venerdì 12 giugno 2015

Ieri, dieci anni fa

Ieri, dieci anni fa.
Ieri perché avrei dovuto scriverlo ieri.
Dieci anni fa non c'era il sole di oggi: faceva freschino, alla mattina. Alla notte avevo dormito abbastanza bene, come il mio solito. Verso le dieci mi chiamò Silver, leggermente in ansia e anche un po' incazzata perché i suoi la stavano tirando scema che se quelli del catering avessero preparato fuori e avesse piovuto, sarebbe stato un disastro.
Lei, chiaramente, doveva solo fare il gesto di chiamarmi, per tranquillizzare i suoi. Abbiamo condiviso che: ok che quelli del catering sono una cooperativa sociale, ma dovrebbero arrivarci da soli a capire che se piove non è il caso di apparecchiare fuori.
Dei momenti che portano alle due del pomeriggio ricordo gran poco: abbiamo preparato  delle tartine con la mia famiglia, per accogliere gli ospiti: i cugini che non vedi mai, i vecchi zii.
Con Silver eravamo d'accordo di vederci in chiesa, un'ora prima della messa, assieme al coro. Perché per noi i matrimoni sono stati tutti così: a provare le canzoni e ad aspettare. Che tutte quelle moine, della finta sposa e la gente che ti aspetta in piazza e la sposa in ritardo, non ci sono mai piaciute tanto. Ci siamo salutati sulla porta e ricordo di aver pensato che era davvero bellissima.
Gli invitati arrivarono alla spicciolata, prima, più massicciamente, poi. Ricordo distintamente il "Ma voi che cazzo ci fate già qui?" del mio amico Zambo.
Ricordo che noi eravamo anche pronti ma mancavano i miei, in ritardo, as usual, e mia madre doveva portarmi all'altare.
Ricordo la messa che è iniziata e che abbiamo riso come dei deficienti per tutto il tempo perché fin dalla prima frase del libretto il prete ha trovato un refuso con il nome sbagliato degli sposi. Avevo impaginato tutto facendo copia incolla da quello di mio fratello che si era sposato qualche mese prima e non avevo controllato bene. Per fortuna il sacerdote riuscì a dribblare ogni insidia e a non risposare nuovamente Sara e Silvio.
Poi avevamo deciso di cantare una canzone noi e la mia comare Debora mi prendeva in giro e diceva che sembravamo quelli di "Quattro matrimoni e un funerale" che cantavano "Stand by your man".
Un po' aveva ragione, ma chissene.
Poi la macchina che si è rotta in autostrada, andando al ristorante, e tutti a pensare che il nostro autostop vestiti da sposi fosse uno scherzo e allora clacson e tanti saluti da parte dei camion (quando ti sposi non porti con te il cellulare).
L'arrivo al ricevimento con il giubbino ad alta visibilità, in ritardo cosmico rispetto agli altri invitati, fu un colpo di genio, per sdrammatizzare. (Anche passare al casello in cinque di cui una vestita da sposa dentro ad una fiat idea dell'unica anima pia che si fermò non fu male).
E poi basta, nebbia fino a sera, "Sweet Home Alabama" cantata a squarciagola con gli amici che suonavano e la cameriera timida che verso una certa ora mi disse: noi dovremmo anche andare. Di liquido non c'era più nulla in giro e l'amico che ci doveva portare a casa era ubriaco.
Ma in qualche modo mi sa che ci siamo riusciti, o non sarei qui, dieci anni dopo, a raccontarlo.

6 commenti:

  1. molto bello, molto autentico, moltisismo divertente.

    Susibita

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  2. Un bel racconto per l'inizio di un grande viaggio.
    Complimenti.

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  3. auguriiiiiiii
    ps. io i libretti non li ho fatti, ho usato quelli in dotazione della chiesa generici con SPOSO SPOSA sapevo che avrei fatto un casino.
    Sandra

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  4. Racconto fantastico :D
    Buon anniversario anche qui!

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  5. Buon anniversario! Mitica la macchina rotta in autostrada...

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  6. Quando si inizia così non potrà che essere una magnifica avventura! Tanti auguri!

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