venerdì 27 giugno 2014

Al bidone dell'umido fa meno male che a me


Alla fine, come ciclicamente mi è capitato, ogni 4-5 anni negli utlimi 15, entro seriamente a dieta.
Vado dal dottore di dimagrire, come lo chiamano i bambini.
È sempre un pelino imbarazzante trovarsi in sala d'attesa con gente, generalmente, molto più grossa di me. In realtà penso che anche loro pensino lo stesso di me, solo che tutti tendiamo a vederci più magri di quello che siamo.
Mi accoglie in uno di quei classici studi medici moderni di adesso, con le pitture moderne e le statue tribali, comprate probabilmente in qualche shanti shop, o da Ovvio.
È un uomo di una bellezza oggettivamente eccessiva, l'ultimo dietologo che avevo visto era un piccoletto dall'aria trasandata, il mustacchio da vespista anni 70 e la vespa anni settanta parcheggiata fuori dallo studio.
Questo ha il fisico di Buffon, e l'aspetto di un attore di Ozpetec. Non si fa... avete fatto la Barbie con le gambe più corte e i fianchi più larghi per non dare canoni fisici irraggiungibili?
E mettete un dietologo con le maniglie dell'amore, per dio.

Come sempre ho la sensazione che quando gli racconto che non bevo e non fumo non mi credano.
Mi impedenzia ed esce che ho una notevole massa muscolare, pure troppa, a giudicare dall'aspetto.
Oh, moro! Come ti permetti?
Guarda che qua il ragazzo è tonico, sai? Sotto due dita di strutto ho certi addominali, disse il mio amico Muà al medico che lo visitava durante la visita militare.
Se non che, vien fuori, che a parte saltare gli spuntini, devo evitare di mangiare gli avanzi dei figli.
Buttar via è un peccato, è vero, ma al bidone dell'umido fa meno male che a me.
Ripetiamo tutti insieme:

 “Al bidone dell'umido fa meno male che a noi”. 
 
Ma è di stimolo per i figli: “Il dottore ha detto che il papà, a volte, non sempre, deve mangiare cose diverse da voi per dimagrire”.
Ma non sarai più il nostro papà ciccione?”
Sarò il vostro papà ma meno ciccione”
E sei stato dal dottore di dimagrire?”
Si, ci sono stato oggi, Jack”
E adesso sei magrino?”
Beh, adesso no, ma piano piano ci arriviamo, ok?”

martedì 24 giugno 2014

Young Fans


Non mi sono mai contraddistinto per tempisto ed opportunismo. In generale.
Però che io abbia scelta, complice la vacanza al mare ed il maxischermo, Italia – Costarica, come battesimo calcistico per i miei figli, la dice lunga su quanto io ci tenga che apprezzino il calcio.
Non ci tendo quasi niente.
Sono sincero, giusto quel poco che mi permetta di fare massa critica un domani, in casa, se ci si dovrà litigare la tv fra la finale di Champions e l'ultima puntata di qualche serial americano.
Perché ad onor del vero a me il calcio un po' a stufato: mi hanno stufato i miliardi, le chiacchere, i tatuaggi e le veline.
Però i mondiali sono i mondiali per cui si guardano e basta.
Perfino Silver la pensa così per cui, a conti fatti, di fare massa critica, per il momento, non c'è neppure l'esigenza.
Però Italia – Costarica è stata davvero una schifezza, al di là del risultato.
Mi annoio, ha detto Pee ad un certo punto, con Jack che si offriva di riaccompagnarlo a casa da solo e dopo di tornare in solitaria (tutto preso dalla nuova abilità di orientarsi in spazi nuovi).
Per quanto, se anche ci fosse stato, l'assistente sociale del villaggio sarebbe sicuramente stato davanti alla tv, per cui non correvo il rischio di denunce, non me la sono sentita e li ho portati a casa a metà del secondo tempo.
La guardo in streaming sull'ipad, ho detto.
Ho capito quante madonne si possono indirizzare ad un aggeggio elettronico in un quarto d'ora...
Ma torniamo ai piccoli.
Hanno capito che gol non se ne segnano tanti. Soprattutto se gioca l'Italia.
Hanno capito che il portiere ha i guantoni colorati. Li vogliono.
Hanno capito che una squadra è bianca e l'altra e azzurra. Mica sempre, al limite li dirotto sulla pallanuoto.
Hanno capito che tra il pubblico è pieno di gente colorata come defiscienti. Tipo: “Mami c'erano due pitturati di blu”.
E basta, stasera ci riprovo sperando in miglior sorte con tanto di pizza comunitaria all'oratorio.
Sperando soprattutto che possiamo avere altre occasioni a breve... sul più bello che hanno capito che si tifa blu non vorrei confonderli.

venerdì 13 giugno 2014

To Mare

Le settimane senza figli non sono mica male, sapete?
Bella scoperta, direte voi...
Invece è una scoperta sul serio; noi ci abbiamo messo quattro anni prima di imparare.
Dovete sapere che i suoceri vanno da trent'anni in questo villaggio del litorale jesolano (ne parlo anche su GC, con taglio diverso, se vi interessa). Piccolino, a misura di bambino, pericoli zero.
Da circa sedici anni, in un misto di eroismo ed incoscienza (l'eroe è anche incosciente) ci portano i nipoti una settimana, lasciandoli poi, la successiva, ai rispettivi genitori, in questo caso noi.

Sicchè sono quattro anni che le nostre "vacanze" si dividono esattamente in due parti: nella prima si rimane nello stesso posto ma attorno tutto cambia.
Non ci sono più i ritmi serrati in funzione dei bimbi, si può mangiare anche un'ora dopo, si può stare a tavola mezz'ora dopo aver finito, non c'è da riordinare le macerie, si può prendere ed andare al cinema, decidendolo ora, via di corsa, al mattino si dorme perché c'è tempo...
Capite? C'è tempo!
Certo, c'è da domare la nostalgia, ma la nostalgia è un problema nostro, non dei bambini. I bimbi al mare si divertono, hanno le cugine grandi, i nonni che non sanno dire di no, per loro è più vacanza questa settimana che la prossima (con quei rompicoglioni di mamma e papà).
E siamo stati bravi Silver ed io, l'abbiamo domato sul serio la nostalgia. Ieri ci siamo perfino dimenticati di chiamarli. Poco male, ho detto, fra qualche anno saranno loro a non chiamarci più quando saranno in giro; me lo auguro, glielo auguro.

Stasera invece andiamo giù noi e sarà la quotidianità familiare di sempre in un posto completamente diverso per una settimana. E staccheremo il cervello dalla follia del lavoro e riguadagneremo gli abbracci, gli schiamazzi, le chiacchere fra di loro ascoltate di nascosto. Ci saranno tutte le cose che ci sono mancate questa settimana.

Ieri sono iniziati anche i Mondiali di calcio, il cronista ha detto spesso "non è più un giocatore giovanissimo" riferendosi a persone che hanno quasi dieci anni meno di me. Complice la settimana senza figli, ho pensato che se l'Italia vincesse non potremmo certo andare a fare i caroselli in macchina come nel 2006, così, d'impulso, come 8 anni fa.
Ed io di questo sono sinceramente contento: la vita è andata avanti, è cambiato tutto ma non ho rimpianti e non ho rimorsi. Siamo ancora qui a godercela. Oggi non riesco ad immaginare una ricchezza maggiore di questa.

Se non ci vediamo la settimana prossimo è perché starò costruendo una "vespa come la tua, papi" di sabbia.


martedì 10 giugno 2014

It's another Laguna Sunrise


Corro in Laguna, alle cinque di mattina (con la nebbia nei polmoni, canterebbe Ivan Graziani).
Abbiamo accompagnato i bambini al mare, come ogni anno da tre a questa parte, dove faranno una settimana coi nonni ed una con noi.
Potendo, e volendo, ogni anno preferiamo non farci l'andata ed il ritorno in una sola giornata perché, statisticamente, la possibilità di farsi sei ore in macchina rasenta il 100%.
Quest'anno invece è andata bene e non abbiamo trovato traffico praticamente mai, riuscendo ad infilarci perfino un cinemino la domenica una volta rincasati.
Ma non volevo parlare di cinema e neppure di traffico.

Ho cambiato scarpe.
Curiosamente ho fatto caso che anche lo scorso anno ho cambiato calzatura nello stesso periodo. I casi sono due: probabilmente ho una compulsione all'acquisto non grave ma ciclica. O io, dopo la chiusura dei bilanci al lavoro, ho bisogno di comprarmi un paio di scarpe per completare il mio maggio.
Mah!?
Se non che, dicevo, avendo le gambe reiniziato a girare in modo decente dopo lo strapazzo della maratona ed essendo il resto del fisico abituato a distanze più lunghe dello scorso anno, mi sono spinto qualche chilometro in dentro per correre costeggiando la Laguna. È uno dei miei panorami preferiti, ancora sufficientemente selvaggio da inquietarmi ed affascinarmi. 
 
Le scarpe dicevo: ho mollato per un po' le scarpe con le dita, per motivi di look, più che altro.
Si, sono un po' volubile.
Però l'operazione non è indolore: cambia leggermente il modo di correre, se non sto attendo fanno male le ginocchia ed i polpacci.
Il piede si scalda, anche. Le scarpe sono ottime ma prima ero praticamente senza, non c'è paragone. E dopo un po' sento i piedi bollire ed un leggero crampetto sull'esterno del piede.
Così dopo una quindicina di chilometri mi sono infilato nella prima via che riportava verso il mare e ho fatto l'ultimo tratto scalzo con i piedi in mare.
Perché è così, non è facile muoversi in scarpe che non sono nostre. Dobbiamo trovare la nostra misura, la nostra dimensione.
Dobbiamo anche capire se ci possiamo abituare ai piccoli dolori che ci danno, se sono piccoli, se dovremmo conviverci o se passeranno. E se passeranno cosa lasceranno? Una vescica che si rimargina, un'unghia nera che rimarrà più a lungo o un'infiammazione che ti segnerà per il futuro?
Di certo c'è che va fatta una scelta, ad un certo punto: devi decidere quali sono le tue scarpe e non ci sono date infinite possibilità di provarne.
Al limite puoi correre scalzo, ma anche questa è una scelta e come tale porterà le sue conseguenze, le sue specifiche ferite.
Certo, ti potrà sembrare che nessuna sia la scelta ottimale ma neppure il piede in due scarpe si può tenere. A quel punto sarà il tuo piede stesso a volersi liberare di te.

mercoledì 4 giugno 2014

Io armi non ne ho


Mi spaventa molto essere l'ultimo a capire le cose.
Avete presente quella scena di “The Bourne identity” dove Jason e la sua sventurata compagna di viaggio entrano in una tavola calda e lui, che ancora non conosce la propria identità, trova che non sia normale aver già fatto il check up di tutte le auto in parcheggio e di tutti gli avventori dell'osteria?
Ecco, a me non capita mai.
Ma non mi capita neppure nelle relazioni.
Ci sono persone che penso di conoscere ed invece mi ritrovo, prima o dopo, qualcuno che mi guarda, sbuffa e mi dice: “Ma come, vuoi dirmi che tu non sai niente?”.
E giù coi particolari.
Ed io mi stupisco ogni volta di quanto io possa essere ancora così ingenuo...
Dico, ma come cavolo mi avete educato, mamma, papà?
A fidarmi della gente? A credere sempre nella genuinità dei sentimenti, delle realzioni? Delle parole?
Niente, sbagliato, pericoloso.
E dire che non sono una persona fragile: io nella tensione ci sguazzo, non ho paura dei toni alti, li ammorbidisco con la mia pingue ironia.
Ma forse sono come quei guerrieri, avete presente il colosso amico di Massimo ne “Il Gladiatore”? Sono talemente convinti della propria forza che non si proteggono, non usano astuzie tipiche di chi è più smilzo. Ed alla fine la frecciata arriva, il fendente che ti ferisce e ti fa cadere a terra.

Eppure non sento la voglia di cambiare. Certo, mi dico “la prossima volta starò attento” ma qualche capello grigio mi ha insegnato che io disattendo sempre queste promesse.
Io credo in un mondo senza bassezze, senza sotterfugi, con goffaggine ma senza reale cattiveria. Ci credo a costo di morirci negando l'evidenza.
Ma papi, alla fine i buoni vincono sempre?”
Si, Amore mio, alla fine i buoni vincono sempre”.