venerdì 23 ottobre 2015

San Marco è senz'altro anche il nome di una pizzeria

Domenica c'è la Venice Marathon.
Non parlo più tanto di corsa qui, perché lo faccio su Folgorante Social Club assieme a tutti gli amici della squadra.
Una figata quel blog, lì, sul serio e chissenefrega delle statistiche e dei followers (almeno lì! Qui mi interessa un sacco, dei followers, per lo meno).

Ieri sera e passato a trovarmi il papà di Paolo e mi ha regalato la sua bandana. Non è una bandana in senso stretto; è un tubo di stoffa che si può usare in un sacco di modi.
Io spero di portarla in modo degno.
Paolo era un grandissimo atleta. La TdH a cui avevamo partecipato assieme lui l'aveva completata praticamente senza allenamento. Ricordo ancora al liceo, in uno dei momenti di mia massima forma, che provai a stargli dietro alla campestre di quinta superiore. A metà del primo giro era in tal debito di ossigeno che parevo un astronauta che si toglie il casco nello spazio.

Ma sono molto contento che i suoi genitori me l'abbiano regalata ora che lui non è più qui con noi. Mi piace l'idea di correre a Venezia con qualcosa di suo, in nome di tutte le gare che avevamo sperato di correre ancora assieme.

E poi c'è il Nikio e la raccolta fondi che ha ancora un po' di spazio per farvi sentire parte di qualcosa di più importante che una semplice corsa. Saremo un'intera comunità che si sposta in laguna, domenica, tra famigliari e corridori. Il prossimo anno facciamo la corriera.

E infine la mia prestazione. Non me ne importa un granché, se devo essere sincero; quando mi chiedono che tempo prevedo rispondo sempre che spero ci sia il sole.
Me ne importa così poco che ho deciso una tattica harakiri: mi attacco ai polpacci dei pacers delle 3 ore e 30 e vado finché ce ne sarà. So già che scoppierò ma non mi interessa. Di certo non corro per fare pochi minuti meglio dell'anno scorso. Preferisco tentare l'impossibile e divertirmi come un bambino. Al limite mi fermo e aspetto gli altri.
E comunque, via, niente cardiofrequenzimetro, niente gps. Solo la bandana di Paolo in testa, la N di Nikio sul cuore  ed emozioni.
A Dio piacendo, lunedì vi racconto.
Buon week end a tutti

giovedì 22 ottobre 2015

Rock-a-bye sweet Paolo

Mi ero ripromesso basta tristezza.
Lo avevo promesso a Nicola e adesso vorrei riprometterlo a Paolo.

Sabato mi girava in testa il refrain di "Rhymes and Reasons" di John Denver. Non che ami John Denver o il country in genere, ma le mattine sono così: ti gira in testa Seven Nation Army? Fino a sera Seven Nation Army. Hai la sfiga di svegliarti con gli One Direction? Non ti schiodi da lì fino a sera.
Mi sono fatto l'idea che è il nostro cervello che ci manda dei messaggi che poi hai voglia ad ignorarli.
Infatti mi sono cercato su spotify John Denver e l'ho messa in loop, mentre cambiavo le lenzuola dei letti con Silver. Poi lei se n'è andata a tagliarsi i capelli ed io per la prima volta nella vita ho cercato il testo di quella canzone e mi ha fatto un certo effetto:

So you speak to me of sadness
And the coming of the winter
Fear that is within you now that seems to never end
And the dreams that have escaped you
And the hope that you've forgotten
And you tell me that you need me now
And you want to be my friend

 
Groppo in gola! 
Io non ricordavo assolutamente le parole di Rhymes and Reasons, l'avrò ascoltata si e no quattro o cinque volte e saranno stati almeno vent'anni che non la sentivo.
Eppure era lì, che fluttuava nel mio cervello ed è riemersa sabato mattina. 
Così domenica, complice Silver via per lavoro ed i nonni che si sono portati a spasso 5 nipoti cinque e due cani da 40 kg l'uno (i nonni sanno superarci in follia, a volte), mi sono goduto la stirata pomeridiana con un compilation country rock abbastanza malinconica. Che se il cervello  vuole tristezza, diamogliela finché fa indigestione. 
Così, memorie di campiscuola, di primi arpeggi con la chitarra, di gite scolastiche a cercare di impressionare la bionda di 5 C con l'inizio di Desperado degli Eagles (che poi l'originale è fatto con il piano e la bionda capiva un caz di muscia e figurati se apprezzava lo sforzo di rifarla uguale con la chitarra). 
E niente, pareva che il peggio fosse passato. 
Senonché, ieri sera in macchina, tornavo tardi dal lavoro. Partivo da sotto il Summano, l'ultima volta che ero stato con Paolo eravamo salitì lassù di notte. Inutile ripetere di cosa parlammo, che lo ha già fatto John  Denver. 
Poi però, che quasi ero arrivato, è partito James Taylor 
 
as the moon rises he sits by his fire, thinking about women and glasses of beer.
And closing his eyes as the doggies retire, he sings out a song which is soft but it's clear
as if maybe someone could hear...

Goodnight you moon light ladies, rock-a-bye sweet baby James.

e mi sono messo a piangere come un bambino: a singhiozzi inconsolabili.
E così ora, in queste inutili poche righe, canto sotto voce il mio saluto, come se Qualcuno potesse sentirlo. 
Buona notte, dolce Paolo

martedì 20 ottobre 2015

È stata ristabilita la viabilità ordinaria

È stata ristabilita la viabilità ordinaria.
Quante volte lo leggiamo.
Ho provato a scriverci un post sopra ma non ci riesco.
La settimana scorsa è morto Paolo ed io non sono ancora riuscito a ristabilire la viabilità ordinaria.
C'ho i miei tempi. Portate pazienza.
Nel frattempo ho un po' di tachicardia. Che per me significa 60 battiti e poco più al minuto. Mi dà fastidio, soprattutto quando corro.
Non serve a nulla essere bradicardico se poi qualche battito in più ti fa lo stesso effetto che agli altri gliene servono 120.
Annebbia un pochino la vista. O forse ho solo gli occhiali sporchi. Adesso magari me li tolgo e provo a vedere se pulendoli il mondo mi sembra più chiaro.
Mi piacerebbe che lo fosse, più chiaro e più limpido in generale.
Che si piacesse un po' di più, che non si buttasse ogni giorno sotto al treno della propria disperazione.
Che non fuggisse davanti alle sue sofferenze e non le pensasse problemi degli altri a tutti i costi.
Che chi fugge non è chi si butta sotto al treno; chi fugge siamo noi quando facciamo finta di no. Sono io, che tento solo di ristabilire la viabilità ordinaria nel mio cuore.

venerdì 16 ottobre 2015

Shine on you crazy diamond

Potrei cambiare nome al blog; chiamarlo Stratomorte o Funebabbo.
Perché mi sa che in poco più di un anno ho scritto di amici che ci hanno lasciato qui, per un motivo o per l'altro, quattro o cinque volte.
Brutte storie, tutte.
Una volta una persona mi ha chiesto se ero depresso che parlavo sempre di morte.
Non aveva capito, quella persona, che scrivere serve anche ad esorcizzarla la morte; purtroppo non a evitarla, che se bastasse quello altro che popolo di marinai e di poeti.
Che si farebbe anche volentieri a meno di scrivere, dipendesse da me, di morte almeno, e, tempo permettendo (atmosferico e cronometrico), si andrebbe a correre in leggerezza. 
Invece poi mi arriva la telefonata di un padre, che un po' non trova le parole e un po' le trova. Ma tanto io già lo sapevo che era quella la notizia.
Che il padre di un compagno di università che ti chiama al lavoro, che altro motivo avrebbe?
Così finché lui cerca le parole tu cerchi le alternative, ma nessuna e credibile e quasi glielo chiederesti tu.

Se n'è andato una mattina. È andato a prendere per l'ultima volta quel treno che tante volte ci aveva portato all'università al mattino e riportato a casa la sera.
Quando la frase: "è così intelligente, così brillante" non era preceduta da "è pensare che" e, in ogni caso, era declinata al presente e non al passato prossimo come sarà da oggi in poi.
Tanti anni fa, quando c'era solo speranza e sperimentazione di vita, di amore immaginato, di bellezza da scoprire e da creare.
Bellezza che spero trovi adesso, in qualunque posto quel treno ti abbia portato.
Shine on! You, crazy diamond! 

lunedì 5 ottobre 2015

Corsa magistra vitae sed quoque no

Tutta questa faccenda della corsa come metafora della vita, beh, ecco, è una cagata pazzesca.
(oltretutto chissà se ho beccato il titolo)

Ammetto che anche io sono arrivato a paragonare le due cose, spesso, faceva molto fico, tutti i runners ti ammirano, le runners ti riconoscono grande sensibilità e, se solo potessi abbassare il mio tempo al km, garantirebbe cucco sicuro (che alla fine i runners, maschi e femmine, sono preoccupati solo del tempo ed il resto è corollario).
Ma la corsa è una corsa. E basta.
Si, c'è da pianificare, come nella vita, da darsi degli obiettivi, non lo facciamo tutti i giorni? Poi si parte con entuasiasmo e si affrontano le prime crisi, che piano piano passano, in amore non è lo stesso? E poi la testa che deve tener duro pià delle gambe, la razionalità nello sconforto e bla bla bla bla.
Va bene, scherzavo, la corsa può essere la metafora della vita.
L'importante allora è che non accada il contrario: che la vita diventi una metafora della corsa ed in questa ci lasciamo risucchiare.
Scambiavo qualche battuta con un'amica che mi chiedeva sull'opportunità di fare o non fare una maratona. Mi gaso sempre quando mi fanno queste domande, quasi che fossi un grande corridore, dall'alto delle mie due maratone corse e dei tre o quattro trail andati così così.
Ma in sostanza la mia risposta è tutt'altro che tecnica: ti devi divertire. Se pensi che possa divertirti, corri la maratona.
Cosa vuol dire divertirsi?
Il giorno della gara lo fai di sicuro. Prima dello start è tutta adrenalina. I primi dieci km devi stare attento a non strafare perché tra bimbi che ti danno il 5, complessini rock e corridori travestiti in modi improbabili è tutto un carnevale e ti viene da correre come un matto. Anche all'arrivo, se non sei troppo morto, è festa assicurata.
Quello che sta in mezzo no, è fatica allo stato puro, dolore, a volte... allora devi capire se ne vale la pena.
Ah, poi ti devi divertire ad allenarti: a pianificare i percorsi, a studiare cosa mangiare, a buttare giù un programmino (da disattendere) per gli allenamenti.
Devi correre tanto. Significa ricavarsi delle ore per andare a correre.
Devi reggere lo sguardo dei tuoi familiari che ti instillano il senso di colpa perché molli i figli la domenica.
"Ma se sei sempre così fiera di me al traguardo di una gara, perché mi fai sentire in colpa se sto via un'ora in più?" Ho chiesto a Silver qualche tempo fa.
"Il senso di colpa fa parte del gioco" Mi ha risposto sorridendo.
Ecco, anche questi incastri familiari ti devono divertire, fa parte del gioco.

Non esiste correre per provare qualcosa a sé stessi: se pensi di essere una persona da poco la Maratona non risolverà i tuoi problemi e allora ti butterai su qualche Ultra più lunga e così via, fino a stare male o fino a rendersi conto che la corsa non è una gara ma una fuga e non ci sarà mai un percorso sufficientemente lungo su cui fuggire

Non esiste nemmeno per dimostrare qualcosa a qualcuno: ci sarà sempre chi ti dirà che non ce la farai mai, che è da pazzi, che è impossibile.
L'unica cosa impossibile è che chi te lo dice cambi idea.
Quando arrivi ti dirà che sei stato pazzo e che adesso starai male un mese. Quando ti sarà passato il male e ti scriverai alla prossima corsa avrà la certezza che sei matto e così via a ricominciare.

Non esiste nemmeno come gesto catartico, simbolico, per voltare pagina, o che so io.
Oggi sul Giornale di Vicenza scrivevano di un tipo paraplegico che ha attraversato lo stretto di Gibilterra a nuoto. L'intervista è bellissima: lui non parla di gesti simbolici o altro; racconta un'impresa sportiva e basta. E dei prossimi programmi. Come ne parlerei io se qualcuno mi chiedesse (oltretutto questo a nuoto pesta come un dannato: facendo due conti della serva, senza l'uso delle gambe va circa al doppio di quanto non vada io. È per questo che a me nessuno chiede mai niente).

Insomma, smettiamola di infilarci significati che non ci sono, corri se ne hai voglia, corri se ti piace, corri per una maglietta ed una medaglia. I tuoi problemi torneranno lunedì e alla maggior parte del mondo, di quella medaglia, importerà gran poco.
A me serve giusto di portare a casa la terza, sennò i bimbi si litigano le altre due.

Su Occhio al Nikio stiamo andando alla grande... vuoi che vinciamo senza il tuo aiuto?

giovedì 1 ottobre 2015

Jack si alza presto

Jack si alza presto la mattina.
Di solito sto facendo il caffè e dò le spalle alle scale. Ma è impossibile non sentirlo arrivare, con il suo passo per nulla agile.
Non dice neppure ciao, si avvicina al tavolino dove di certo ha lasciato qualche gioco la sera prima e noi proprio non ci siamo arrivati a metterlo via.
Se mi volto piano lo guardo senza farmi vedere ed è bellissimo, con quegli occhi color miele e i capelli biondi tagliati cortisimi e l'aria ancora assonnata. 
Alza lo sguardo e finalmente mi vede, ancora nemmeno un ciao.
"Batman di che colore aveva la cintura nel film dove è con Robin?"
Si gode la figliunicità di questa prima mezz'ora della giornata, Jack. Lui che è così tranquillo, che non riesce ad avere le pretese d'attenzione lunatiche della sorella maggiore e neppure la (talvolta) molesta fisicità del fratello gemello, passa quasi inosservato. Non è particolarmente coccolone, come si potrebbe pensare dalla morbidezza dei suoi lineamenti.
Ma potrebbe tenerti ore a ragionare su un film Marvel.

Una vera passione quella di Jack per i supereroi e per i fantasy in genere. Raccontandogli storie di supereroi gli ho fatto fare 17 km e 1000 metri di dislivello in un giorno solo. È stato più difficile gestire sua madre.

È un bimbo Jack, un bambino di cinque anni: non problematico, per fortuna, non più maturo del necessario, non particolarmente geniale. É un bimbo che ti potresti dimenticare, talvolta, da quanto è capace di mettersi un mantello ed una maschera e uscire a giocare, anche da solo, immaginandosi sul suo cavallo ad andare incontro al tramonto.
Oppure alla sera, quando si mette sotto le coperte e si addormenta, senza mai chiamarti, senza mai una storia più del necessario, solo abbracciato al suo Pluto  logoro e arrivato chissà da dove.
Così è prezioso questo suo alzarsi presto, questo raccontarci i film. Un po' ricorda una scena già vista: una madre che raccontava i film al figlio che si alzava prima.
Se se ne ricordasse, da grande, come me lo ricordo io, potrei già dirmi contento.