giovedì 21 aprile 2016

Come d'autunno

L'altra sera ero in Pronto Soccorso, per lavoro, nulla di grave fortunatamente.
Dopo qualche minuto che eravamo lì dentro sentiamo urlare e piangere in corridoio. Non si capiva bene, ma non serviva un genio per capire che era successo qualche cosa di grave.
Poi, dici, sei al pronto soccorso, facile che sia successo qualche cosa di grave.
Ma piano piano quell'urlo e quel pianto hanno iniziato ad essere messi a fuoco.
La voce era di una bambina, una ragazzina, dal tono, ma così, senza vederla, poteva anche avere l'età di Maria.
Ad ingannarmi la frase: "Voglio il papà! Voglio il papà, Voglio vedere il papà!" Così, insistente e fermo, come sono i bambini disperati.
I bambini si disperano allo stesso modo per le sciocchezze e per le cose gravi, penso. Non è colpa loro, è come saper controllare la forza, migliorare nella manualità fine.
La scena dura una mezz'ora, in una sorta di teatro surreale, con i personaggi in scena, noi, a cercare di parlare tranquilli sdrammatizzando lo scampato pericolo, e le voci fuori campo terribili ed angoscianti, le uniche che si sentono, quasi come se noi non stessimo realmente parlando. Gli occhi sono qui ma la mente è là fuori in corridoio.
Ci chiedono di uscire.
Usciamo.
Due infermieri cercano di accompagnare con un po' di fatica una ragazzina di circa 12-13 anni, verso la stanza accanto alla nostra. È sfatta dal pianto e probabilmente non si reggerebbe sulle gambe se la lasciassero.
Il padre è morto sul lavoro.
"Ciao amore, ci vediamo stasera"
"Torni presto?"
"Faccio il possibile, promesso".

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