martedì 25 giugno 2013

Sapore di mare

Si lo so sarei in ferie ed avevo detto che non scrivevo. Più che altro pensavo di non averne tempo. Invece ho fatto una contrattura al polpaccio ed i tempi di allenamento mattutini si sono dimezzati. Così mi rimane il tempo per vessarvi un po' anche questa settimana. 

A me la vita da mare non piace, credo non mi sia mai piaciuta.
Mi spiego meglio: mi piace il mare. Mi piacciono le città di mare. Ancora più alcuni porticcioli che ho visto su in Bretagna, sull'oceano. O il fascino, un po' cadente di Pellestrina.
Non amo particolarmente la vita balneare: crema, spiaggia, bagno, doccia, crema, sabbia, doccia, cena, balli di gruppo, buona notte.
Eppure credo sia la soluzione più semplice, forse non la migliore ma di sicuro la più semplice, per chi ha bimbi piccoli. In fondo credo che la pensassero così anche i miei, visto che appena abbiamo avuto un età decente hanno iniziato ad allargare il raggio e portarci in Toscana o in Etruria, a concedersi almeno un paio di giorni di turismo culturale. Poi, appena ci siamo levati dai coglioni, hanno iniziato ad andare a godersi le vacanze al mare sì, ma dove si potesse girare in bici o cose così.
Forse sarà questo anche il nostro destino, trovare delle famiglie compagne di viaggio e allargare, a cerchi concentrici, il nostro raggio d'azione.
Nonostante ciò molti odori, gesti, sensazioni, mi sono rimasti dentro, come le colonie di cui ho parlato tempo da.
Ricordo le spese sovrumane che facevano prima di partire; mio padre prendeva in prestito un enorme Opel Kadett station wagon tutta arrugginita e si andava in uno dei primi discount della zona. Tornava stracarico di pasta, di sugo, di latte a lunga conversazione. Manco dovessimo partire per il deserto: s'andava a Caorle.
Poi quei prodotti che esistevano solo per il mare: la simmenthal, la pressatella.
Poi la Cioccoina! Chi se la ricorda? Era una vasca di crema spalmabile nemmeno lontanamente paragonabile alla nutella. Aveva però la particolarità di essere a due gusti che mia madre, per velocizzare, mescolava sempre. Mi mandava fuori di testa.
Ed il succo alla pera, misto sempre ad un po' di sabbia.

Poi mi ricordo lo zio Severino, che se ne è andato troppo presto, tanto tempo fa. Veniva a svegliare mio fratello e me, al mattino presto per andare a camminare. Mi stringeva un piede, in silenzio, per non disturbare gli altri, come faceva il vecchio Santiago ne "Il vecchio e il mare". Poi si partiva: il porto, il mercato del pesce e la spiaggia. Quattro o cinque barzellette, sempre quelle, come il percorso. Eppure è in mattine come queste che il ricordo si fa spazio come il sole tra le nuvole.
È in mattine come queste che mi accorgo del vuoto che, dentro, non ho mai colmato.

giovedì 20 giugno 2013

E dalla duna con due gobbe ti saluto e me ne vò

La nostra settimana di ferie passive sta per finire.
Cosa sono le ferie passive?
È il riposo che ti godi quando in ferie ci stanno gli altri.
Ad esempio, nel caso nostro, i figli che sono al mare con i nonni... i suoceri per inciso.
Ah, quanto vi mancheranno! Chiosavano le amiche perbeniste e catto-rispettose prima della partenza. Quelle che ogni pensiero lesivo della famiglia non è da bandire, non è proprio nemmeno contemplato.
Dire ad esempio che credi che starai benissimo al pensiero di saperli felici al mare e, con l'occasione, di poterti concedere qualche spazio è una bestemmia che manco un ubriacone al bar.
Va ben, lo ammetto, un po' ci sono mancati.
Ma mica tanto, sapete. In fondo stavano così bene, là al fresco con i nonni.

Invece noi non ci siamo riposati ma proprio per niente.
L'unica cosa che siamo riusciti a fare è stata una sgambata di corsa (Silver in bici) attorno alla collina lunedì sera con successiva fritola  in sagra giusto per vanificare gli sforzi di  perdere peso.
Per il resto, la nostra settimana mi ricorda questa dell'Anonima Magnagati
Dove il protagonista tenda a precisare di considerare la Domenica sacra al riposo perchè deve:  vangar l’orto, concimar e piante, tirar so e tende, lavar a macchina, dar ‘na bota a femena, lavare la 'salata fare la conserva, broar su...gò n’ora sbusa dae sete ae oto.

Infatti, in cambio di averci portato i bimbi al mare, a parte che non ho capito perchè quando ci andiamo noi al mare con i bimbi le chiamiamo ferie e quando ci vanno gli altri deve essere un'impresa, dovevamo tenere abbeverato orto e fiori dei suoceri.
Voi non avete idea.
Ogni superfice orizzontale ha sopra un fiore. Parco Sigurtà in primavera fa una sega ala giardino di mio suocero. Un'ora in tre, ci mettiamo a dar da bere a tutto.
L'orto poi è una specie di fazenda argentina. Oltretutto bisogna raccogliere la verdura e consumarla... muuu... mangiata molta questa settimana... muuu. 
In più la nostra bella erbetta che bella non è... c'era da togliere l'erba mata. Annaffiarla, anche.
Senza contare ai grandi evergreen: stirare, lavare, riassettare, fa la spesa, gli incontri a scuola e lavorare otto ore al dì.
Insomma: non è vero un c...o che le nostre ferie erano questa settimana.
E se i piccoli si azzardano, la prossima settimana che tocca a noi, ad essere anche solo un pochino meno buoni di come ce l'hanno raccontata i nonni al telefono, giuro che li vendo su ebay. E nemmeno a tanto.

buone ferie a me... ci si vede facilmente fra una settimana.



 

lunedì 17 giugno 2013

de Rerum Stercorum


(l'autore, partendo da un'opinabile overture, si propone di approfondire importanti tematiche sociali)

Ho cercato con poca convinzione una traduzione latina alla frase “Cagarsi addosso”. Ma come recentemente ricordato il latino non è il mio forte e sono passati anche quasi vent'anni dall'ultima volta che ho aperto l' IL che ora prende polvere nel sottoscala. Per cui ho ripiegato in un più altisonante De rerum stercorum che però non rende l'idea.
Perchè l'idea è proprio “Cagarsi addosso”.
Quale metafora, quale immagine recondita, quale significato occulto può nascondere un simile aforisma?
Nessuno.
Parlo proprio di riempire le braghe di merda.
Vi è mai capitato? Dopo i 10 anni, intendo... Dai non siate timidi.
Va bene, inizio io... mi è capitato qualche anno fa dopo un allenamento di calcio con successiva birra e bruschetta. Vi risparmio i particolari

Ora, credo che non ci sia esperienza migliore per darci la reale proporzione tra i reali problemi del mondo ed il nostro bisogno di farci le seghe mentali.
No, certo, ci sono anche cose più invasive: una malattia, la disabilità di un figlio, la morte di una persona cara. Ma avendo la fortuna di non dover fare i conti con tutto questo, partite dal mio suggerimento: Cagatevi addosso!

Ad esempio, lo consiglio a chi sabato scorso, durante la sfilata del Vicenza Pride, inneggiava a Putin e chiedeva alla Russia di salvarci dalla frociazione dell'umanità (le ultime tre parole le ho aggiunte io).
Ed anche a quelli, più pacati e rispettosi, che si sono presentati con il manifestino “Assiciazione per la difesa dei diritti della famiglia” trazionale. Con il “tradizionale” aggiunto sotto a pennarello.
No, dico, a pennarello.
Ma investite in un buon corso di comunicazione, ma chi volete che ve lo legga, in mezzo a tutto quel bailamme di colori sgargianti e paillettes (notare i francesismi gay-friendly), il vostro striscioncello in bianco e nero e per di più con un pezzo aggiunto a mano.
Per nulla chic!

In generale comunque invito tutti quelli che fanno il tifo contro: quelli che organizzano le fiaccolate contro gli zingari, quelli che fanno i picchetti contro le moschee, quelli che pensano sempre di avere la verità in tasca, magari consegnatagli personalmente da un dio o comunque da uno bene in vista.
Che poi è sempre una verità contro chi è più debole, chi è emarginato, chi è fuori. Provate una volta nella vita a scendere di corsa dall'auto e non riuscire ad arrivare in casa perchè il vostro intestino vi tradisce lì, in cortile, al buio.
Vedrete come in quel momento l'unica cosa che conta è avere di che pulirsi il culo. Alle volte è sufficiente un giornale. Magari che parla di contromanifestazioni.

venerdì 14 giugno 2013

La via del guerriero


Per migliorare la salute della coppia non c'è nulla meglio dell'orto ma la vera via del guerriero è avere figli”.
Con questa frase se ne usciva il mio amico F. nel bel mezzo del nostro arrancare in spiaggia durante la corsa della domenica mattina.
E mi era piaciuta subito questa frase, anche se non l'avevo capita bene, perchè i due neuroni si alternavano nei due compiti fondamentali: respirare ed evitare di fottersi definitivamente i polpacci.
Perchè i figli ti mettono davanti a tutte le tue debolezze, ti costringono a reinventarti, ad essere flessibile, a stracciare i programmi, a mettere i tuoi ritmi in secondo piano.
Al punto che una corsa fatta in riva al mare, con un amico, all'alba, lasciate moglie e figli a dormire, ti sembra un regalo ogni volta nuovo. 
 
Oppure alla sera, se crollano, che non crollano mai, prima che sia proprio buio pesto, riesci ancora a farti una sgambata sulla collina e fermarti a prendere fiato guardando le luci in lontananza. 
 
Ed oggi mi è tornata in mente la frase, che facciamo programmi per la settimana prossima, soli senza figli e non riusciremo a fare tutto nemmeno se le settimane fossero due ed i giorni di 30 ore.
Ed invece la maggior parte delle energie ci servirà per attenuare la distanza, per domare la mancanza, la nostalgia.
Avere figli è la via del guerriero”. E se sei un guerriero devi combattere e a volte ti piace anche. 

Oggi Perlo anche io. Da un'idea (bellissima) di Lucia (bellissima pure lei)

giovedì 13 giugno 2013

Magnus Benefactorem


Sarà giusta l'iscrizione latina?
Probabilmente no!
Vi ho mai raccontato di quanto fossi scarso in latino?
Probabilmente si, ma ve lo ricordo lo stesso. Silver oltretutto mi dice che sto peggiorando in questa mia tendenza a raccontare sempre le stesse cose.
Tendo anche a divagare un sacco...
infatti cos'è che stavo dicendo?
Ah si, il latino
Ho fatto 29 compiti scritti consecutivi senza prendere la sufficienza in latino. Dall'ultimo della seconda liceo fino al penultimo della seconda volta che ho fatto la quarta. Ma la cosa degna di un personal trainer è la mia trionfale progressione in terza: 1, 2, 2 e ½, 3, 3 e ½, 4 (svariati), 5, 5/6. Questo per dire che mi impegnavo anche, non è che non studiassi. Che poi la sufficienza è arrivata anche perchè l'insegnante di lettere mi portava il figlio a nuoto, deve aver pensato che se mi bocciava glielo annegavo. E non aveva tutti i torti.
Ma si parlava di benefattori...

Ho fatto l'ultimo bonifico al nido. Che romantico, neh?
Potrei parlare di quanto mi ha dato l'esperienza, di quanto siano state affettuose ed importanti le maestre per la crescita dei figli, di quanto ci mancheranno...
Invece vado dritto al bonifico.
Che poesia, che spessore umano, Gae, complimenti.
No, è che in questi tre anni la retta del nido è stata importante, diciamo, con il picco dello scorso anno, che ne avevamo tre.
Al punto che potevo rimanermene a casa dal lavoro e, niente niente, guadagnarci anche un po'.
Nell'estratto conto della banca, in corrispondenza del giorno di paga, invece che “Vostri Emolumenti da...” c'era la voce “Vostri emolumenti a Nido taldeitali”.
E ora tutto questo andrà perduto, come lacrime nella pioggia.

O forse il nostro conto in banca smettera di fare snorkeling. 

Bassorilievo in onore di El Gae, benefattore dell'asilo (Cajetanus detto il Coglioncello, 21esimo secolo)

venerdì 7 giugno 2013

Noi che ci girano


Odio tutto quello che inizia con la frase noi che...
La trovo paracula ed inutilmente nostalgica. Ultimamente vedo che le pubblicità ne abusano, oltretutto sfruttando l'onda lunga del gradimento che l'operazione “noi che...” aveva avuto sui social network.
Ci sono giorni che, a conoscere un bravo avvocato che lavori per noi gratis, farei causa alle aziende che fanno pubblicità ogni 30 secondi. Cioè esattamente ogni pubblicità. Ce ne sono di agghiaccianti. Alcune recano messaggi subliminali del tipo: “ehi, credo che tu sia un coglione e ne approfitto”
Che poi un avvocato bravo lo conosco anche, c'ha pure invitato al mare per il week end: tutta la sua famiglia e tutta la nostra. Solo che mica possiamo passare sabato e domenica a fare cause alle aziende pubblicitarie.
Ormai, da quando abbiamo figliato in modo così drastico, non sono molti quelli che ci invitano. Impienemo le case ci diciamo con Silver... è complesso. Comunque quei pochi così tanto amici da sopportare la calata dei lanzichenechi è meglio non tediarli con questioni moralmente troppo elevate. Il week end è per il riposo.
Ci sono giorni che odio anche la frase “ci sono giorni”. Anzi, la odio sempre.
Odio anche quelli che generalizzano. Li odio tutti.
Un venerdì così, direte voi, che mi ha preso male.
Sarà che questa settimana il lavoro non mi ha permesso di correre prima di cena, i figli non mi hanno permesso di correre dopo cena, la pioggia non mi ha permesso di correre nei rarissimi momenti che lavoro e figli. E anche se la bilancia rimane fortunatamente ferma, mi sento pingue e rallentato. Quasi che mi manchi la quantità giornaliera di acido lattico, che senza quei piccoli fastidi muscolari non mi senta vivo.
Di scrivere neanche a parlarne; dopo un'ora a cercare di addormentare Pee, la sera, la cosa più complessa che mi riesce di fare è lavarmi i denti e andare a letto. Con un piccolo pisolo sul divano prima, così, tanto per scaldare i muscoli a Morfeo.
Ma in fondo la vita è come una scatola di cioccolatini (cit.) ed anche il giorno più nero dura solo 24 ore (cit.) e domani è un altro giorno (cit.) e francamente, me ne infischio (cit.)

martedì 4 giugno 2013

più dei biglietti senza ritorno dati sempre alle persone sbagliate


Mi chiamo El_Gae e sono quindici giorni che non cerco di “appartenere”

Che è anche vero, per quello. 
Solo che è faticoso.
Da ragazzo ci perdevo i sentimenti, sull'appartenenza: c'era il gruppo fico, quello che avevano la morosa o che comunque ogni tanto limonavano e c'erano i secchioni sfigati e nerd.
M. ed io eravamo borderline, né sufficientemente bravi da essere nerd né abbastanza fighi da essere limonatori (ahimè). 
Una forma assolutamente innovativa ed originale di sfiga. 
Va da sé che stando in mezzo al guado e dovendo decidere quale sponda raggiungere ci si fiondava su quella dei limonatori. Perchè con un compagno pianista avevo anche provato a trovarmi per suonare insieme ma non funzionava. Non poteva reggere un gruppo in cui il figo dovevo farlo io.
Ma poi si capiva che non poteva funzionare neppure con i limonatori, no? Non basta mettersi una giacca colorata per diventare Formigoni (chi trova una metafora peggiore di questa vince un premio).
Così, anche se da fuori potevo sembrare incluso, non mi sentivo a mio agio, non mi ci ritrovavo (non limonavo, baideuei). 
Una volta il gruppo figo rubò delle magliette dentro al Castello degli Estensi di Ferrara. Nell'ilarità generale mi ero sentito stupidamente escluso per non essere stato coinvolto nell'operazione ed avevo anche chiesto: “Ne avete una in più?”. 
Non ce l'avevano
Smascherati i quattro compagni furono sospesi per una settimana. Ricordo il prof di inglese che mi guardò insistentemente per vari minuti ed alla fine chiese: “E tu, sei sicuro di non centrare nulla?”
Ed io mi sentii una merda. Perchè se era vero che non avevo rubato nulla, era vero anche che se un ladruncolo zelante ne avesse presa una in più io sarei stato coinvolto ne più ne meno.
Non sono mai stato bravo a celare le emozioni; credo che il prof avesse letto nei miei occhi il senso di colpa. Probabilmente si ricorda di me come quello che l'ha fatta franca.
Chissà cosa avrebbero pensato i miei? Chissà cosa pensano, ora che lo leggono e non l'ho mai raccontato a nessuno, nemmeno a me stesso.

Ora che sono padre mi vergongo nel ricordare questi episodi. Mi chiedo spesso cosa penserei dei miei figli se venissero coinvolti in un episodio come questo. Cattive compagnie, il branco: facile a dirsi.
Nessuno di quei “ladruncoli” era figlio del disagio sociale (si dice ora). Erano tutti figli di ingegneri, imprenditori, insegnanti. Per carità, è stata una bravata e la lezione è servita, nessuno di loro ha fatto la classica “brutta fine”.
Ma i miei figli, i miei!
Come potrei stigmatizzare il loro comportamento se seguissero i compagni in qualche stupida bravata, se conosco quella debolezza, perchè l'ho provata?
Ed è sufficiente sperare che una cerchia di amici selezionata possa aiutare a prevenire? E chi sono io per selezionare? In virtù di cosa?
A volte spero che si bastino fra di loro, che tre sia già un buon numero, che il loro volersi bene li tuteli dal bisogno di essere altro, di essere altrove.
A volte li vorrei portare io, altrove, per salvarli dagli inciampi della strada.
A volte prego di avere la forza di stare qui, alla finestra, a salutarli e lasciarli andare. 



questo post partecipa al blogstorming di Genitori Crescono. Per l'occasione nel post ho anche usato il passato remoto (almeno credo).