Home Page

lunedì 26 marzo 2018

La pesante Eredità

Stamattina ho appreso della morte di Fabrizio Frizzi.
Devo dire che la notizia mi ha scosso molto più di quello che pensavo e credo che sia per due motivi:

Il primo è che i miei figli da circa un mese guardano l'Eredità. Un mese è poco, no? Eppure già lo chiamavano Fabrizio; "Ma quanti anni ha Fabrizio?" "Quanto è alto Fabrizio?" "Ha figli Fabrizio?". Come fosse uno zio.
Certo, aiuta il fatto che l'Eredità è proprio il giochino a misura di famiglia, piacevole da guardare tra la preparazione della cartella e la cena in tavola. 
Stamattina non ho avuto cuore di dir loro che Fabrizio Frizzi è morto. Eravamo pronti, vestiti e calzati per andare al piedibus. Non ero pronto.
Pensare che mi vanto sempre di come riesca ad affrontare con loro tutti gli argomenti difficili: l'olocausto, ad esempio. O la morte di qualche amico, è capitato.
Però penso ci sia anche un altro motivo: Frizzi era uno di famiglia, anche se non lo conoscevo. Di lui ricordo i sabati sera a guardare Europa Europa con i miei e poi Domani Sposi, che facevano ad ora di cena (a casa dei miei c'era sempre la tv accesa, altro che Orwell).
A volte mi urtava un po' questa aria da lillone imbranato, pure adesso che aveva sessant'anni. Però ci si abitua volentieri al garbo e alla misura. Non è un caso che piacesse ai bambini.
Poi adesso sono anni che non seguo più, che in tv vedo solo film, però boh... mi sento come le vecchiette quando è morto Mike Bongiorno.
È brutto invecchiare e diventare più fragili. Così fragili che pure la morte di una persona sconosciuta ti provoca quel senso di mancanza che non diresti mai.
È brutto invecchiare. Tant'è, pare che l'alternativa sia peggiore. Non so chi l'avesse detto ma aveva ragione.
Buon viaggio Fabrizio.

venerdì 2 febbraio 2018

Il colloquio

Manco da una vita.
Scrivo poco in generale, a dire il vero. Mi sono fissato che una volta a settimana, in pausa pranzo, se tutti gli astri si allineano, vado a nuotare. Era la volta che scrivevo. Ma fisicamente mi dà qualche soddisfazione in più e allora pazienza se scrivo poco.
Ma non volevo scrivere che scrivo poco.
Siamo entrati nel tunnel della scuola.
Capirai, Maria è in terza, ormai dovremmo essere lanciati.
Invece qua ogni mese che passa pare più dura. Sembra quando faccio qualche corsa lunga: all'inizio faccio sempre fatica. Poi so che entro in temperatura, ci metto tanto, a volte più di venti km, ma poi ho quei due tre km di serenità. Poi inizio ad essere stanco ma tengo duro, arriva la crisi e passa. A volte.
A volte non passa e peggiora e allora ti fai prendere dallo sconforto. A volte passa lì, altre no.
Ogni volta il dilemma: continuo sperando che passi? E se poi non passa? Nel frattempo vado avanti.
La scuola dei figli è simile. All'inizio abbiamo fatto fatica ad ingranare. Parlo dell'inizio della prima di Pee e Jack, che Maria è così brava che quasi non ce ne siamo accorti. Poi verso la fine della prima meglio. Quest'anno boh, siamo continuamente nel vortice e non capiamo nulla. Alle volte pare tutto bene. Altre tutto male.
E andiamo in confusione e sbagliamo a mettere i quaderni nelle cartelle e vanno senza le posate per il pranzo e con la merenda umida perché la bottiglietta perde.
Poi, guarda un po', non sono tutti uguali. Hanno tempi diversi, capacità diverse, passioni diversi e a volte mi viene il dubbio che non siamo abbastanza bravi a tenerne conto.
Non riesco a dare un nome a questa sensazione, ma penso che somigli a quella di mamma, che quando andavo male a scuola entrava in camera e si sedeva sul letto: "Ma di preciso, cosa ti ha detto la prof?"
Non le ho mai risposto.
Adesso capisco che sbagliavo.