venerdì 24 aprile 2015

Se capitasse a mio figlio


Il mio caro amico e collega di università Paolo una volta mi raccontò la sua prima esperienza con la frase “ti amo”.
La disse di getto, ad una ragazza a cui voleva bene, ma poi si rese conto che aveva esagerato ed il giorno dopo, scusandosi, rettificò.
Mi disse che lui aveva immaginato che morisse sua madre o sua sorella e che il dolore che pensava di provare non era lo stesso che se fosse morta la sua ragazza.
Un po' macabro, ma efficace.
E senza che me lo imponessi, è una frase che mi è rimasta dentro e mi torna in mente ogni volta che succede qualche cosa nel mondo e penso come mi comporterei se succedesse ai miei figli.
Stavo inziando un racconto, tempo fa, parlava di un padre ormai anziano e vedovo ce andava a riprendersi la figlia suora, rapita in Sierra Leone, durante la guerra civile del 1999. Era una mezza via tra la parabola del Figliol Prodigo e Commando di Swartzenegger, improponibile, ed ho lasciato perdere.
Ma non volevo parlare della mia frustrata carriera di romanziere.
Nell'immaginare la trama pensavo a questo padre che rivedeva tutte le tappe fondamentali della vita di sua figlia, la vocazione inaspettata e contrastata, la solitudine della lontananza e poi la paura della perdita, la paura del dolore, del male che potevano fare alla figlia. Ad un certo punto, pensando ai racconti che i missionari in africa mi facevano della guerra, dieci anni fa, ed alle storie che leggiamo ora sul giornale, eccetera, pensavo: e se la figlia fosse stata picchiata e violentata? E uccisa?
Ed io non sono pronto, capite?
Non è Swartzenegger che mi ha fatto cambiare idea, ma mia figlia Maria; non puoi scrivere se non sei pronto a far vedere agli altri il colore delle tue mutande, se non sei disposto a mettere sul mercato e a vederla invenduta e non apprezzata una parte della tua sofferenza. E di pensare al male di mia figlia, per quanto sia un male romanzato, non ci riesco.
Soprattutto l'inadeguatezza ti annichilisce, il pensiero di non poter fare nulla, di non riuscire neppure ad accettarlo.
Così, in questi giorni, con negli occhi le immagini strazianti dei cadaveri galleggianti nel mediterraneo, mi chiedevo cosa muova le dita delle persone che inneggiano ai missili ed alle bombe? Sicuramente non il pensiero che possa capitare a noi o ai nostri figli.
E non parlo di Salvini, che è anche troppo intelligente, e sfrutta l'onda per recuperare quei due voti, senza proporre nulla di realmente attuabile, consapevole di essere impotente quanto noi. Non è lui il problema; il problema siamo noi, che lo ascoltiamo, che gli diamo spazio, sia che siamo d'accordo sia che lo consideriamo un coglione. Il problema sono tutti gli altri, quelli che riversano la loro frustrazione e la loro paura per un futuro mai così incerto sulle protettive righe dei social network, incitando il mare ad inghiottire tutti, uomini, donne, bambini e le nostre angosce.
Così miopi da non capire che nemmeno se la paura si potesse vendere e comprarci pallottole potremmo resistere; perché non riesco nemmeno ad immaginare quanta debba essere la paura che spinge un padre o una madre a caricare su di un barcone se stessi ed i figli e rassicurarli che andrà tutto bene. Andrà certamente tutto bene. 
Siamo sempre pronti  a dire "Se capitasse ad uno dei miei figli, vedresti cosa farei", quando una ragazzina viene uccisa da un extracomunitario, o quando veniamo derubati dagli zingari. Trovo per lo meno curioso che non riusciamo mai a metterci nello stesso atteggiamento empatico, quando tocca a noi decidere chi vive e chi muore.

giovedì 16 aprile 2015

Marco se n'è andato e non torna più

Anche Silver è partita.
Ma a differenza di Marco, che la sua Lauretta non è più andata a cercarsela, dovrebbe tornare sabato.

Sono sincero, non voglio fare il padre fico che se la cava e se la tira perché gestisce tranquillamente i figli senza la moglie: io avevo un magone che non vi dico pensando a questa settimana.
Al lavoro il periodo è più intenso del solito e la serenità è un lontano ricordo, i bimbi parevano rendersi conto molto più delle altre volte che la mamma sarebbe stata via, non so.
Comunque lunedì avevo la luna, giusto per rendere giustizia al nome del giorno.
Silver lo aveva capito, forse, o forse aveva più magone del solito anche lei ed ha fatto quello che di solito fanno sua madre e sua sorella quando lasciano a casa i mariti: organizzano in vaschette monoporzione il cibo per tutta la settimana con scritto sopra un etichetta con il nome della pietanza, le istruzioni per riscaldarla e il giorno e l'ora in cui consumarla.
No, non è vero. Ha comprato gli gnocchi per il giovedì e due sughi pronti. Ma, sapendo che di solito io sono piuttosto autonomo e non serve neppure quello, l'ho interpretato come un'ansia superiore al solito.
Poi però è successa una cosa: ero lì, che mi facevo una spremuta e mi dicevo che io non sono solo neanche quando sono solo, come dice Jovanotti sputazzando sulla prima fila.
Non so se valga la pena proseguire in questo ragionamento che è un campo minato e rischio di non essere compreso; perché in fondo una settimana è solo una settimana ed il confronto con chi la perdita l'ha avuta più grave non è nemmeno proponibile. Solo che la mente fa questi viaggi qui e devi cercare di trovare un senso alle cose ed allora è più facile trovarlo in una settimana a casa da soli che nella morte di un genitore giovane, giusto per dire il peggio che possa capitare.
Ma mi dicevo che puoi essere a casa da solo anche un anno e sapere che c'è qualcuno con cui condividi la fatica almeno idealmente ed il resto è solo questione di organizzazione: preparare le tutine la sera prima, la tavola per la colazione dopo la cena e guardare in frigo prima di uscire in modo da non trovarci i topi che piangono quando rientri. E tutto scorre con facilità, giorno dopo giorno ed i bimbi paiono anche più bravi del solito.
A volte invece la solitudine nasce proprio dal non poter condividere tutto questo e la mancanza non è solo fisica e credo che sia quella che fa più male.
Purtroppo mi rendo conto che attorno ci sono molte solitudini, talvolta sono solitudini passeggere, altre volte sono strutturate e, cosa che fa più male, sono solitudini vissute quando soli non si è.
Basta, mi sono parlato addosso anche troppo e credo di non essere riuscito a spiegare quello che avevo dentro.
Che poi mi sono ricordato che giusto oggi è un anno che siamo senza il Nikio e con il pensiero che vola a Lari e alla piccola Rita, di parlare della mia piccola ed inutile solitudine, forse, non era neppure il caso.

venerdì 10 aprile 2015

Generazione Pay per view


L'altro giorno stavo cercando di spiegare a Pee come fosse il mondo prima dell'avvento del DVD.
E pensavo che, tutto sommato, siamo ancora fortunati perché resistiamo senza troppa fatica a Sky e alla pay per view e quindi posso ancora usare il DVD come termine di paragone.
La mia povera mente nostalgica tornava a quella primavera del 1991 (forse era autunno). Avevo iniziato a minilavoro come bagnino assistente bagnanti in piscina e non mi pareva vero di disporre di una somma che fosse mia e solo mia. I miei, pur non avendomi mai fatto mancare nulla, non era tipi da mancetta. Mai ricevuto soldi liquidi prima di essermi sposato. Paradossalmente dopo si, ma questo è un altro discorso, lo dico solo per far capire che i miei non sono dei taccagni spilorci anafettivi e neppure poveri. Semplicemente per loro la mancia non andava fatta. Punto.
Dicevo il primo piccolo stimpendio. Qualcosa come 150 mila lire, forse meno.
Fatto sta che andai a trovare mia sorella che era stata operata alle adenoidi all'Eretenia e poi mi fermai al vicino Pozzo Musicale a comprare il mio primo CD: Eugenio Finardi, The best of (o cose così).
Fino ad allora solo musicassette registrate e due originali: “But seriously” di Phil Collins e la Lambada (che in realtà era un regalo di Natale per mamma).
Il giorno dopo a scuola lo esibivo come un trofeo. E tutti a decantare le qualità del CD, la sua eterna durata, di quanto meglio fossero quelli con la tripla D versus quelli AAD o ADD, insomma, in mano c'era un pezzo da consegnare alla storia.
Ed ora? Quanto sarà che non metto su un CD? Giusto in macchina, perché il mezzo ha qualche anno e all'epoca non abbiamo preso il modello superaccessoriato.
E il DVD? Vi si è rotto di recente il DVD? A me si. E la tv non è full hd o quelle cose lì che non capisco. Trovatelo voi un lettore che legge solo i DVD. Non ci sono. Solo blu ray. A che serve un libro se non sai leggere?
Ma non c'entra, ora. Mi interessava parlare del fatto che il principale pregio che vedevo nel DVD, più che la qualità del suono, era nel fatto che fosse duraturo nel tempo e che si potessero scegliere le tracce con facilità. La cassetta costringeva a quel “avanti ed indietro” continuo che era snervante.
Lo stesso VHS versus DVD.
Poi è venuta la possibilità di programmare.
Poi la chiavetta USB dove ci stavano millemila canzoni.
Ora c'è Shazam e la tv sul web.
E i miei figli non capiscono che la pubblicità bisogna aspettare che finisca, che il film inizia ad una certa ora e che è necessario avere il divano montato per quel momento sennò non ci si sa dove sedere. Allo stesso modo non reggono la frustrazione di una serata in cui la cosa migliore è spegnere perché non fanno nulla, non conosceranno neppure la sensazione di vuoto che ti lascia una serata di zapping.
Nemmeno i miei nonni l'hanno vissuta, non avevano il telecomando.
Forse i nostri genitori.
Non so dire se sia meglio o peggio. Di sicuro è diverso.
Ma la pazienza, quella si dovrebbe essere la stessa. E forse anche la consapevolezza che non si può avere tutto nell'istante stesso in cui lo vogliamo: la pillola per dimagrire quando voglio, quella per correre forte quando voglio, quella per farmelo drizzare quando voglio e quella per farmela dare quando voglio. È un problema che avrò con loro, a volte penso sia il più importante compito che ho come genitorie. 
Ma è un problema che ha creato la mia generazione.
Al limite, so con chi prendermela.

giovedì 2 aprile 2015

Il lato oscuro della Corsa


Ho varcato la linea, sono perduto.
È iniziato il triduo pasquale, quello che porta le vacanze, per capirci e, come di consueto, si mendica un giorno aggiuntivo di ferie per cercare di alleggerire l'organizzazione svizzera che di solito mettiamo in campo in questi casi per gestire i bimbi.
Capiamoci: io al lavoro sono il capo ma, giustamente, non dispongo del mio tempo a piacimento. Non sono un libero professionista: ho orari e scadenze (pure i liberi professionisti, a dire il vero, ma c'è sta idea romantica che no).
Per cui liberarsi il venerdì è un'impresa titanica. Un paio di settimane fa ho notato che era libero e, zitto zitto, ho iniziato a sperarci. Di giorno in giorno tutti gli altri momenti della settimana si infittivano di impegni e venerdì 3 rimaneva misteriosamente e miracolosamente libero. Forse il miracolo non è così impossibile, visto che facilmente è dovuto al fatto che molti enti pubblici, con i quali lavoro, domani sono chiusi o comunque in ferie.
Ma è bello dare connotazioni magiche al grigiume quotidiano.
Senonché io ieri ho deciso: ragazzi, ferie venerdì. Quindi non mi affido più al caso, ma, se capitasse qualcuno che vuole un appuntamento venerdì, respingo con gentilezza.

Ma non volevo parlare di ferie, bensì di linea di confine fra la Forza della Corsa ed il suo lato oscuro.
Una volta raggiunta la consapevolezza che sarei stato in ferie ho dovuto nell'ordine:
1. Reprimere il pensiero che il principale vantaggio sarò quello di non doversi svegliare alle 5 del mattino per la corsetta del venerdì, concedendosi un'oretta di sonno in più. Cioè, lo farò, ma non è il principale vantaggio.
2. Che l'evento “Vicenza by night”, corsetta in compagnia alle 21, è una bella idea ma da ripetere, se possibile, in un giorno in cui i bimbi alle 21 sono sicuramente a letto.
3. Rifiutare l'invito del compagno Sam che, come diavolo tentatore, mi chiede se facciamo una sgambata montana proprio venerdì (è in ferie anche lui).

Ma non è l'unico indice di Lato Oscuro. Ce ne sono altri che iniziano a farmi sospettare qualche cosa:

1. Mi viene l'acquiato compulsivo. Quando suonavo di più c'era la G.A.S. (Gear Acquisition Syndrome), ora non c'è il nome, ma sto già sperando che il cinturino dell'orologio del satellitare, che è leggermente tagliato, si rompa definitivamente per comprarne uno nuovo che mi sono già scaricato l'app. E le scarpe da trail hanno ormai 400 km, un altro paio di mesi e tocca (Capite? Tocca!) cercare su internet un nuovo modello e poi andare nel negozio di fiducia e comprarne un altro (che l'importante non è il modello che compri ma quanto tempo perdi a capire quale è quello giusto, anche se poi non lo compri).
2. Tutti mi parlano di corsa. Si, avete capito bene: non sono io che parlo di corsa ma gli altri che mi provocano.
2. Mi regalano libri che parlano di corsa (Linus, Marco Olmo, Dean Carnazes & many others)
3. Mi regalano oggetti per correre.

Insomma, tutti hanno capito che per tenermi buono basta parlarmi di corsa o comunque assecondare la mia follia.
Perfino Silver, che domani stasera ha un impegno non previsto mi dice: “Io devo accompagnare tal dei tali ad una visita (è un parente, non pensate male), mi spiace un sacco, però così tu puoi andare a correre sabato senza rimorsi”.
Capito? Non si mette in discussione la corsa in sé ma lo stato d'animo in cui si corre. È prezioso e lo usano come materia di scambio. 
Sono finito. 


Obi-Wan non ti ha mai detto cosa è successo a tuo padre”
Abbastanza! Sei stato tu ad ucciderlo!”
No! Io sono tuo padre!”
Star Wars - “L'impero colpisce ancora”