Poi studiando bene non si capisce chi avesse fatto la corsa, se fosse stata veramente fatta, e quanti chilometri misurasse.
Poco importa, era nata la leggenda.
Cosa possa spingere un quarantenne a mettersi le scarpette da corsa e allenarsi per la Maratona io, devo essere sincero, non l'ho ancora capito bene.
Diciamo che è importante avere un obiettivo; per qualche mese si corre sperando di dimagrire, si corre per aumentare il chilometraggio. Poi non funziona più, serve sapere che dovrai farne tanti per motivarti.
Così ieri la "il Lungo, il Corto ed il Pacioccone Running Team" se n'è partita per Padova, per affrontare quella che era per due terzi della compagine la prima maratona in assoluto. Anche se l'unico ad aver già corso la distanza, il Corto, lo aveva fatto 14 anni e svariati chili fa, a New York.
Il ritrovo a Campodarsego è dentro una specie di hall non si capisce di cosa. Ci si fa un trip a base di olio canforato, sudore e clima pregara.
Il Corto decide di andare del suo passo e si tiene indietro.
Dopo un chilometro due belle ragazze si coprono il viso con la bandana e si smutandano, così, come nulla fosse, e vanno ad accovacciarsi a pisciare sul ciglio della strada. Faccia coperta e culo al vento, interessante prospettiva di vita.
Faccio i primi cinque chilometri sul sedere di una ungherese che segna il tempo davanti a me.
I primi dieci km me li bevo: un'ora e due minuti.
A quindici il Lungo mi saluta e si prende quei duecento metri di vantaggio; mi appaiono davanti i palloncini colorati dei pacers che tengono il ritmo sulle 4 ore e mezza. Sto da dio, ora me li tengo lì davanti per un po' e poi me li vado a prendere.
Venti chilometri, due ore e tre minuti. Cazzo, finisco in quattro, se vado avanti così.
A Venticinque chilometri inizia un crampetto al cosciotto posteriore... stiro un attimo, mi concentro sulla postura e riparto. Piove forte, adesso.
Trenta chilometri, si spegne la luce: inizio a sentire male ovunque.
I piedi fanno male, le gambe sono dure, ho perfino un formicolio alle mani. Dietro non vedo il Corto, spero stia bene, davanti non scorgo più il Lungo.
Inizio ad avere le visioni, vedo il Lupo e Cappuccetto Rosso che mi superano
Mi affianco ai pacers delle cinque ore, mi portano all'incirca ai 35 km... poi non ce la faccio, sono proprio scoppiato...
Pazienza, ora l'obbiettivo è arrivare. Fino ai 39 il percorso è un insopportabile drittone di asfalto, lo affronto con due coriacei ultrasettantenni che trasfondono passione per la corsa da tutti i pori. Decido che voglio arrivare con almeno qualcuno dietro e provo a raschiare il barile. Gli tolgo il fondo, al barile, e scavo sotto, direttamente nella terra delle mie energie.
Il ciottolato di Padova mi galvanizza, un crampaccio all'ultimo chilometro mi fa smadonnare le ultime litanie a Sant'Antonio; schiena dritta, gambe rilassate, busto a guidare... arrivo in Prato della Valle da solo, il giro della piazza è felicità allo stato puro.
5 ore e quattordici. Un tempo assurdo, vergognoso e poco onorevole. Ma cazzo, ho quarant'anni, peso quasi cento chili, fino ad un anno e poco più fa ero un pantofolaio divanato ed oggi ho finito la mia prima maratona.
Certo, si potrebbe pensare di riprovarci, per tentare un tempo migliore. Non è escluso che non si possa fare.
"Perché fai una gara se sai già che perdi?" mi hanno chiesto i bambini qualche giorno fa. Perché abbiamo sofferto ed abbiamo resistito, abbiamo pensato di fermarci ed invece siamo arrivati.
Questo è quello che mi porto a casa dalla Maratona.
E poi noi avevamo la nostra missione, il nostro motivatore intrinseco:
Per mesi abbiamo cullato l'idea di poter correre con un messaggio di speranza per un comune fratello che invece ha corso più veloce di noi e ci ha lasciato.
Guccini invece canta "Voglio però ricordarti com'eri, pensare che ancora vivi. Voglio sperare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi". La frase intera non ci stava, ma siamo sicuri che ti sia arrivata lo stesso. Magari malconcia, magari stanca, ma sfido chiunque a convincermi del contrario.