venerdì 14 febbraio 2014

Le Rose a S. Valentino

Poteva essere tutto perfetto: c'era il mare, triste ma fascinoso nel freddo dell'inverno di Rimini, c'erano anche i fiori, seppure si trattava di un disegno sull'insegna di un albergo.
Solo che c'era anche tanta solitudine, tanta disperazione e amore, invece, quasi niente.
E poi ci fu la morte, la più brutta, la più dolorosa; la morte da reietto, la morte che "in fondo se l'è cercata" e quindi meno degna di lacrime, una morte di serie b, una morte da mediocre.
Perfino per morire ha dovuto doparsi.
Mi sarebbe piaciuto che qualcuno avesse avuto il coraggio di dire così. Soprattutto qualcuno che cinque anni prima lo aveva crocifisso sulle pagine di un giornale o sui servizi televisivi, additandolo come nemico pubblico numero 1 del ciclismo italiano e mondiale.
Per coerenza avrebbero dovuto attaccarlo ancora, infierire sul cadavere.
Invece tutti a piangere, ad accusare chissà chi di averlo abbandonato, di averlo lasciato solo.
Ricordo di aver provato dolore come per la perdita di un amico, quella sera. Dopo di lui nessuno è più riuscito a farmi saltare sulla sedia guardando il ciclismo e, anche a non considerare l'atleta, il personaggio, in fondo aveva solo qualche anno più di me.

E ricordo la rabbia per tutta quella ipocrisia, per tutti quei fazzoletti che asciugavano lacrime finte e non richieste.

Non si salvava nulla della vita del povero Marco Pantani: non il ricordo delle gesta, sulle quali calava la triste ombra del sospetto, non l'amore vero o presunto di chi gli stava attorno e poi lo aveva lasciato, che è pure difficile vivere con un tossico, con un depresso.
Solo l'ironia, pareva esserci ancora, a riuscire ad apprezzarla.
L'ironia che fa mettere nella stessa frase "Le Rose" ed una morte solitaria di un ragazzo di 34 anni nel giorno di San Valentino.

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