più di qualche analogia. Io non grugnisco, chiaramente, ma ho una serie di rumori simili che so emettere al bisogno (bisogno mio, sia chiaro) sui quali è meglio sorvolare.
L'unica cosa che non ha Papino sono i due gemelli.
Devo segnalare il bug a chi di dovere. 


 

venerdì 23 agosto 2013

Rapporto duraturo - La ricetta

È un periodo in cui si trovano ricette un po' ovunque, no?
E chi sono io per non darvene una.
Parliamo di rapporto duraturo.

Prendete una donna intelligente. Molto intelligente.
Un uomo buono e paziente.
Un paio di sogni nel cassetto.
Almeno una passione comune (non esagerate però)
Affinità musicale q.b.
Gusti cinematografici simili q.b.
Pazienza q.b.
Coccole q.b.
Passione q.b.
Tenacia q.b.
Noia - un pizzico, solo per valorizzare il sapore degli altri ingredienti.

Mettete tutto in un grande contenitore, meglio se colorato.
Agitate
Lasciate riposare
Agitate ancora
Lasciate riposare
Andate avanti finchè non otterrete un amalgama non troppo omogeneo. Viene meglio se si riescono ancora a distinguere gli ingredienti.
Di volta in volta potete aggiungere o togliere alcuni degli elementi della ricetta, per gusti sempe nuovi.
Non rimarrete delusi.
Dite che la ricetta è imprecisa? Che c'è troppo spazio alla discrezionalità dei cuochi?
Caspita, è vero.
Però, dite la verità, non sono quelle che danno più soddisfazioni?

È una ricetta garantita 15 anni. Almeno.



Agosto 1998 - Lignano Sabbiadoro

mercoledì 21 agosto 2013

Che brutti i figli di...


Quanto siamo disposti a farci da parte per non essere ingombranti nel futuro dei nostri figli?
Chi di noi non sogna di scrivere un libro, incidere un disco o girare un film e, avendone la possibilità, non esiterebbe a farlo?
Mesi fa ero in macchina e c'era questa voce che usciva dalle casse della radio. Era talmente familiare che mi pareva impossibile non riconoscere null'altro di quel brano: le parole, le note, nemmeno le sonorità. Poi ho capito: era un pezzo di Cristiano De Andrè, il figlio del grande Fabrizio.
Precisazione ovvia, no? Tutti sanno chi sia Cristiano De Andrè, soprattutto se conoscono suo padre e la musica che ci ha regalato.
Se non conoscete Fabrizio De Andrè, probabilmente ignorate il fatto che avesse un figlio. Cristiano, appunto, figlio del grande Fabrizio De Andrè. Aveva anche una figlia: Luisa Vittoria, detta Luvi De Andrè, la figlia del grande Fabrizio De Andrè e di Dori Ghezzi.
Ma non è di Luvi che volevo parlare, per quanto sia una discreta figliola e che, secondo me, avesse anche una signora voce.
Volevo parlare di Cristiano De Andrè. Il figlio di quel mito che era Fabrizio De Andrè.
Ah, l'ho già detto?
È vero. Ma fateci caso: non c'è un articolo che parli di Crisitano De Andrè che non lo associ inesorabilmente a quel vecchio ubriacone e puttaniere che era il padre che oltretutto aveva piantato lui e la madre quando era poco più che un bambino (De Andrè era un grande poeta ma non è raro trovare opinioni su di lui come persona piuttosto critiche, soprattutto fino agli anni 90)
Perchè, mi chiedo?
Quanto alcol e psicofarmaci dovrà ancora calarsi questo povero Cristiano prima che la gente capisca che lo spettro del padre lo sta perseguitando anche senza che glielo si continui a ricordare?

Ed ora lo rivedo, causa nuova fissa dei figli, in un concerto del 1998, assieme al padre. Un concerto perfetto, suonato divinamente. Cristiano suona tutto. Tutto. Qualsiasi cosa produca un rumore lui riesce a farcela stare sul palco. Grande musicista, Cristiano De Andrè. Molto più di quanto non lo sia stato il padre.
Forse avrebbe fatto meglio cambiarsi il cognome con quello della madre e fare il musicista per altri artisti. Fior di band contemporanee si sognano di essere anche solo la metà bravi di quanto non sia il figlio del grande De Andrè.
Forse, se non fosse stato il figlio del grande De Andrè non avrebbe mai imparato a suonare un cazzo perchè si sarebbe dovuto guadagnare da vivere come tutti noi stronzi e poteva essere un mediocre professionista con una mal coltivata passione per la musica.
Io non compro dischi di Cristiano De Andrè perchè mi piaceva il padre e non cerco surrogati. Che poi se li cerchi non li trovi, visto che lui fa di tutto per smarcarsi dalla musica del padre.
Mio fratello, che lo apprezzerebbe come musicista, non lo compra perchè non gli piace De Andrè.
Oggi mi consolo pensando che nessuno dei miei figli avrà questo problema.

lunedì 19 agosto 2013

Insaziabile Lupin


Ormai si è arrivati alla psicosi.
Prima c'era la cronaca di qualche episodio qua e là, poca cosa, che si sapeva con giorni di ritardo.
Poi sono arrivate le notizie dei furti sistematici; quelle notizie che di bocca in bocca aggiungono una casa al racconto.
La notte scorsa sono stati in via Roma ed hanno passato quattro case”.
L'altra notte sono passati in via Roma e si sono fatti sei case”.
Un paio di notti fa si saranno fatti dieci case in via Roma”.
Ma se manco ci sono dieci case, in via Roma?

Prima c'era uno sderenato, un “ultimo” di quelli che se ti metti a raccontare la storia sua e della sua famiglia su un libro, le case editrici te lo segano perché macchiettistico, esagerato. Un pecoraio ladruncolo che si narra porti il gregge a pascolare nei campi vicini alle case da “ripulire”. Era sempre lui il colpevole, l'inafferrabile, il Lupin de noaltri.
Poi il nostro eroe si è andato a catafottere, tanto era inafferrabile, ubriaco marcio, da sopra una diga del torrente e trovasi in rianimazione da circa un mese. 
 
Ma le cronache continuano e, con esse, fioriscono le leggende metropolitane.
Si narra di sprai anestetici, che ti fanno piombare in un sonno torbido ma profondissimo (deve avercelo anche mio figlio, che spesso non mi accorgo che si infila sotto le lenzuola tra mia moglie e me).
Qualcuno giura che esistano attrezzi appositi per aprire balconi da fuori, con le calamite, che non si sa dove li vendano, visto che sarebbero tanto utili quando ci si chiude fuori.
Poi però si sa di frighi svuotati, di minestroni presi dal congelatore, scaldati direttamente sul gas e mangiati lì, mentre i proprietari sono in vacanza.
Si narrà di ladri che cercano di rubare una collana ad un signore disabile che guarda i passanti che vengono messi in fuga, a mani vuote, da una signora con la scopa.
Qualche tempo fa i miei suoceri sono stati svegliati dal campanello suonato accidentalmente dal “topo” che vi si era appoggiato nel tentativo di forzare la porta con un cacciavite. 
 
Si dice sempre che l'accento è straniero, ma non si sa se sia verità o suggestione. Per mia madre siete stranieri se non avete il cognome che finisce per “n”, e a volte non basta neppure quello. 
 
In ogni caso cosa cambia?
Quanto ci rassicura ancora pensare che a rubare per fame si riducono prima gli slavi e i terroni?
Possiamo sperare che il pecoraio torni dall'ospedale per avere un colpevole da indicare in società? È questo che ci serve per dormire tranquilli?
Cosa penseremo quando il minestrone al piano di sotto lo mangeranno parlando nel nostro dialetto?
Continueremo ad aggiungere chiavi e catene a porte e finestre, e condizionatori per non morire dal caldo e rimanere dentro, svegli, a bagnomaria nella paura? 
 
Io non ci sto.
Io lascio il portafoglio in vista, la pentola pronta e la birra in fresca.
Fate ciò che volete ma non toccate mia moglie ed i bambini.
Fate piano, lascio la finestra aperta, e mi godo il fresco.

mercoledì 14 agosto 2013

"Quattro soli a motore" libro dell'estate del 2013

Aderisco volentierissimo all'iniziativa che non so da chi sia partita ma che ho conosciuto grazie al mio quasi conterraneo Alligatore (alligatore.blogspot.it).
Si tratta di dare la massima e meritata visibilità all'ultimo nato in casa Pezzoli, il web amico Zio Scriba, pubblicando una delle frasi che più ci è piaciuta del suo libro. 
A me ha colpito subito ( nel senso che è proprio all'inizio) questa qui:

Feci colazione con fettucce imburrate e una badilata di Ovolmatina sull'acre del latte degli Stevanato che andava fatto bollire prima di berlo, e se ti faceva schifo la panna non se ne formava un velo ma un plaid. 

Dico la verità: mi è capitato di rado di leggere un libro che sia stato in grado di restituire assieme al racconto odori e sapori di quando ero bambino. Forse è perché la campagna lombarda non è così diversa da quella veneta, forse è perché, semplicemente, Nicola Pezzoli è davvero bravo. 
Quattro soli a Motore, Nicola Pezzoli, NEO editore

lunedì 12 agosto 2013

Santiago de Compostela 2003. Un cammino che dura da 10 anni


12 Agosto 2003, mancano pochi minuti a mezzogiorno.
Le cornamuse ci accolgono in Plaza de Obradorio, il grande sagrato antistante alla basilica di San Giacomo dopo quasi 800 chilometri in sella alle biciclette.
El Camino arrivava quindi alla meta dopo un viaggio faticoso e meraviglioso.
Un viaggio in cui abbiamo mangiato e bevuto, soprattutto male, ma anche bene, conosciuto persone, imbarcato compagni di viaggio e perso di vista altre persone che magari andavano più forte o più piano di noi. Abbiamo imparato barzellette, patito il sole e preso la pioggia, dormito dove e con chi capitava.
Un viaggio dove ci siamo malati e poi guariti, dove abbiamo perso la strada e l'amore e li abbiamo ritrovati, siamo caduti e ci siamo rialzati.
Abbiamo capito che per comprendere non serve sapersi spiegare, è sufficiente qualcuno che abbia voglia di capirti. 
Un cammino in cui abbiamo capito che, per quanto possa essere importante e bella la meta a cui vogliamo arrivare, non si può prescindere dalla bellezza, anche dura, del viaggio che ci porterà ad essa.
Quei nove giorni sul Camino sono stati, in fondo, la metafora di questi ultimi dieci anni.
O forse, sono la metafora di tutta la nostra vita.

















A Silvana, Elisabetta, Elena, Stefano, Damiano, Massimo, Chiara ed Ivo. Ed anche a Max e Fabiano, trovati sulla strada.

martedì 6 agosto 2013

Se non sono gigli...

Vorrei che Dio cantasse De Andrè. 
Vorrei che lo facesse in paradiso, chitarra in mano, circondato dagli ultimi, quelli veri, che popolano le sue canzoni. 
E tra gli ultimi quelli più ultimi degli altri, quelli che sono talmente sfortunati da non essere neppure considerati tali. 

Non sono sufficientemente pazzi da essere psichiatrici, non hanno patologie tali da poter considerarli malati, non sono abbastanza indigenti per essere considerati poveri e neppure sufficientemente ritardati da invogliare ad aiutarli.
Per cui nessuno pensa ad una colletta per pagargli il funerale e ci si accorge lì, in mezzo alla chiesa, di quanto sia fredda la solitudine zincata di una bara da pochi soldi. 

Vorrei che Dio cantasse De Andrè perchè le sue canzoni sono più belle di quelle intonate dalle volonterose anziane dell'esercito della salvezza funeraria, quelle che sanno che in alcuni casi è importante anche fare numero, perchè la chiesa sia solo parzialmente vuota. 

Vorrei che Dio cantasse De Andrè perchè, anche se non era povero ed i suoi dischi costano ancora soldi, non ha mai messo la sua faccia sorridente su un manifesto che chiede offerte per aiutare gli ultimi che oggi, in questa chiesa, sembra una presa in giro. 

Vorrei che Dio cantasse De Andrè per ricordarci che finchè abbiamo una casa, il condizionatore, due giorni di vacanza e la salute non abbiamo alcun diritto di considerarci più bravi di nessuno

venerdì 2 agosto 2013

Caro Silvio, ti scrivo


Caro Silvio,
ti scrivo perché ho saputo che la tua pena potrebbe essere commutata in una misura alternativa: il lavoro socialmente utile.
Personalmente la trovo una cosa molto intelligente, davvero. Il carcere non porta a nulla, solo disperazione. Il lavoro socialmente utile invece ti mostra la disperazione ma ti fa contribuire ad una buona causa.
Qui, dove lavoro, ci sono parecchie persone che sono passate con questa formula. Certo, la maggior parte di loro erano delle bravissime persone per le quali duecento euro di multa per eccesso di velocità, perchè si erano fatti un cicchetto prima di salire in macchina o perchè pizzicati senza la revisione della vespa a posto (quest'ultimo sono io, tra l'altro, che ho pagato in contanti perchè non posso essere socialmente utile nel posto in cui già lavoro). Altri sono ragazzi sfortunati. Con storie sfortunate, più che altro; che ad un certo punto della loro vita hanno fatto qualche cazzata, anche grossa e, dopo qualche anno a guardarsi il sole a scacchi, possono uscire di giorno ad impararsi un lavoro nella speranza che serva loro quando finalmente potranno uscire di prigione.
Qui saremmo tutti felici di poter accoglierti.
I ragazzi qui, quelli in situazione di disabilità, tifano quasi tutti Milan, per loro sei un mito. In virtù dei grandissimi successi sportivi spesso sono anche corsi a votarti.
So che molti anche fuori da questa cooperativa lo hanno fatto per lo stesso motivo, anche se non hanno nessuna certificazione di handicap nella loro cartella. Ma questo è un dettaglio, io ti parlo di ciò che faccio io.
I soci della cooperativa invece non credo che ti abbiano votato,, a dire il vero; per lo meno hanno un livello cognitivo che permette loro di capire che non è proprio il caso di andarlo a smaronare in giro.
Pur essendo stati fondati da un prete qui pensano tutti che siamo comunisti.
Ma tu non ti devi preoccupare: qui in Veneto siamo abituati a parlare e trattare bene anche voi.
Ci conviene. Siamo noi la minoranza, qui.
Ma torniamo a te; dicevo che puoi venire, saremmo felici di poterti accogliere.
Oggi c'era un gran parlare del tuo possibile arrivo: chi ti vorrebbe in cucina, a lavare i piatti (mansione che però è già occupata), chi vorrebbe un aiuto per il lavaggio dei wc, chi ti vorrebbe a sudare in falegnameria...
Adesso decidiamo, dai.
L'importante è che segui qualche piccolo consiglio, scusa se mi permetto. 
Avrai dei punti di riferimento, dei coordinatori. Sono dotati di una certa autoironia ma non darei loro del kapò, se fossi in te.  
Niente barzellette volgari, capito? Qui le bestemmie non le vogliamo sentire. Sono inutili e sgradevoli. E poi i ragazzi nostri ridono perchè la dici, mica perchè fa ridere il contenuto o come la racconti. Che soddisfazione c'è, scusa?
Anche il repertorio comico è un po' da svecchiare, la maggior parte di quelle che racconti me le diceva già mio zio nel 1983.   
Qui sono quasi tutte donne, niente battute sconce o allusioni sessuali, ok? S'incazzano. E te la fanno pagare. C'è un gruppo qui, che organizza serate culturali per sole donne, capito? La maggior parte di loro, oltretutto è decisamente chiavabile, ma anche questo è un dettaglio che ti pregherei di evitare di mettere in evidenza. 

Poi, saprai, la sessualità per le persone disabili adulti è sempre un argomento molto delicato, non vorrei che la cosa ti si ritorcesse contro. 
Una cosa solo mi chiedono i ragazzi qui: un po' di figa, ce la porti, si?

Tuo
El Gae

ps. io sarò in ferie per una quindicina di giorno, se non mi trovi lascia un messaggio in segreteria.