mercoledì 25 marzo 2015

Il Piano. Piano


Mi rendo conto sempre di più di quanto la corsa sia una metafora della vita.
Bella scoperta, potreste dirmi, lo hanno detto tutti da cento anni a questa parte. Vabbè, oh, meglio uno in più che uno in meno, dico io.
In realtà io non sono neppure sicuro che sia proprio così, perché alle volte, penso, si corre un po' come si vive.
Io ad esempio non ho tante pretese ma, nello stesso tempo, mi piace sapere, conoscere e prepararmi a certi eventi. E lo faccio sia nella corsa sia nella vita con un pelino di pressapochismo che aiuta i miei amici a sopportarmi ed i miei colleghi a deterstarmi, probabilmente. Oltre che dà qualche motivo a Silver per incazzarsi di tanto in tanto, sennò, in tutta questa perfezione di uomo, poraccia... vabbè, cambiamo discorso.
Ad esempio non ci sarebbe stato male un post sulla festa del papà. Ma non ci sono arrivato.
Avevo anche in mente qualcosa per la giornata della Sindrome di Down. Ma ho cannato pure quell'appuntamento.
Così mi ritrovo a scrivere un post demmerda in pausa pranzo, come ai tempi d'oro, quando scrivevo un sacco di postdemmerda pur di scrivere qualche cosa. Ora invece non mi sforzo più di tanto e li scrivo demmerda solo quando mi vengono.
Ma torniamo alla vita metafora della corsa o viceversa: dopo una gara serve il recupero. Così come nella vita, dopo un appuntamento importante serve il riposo.
A me, più che il riposo riposo, piace il riposo attivo: ci si dedica alle attività che fino a quel momento, causa scadenza importante, si è trascurato.
Sono le classiche giornate in cui vai al lavoro convinto di non avere nulla di urgente da fare e potrai dedicarti ai grandi progetti nel cassetto e, già che ci sei, anche ad una maggiore attenzione verso gli altri. Così ascolti ogni paturnia con empatia e arrivi a sera che non hai combinato un cazzo se non aver girato come una trottola per otto ore.
A casa è quasi la stessa cosa, per quanto la parola «riposo» mal si adatti alla mia situazione familiare.
Però nella corsa, passata l'esaltazione da Ultratrail, volevo dedicare qualche uscita a quello che chiamo il «Piano piano». Ho fatto tanta salita in questi mesi? E allora pianura (da cui il piano). Hai corso come un forsennato sfondandoti di ripetute, progressivi, scatti? E allora rimo lento (da cui il secondo piano).
Senza volerlo è diventato un mantra. Piano piano, senza grandi obiettivi.
L'ho fatto una volta e già mi sono rotto le balle.
Serve a questo, il piano piano, nella corsa come sul lavoro o nella vita: a capire che ci sentiamo più vivi di corsa e che, se riposo deve essere, lo sia dopo giornate esaltanti.

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